segnalato dalla Redazione
Annichiliti e distolti dal nuovo conflitto tra Palestina e Israele, avevamo omesso di segnalare questo bell’articolo, equilibrato e esauriente, sul recente dissidio che ha opposto il governo italiano a quello tedesco nei giorni scorsi, dopo la decisione della Germania di rifinanziare le navi che operano sul soccorso in mare.
Ong, il fattore umano
di Luigi Manconi – da la Repubblica del 7 ottobre 2023
Il conflitto tra Italia e Germania a proposito dell’attività delle Ong del soccorso in mare è stato particolarmente aspro: e si è concluso provvisoriamente con un compromesso che, come ha scritto Claudio Tito su questo giornale, determina “una tregua” e non permette ad alcuno di “cantare vittoria”. Tuttavia, il testo approvato mercoledì conferma, se pure anticipandola nel preambolo, una valutazione positiva del ruolo delle Ong: “Le operazioni di aiuto umanitario non dovrebbero essere considerate come una strumentalizzazione dei migranti, quando non vi è l’obiettivo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro”.
Ma perché uno scontro tanto acuto?
Le ragioni sono molto serie. Il governo italiano affronta la questione dell’immigrazione in primo luogo attraverso politiche di controllo e di repressione. Ovvero misure per impedire le partenze, istituti di reclusione, strategie di respingimento, pratiche di espulsione. Come si vede, a questo approccio sfugge completamente il “fattore umano”: la dimensione di grande fenomeno antropologico, sociale, culturale. E sfugge ancor più la collocazione dell’immigrazione all’interno del quadro del diritto internazionale e del sistema universale dei diritti umani.
Tutto ciò, al contrario, non può essere ignorato dalla Germania e, in particolare, dalle generazioni democratiche di quel Paese nate dopo la fine della Seconda guerra mondiale, che costituiscono le attuali classi dirigenti. In ogni caso, l’intesa raggiunta e l’abile mediazione diplomatica non sembrano destinate ad attenuare quella che è una vera e propria incapacità dei nostri governanti di capire i governanti tedeschi.
In via preliminare, va ricordato che, tra tutti coloro che sbarcano in Italia, quanti arrivano sulle nostre coste con i mezzi delle Ong hanno costituito, nel mese di settembre, appena il 2 per cento del totale. Crollano così, all’istante, tutte le sciocchezze sesquipedali sulle Ong come “fattore di attrazione” per i flussi migratori. Ma non è l’irrilevanza statistica a rappresentare il punto cruciale della controversia. È, piuttosto, ciò che evoca: memorie antiche e ferite non rimarginate. Basti un esempio.
Nel maggio del 1939 il transatlantico tedesco St. Louis parte da Amburgo e si dirige verso Cuba. A bordo si trovano 937 cittadini ebrei in fuga dalle persecuzioni del regime nazista. La nave attraversa l’Atlantico ma non trova Paesi disposti ad accoglierla. Un piccolo numero di profughi sbarca a Cuba, ma la gran parte viene respinta e al St. Louis viene impedito di approdare negli Stati Uniti e in Canada. Così l’imbarcazione torna in Europa e i fuggiaschi trovano faticosamente accoglienza in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Inghilterra.
Quale traccia può lasciare nella coscienza collettiva di un popolo una vicenda di tale natura e molte altre simili, oscillanti tra indifferenza e rifiuto, ospitalità molto parsimoniosa e ostilità non dichiarata? È difficile che l’immagine del St. Louis, che attraversa l’Atlantico incontrando tanti “porti chiusi”, non condizioni memoria e identità di chi, dal secondo dopoguerra a oggi, fa i conti con un passato infame e i suoi incubi: i campi di concentramento vicini alle città e l’omissione di soccorso, il voltare la testa dall’altra parte e il rifiuto di vedere e di ascoltare, l’attività di delazione e «i volenterosi carnefici di Hitler».
Da quel passato la democrazia tedesca, elaborando un sistema di valori collocato al centro della sfera pubblica e a suo fondamento, vuole affrancarsi. Non intendo dire in alcun modo che quello tedesco sia un popolo migliore di altri: mi limito a notare come un vissuto così lacerante e una robusta etica protestante abbiano alimentato una concezione tragica dell’esistenza e abbiano determinato un doloroso processo di autocoscienza.
Ne discende un senso molto intenso della responsabilità che porta a interrogarsi sulle colpe dei propri padri e su come sia possibile risarcire tanta sofferenza. Per questo il tema del salvataggio in mare, del prestare aiuto, del tendere la mano e afferrare quella di chi soccombe ha un’eco così vasta e assume una dimensione profondamente politica, al punto che il sostegno alle Ong era tra gli obiettivi programmatici dell’attuale coalizione di governo. Una etica del soccorso che si fa virtù civica, probabilmente minoritaria e tuttavia capace di grande vitalità e in grado di condizionare il sistema politico.
Inoltre, proprio quello spirito religioso, che pur sopravvive all’interno di una società secolarizzata, contribuisce a coltivare i valori democratici come componente essenziale della vita pubblica. Certo, la Germania soffre di tutti i mali di cui soffrono le democrazie mature: circolano umori dichiaratamente neonazisti, si estende la mobilitazione xenofoba e le campagne d’odio contro gli stranieri riecheggiano non solo argomentazioni, ma persino stilemi derivati direttamente dalla propaganda antisemita tra le due guerre.
Ma è come se la società, con tutte le sue fratture politiche e sociali, esprimesse una qualche consapevolezza di sé e una qualche fierezza di sé sconosciute in Italia. Questo spiega, tra l’altro, perché la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, interrogata sulle ragioni del sostegno fornito alle Ong, abbia risposto con la più disarmante limpidezza: «Perché salvano vite umane». C’è altro da aggiungere?
[Di Luigi Manconi, da la Repubblica del 7 ottobre 2023
Le immagini che illustrano l’articolo sono vignette di Mauro Biani, da la Repubblica, ma non dello stesso giorno del ‘pezzo’ di Manconi