Politica

Lezioni di Politica (3). Cosa è la “normalità”?

segnalato dalla Redazione, da la Repubblica

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A SCUOLA DI POLITICA.3
Chi stabilisce cosa è “normale”
di Roberto Esposito – Da la Repubblica del 13 settembre 2023

Da tempo si tende a indicare modelli e a discriminare chi se ne discosta. Spesso c’è in gioco un interesse politico volto a catturare facile consenso
Concettualmente è ciò che mette fine a uno stato di eccezione ripristinando l’ordinamento sospeso

L’elemento più inquietante è l’equiparazione tra normalità e sanità e dunque tra anormalità e patologia

Da qualche tempo si danno volentieri patenti di normalità — e dunque di anormalità a chi si discosta da quel modello. Si è cominciato con la famiglia, dichiarando illegittima quella non sancita dal matrimonio tra coniugi di sesso diverso. Poi si è passati all’etnia, da difendere dal rischio di una incipiente mutazione che minaccerebbe la coesione nazionale e perfino la civiltà occidentale. Infine si è arrivati al genere, spingendo gli omosessuali in un recinto di estraneità al senso comune.

Nonostante la diversità dei toni, ciò che assimila questi argomenti è la nettezza del discrimine tra omogeneo e disomogeneo, naturale e innaturale e, appunto, normale e anormale. Evidentemente in tutti questi casi c’è in gioco un interesse politico volto a catturare facile consenso. Ma anche una notevole confusione tra termini, concetti, piani del discorso che è bene ridefinire. Intanto va detto che il richiamo alla normalità non appartiene solo alla destra. Si ricorderà l’auspicio — venuto da sinistra — alla creazione di un Paese normale, vale dire finalmente allineato alle altre democrazie occidentali nei suoi standard e stili di vita. Del resto due secoli fa, in Francia e in Italia, sono state chiamate “Normali” le Scuole destinate a costituire il modello di tutte le altre. Per non parlare del lessico giuridico, che fa del rispetto delle norme il presupposto di ogni ordine politico. Anche di recente, alla fine della pandemia, il ripristino di una condizione di normalità, rispetto allo stato di emergenza, è stato richiesto da tutte le forze politiche. Normale è ciò che mette fine a uno stato di eccezione, ripristinando l’ordinamento momentaneamente sospeso.

Eppure non bisogna lasciarsi ingannare dalla ricorrenza di un termine, il cui uso, ed abuso, risponde a non solo a strategie politiche contingenti, ma anche a concezioni radicalmente diverse. La norma giuridica, valida per tutti, ha assai poco a che vedere con giudizi di valore che, in nome della “normalità”, tendono di fatto a discriminare una parte. È anzi il suo contrario. Si confondono le cose quando si conferisce alla norma un carattere naturale, eterno perché desunto dalla natura umana, rispetto alla storicità del diritto, che è soggetto a correzione e mutamenti. Ma forse l’elemento più inquietante di questa posizione è l’equiparazione, in essa implicita, tra normalità e sanità e dunque tra anormalità e patologia.

Per chiarirsi le idee in proposito è utile andare a rileggere il saggio, uscito negli anni Sessanta, dell’epistemologo francese Georges Canguilhem, intitolato appunto Il normale e il patologico, edito in italiano da Einaudi. La sua tesi più originale sta nella distinzione tra normalità e normatività. Mentre la prima risponde ad un criterio statistico, puramente quantitativo, la seconda rimanda alla capacità umana di rigenerare continuamente le proprie norme.

Il fraintendimento più diffuso, frutto di stereotipi e pregiudizi, sta nell’attribuire alla normalità un valore che non le pertiene. Il tipo medio, statisticamente maggioritario, non è migliore o peggiore di altri meno diffusi. È semplicemente più frequente. Allo stesso modo chi, sempre secondo un criterio statistico, risulta “anormale” non ha nulla di patologico. È semplicemente diverso — non perché non abbia norme, ma perché è portatore di norme differenti da quelle espresse dalla maggioranza. Tra i due tipi non c’è alcun prototipo, non passa alcun discrimine qualitativo — sono entrambi differenti, come in ultima analisi tutti gli atteggiamenti umani.

Come la norma giuridica è sempre posta, mai data in natura, così la normalità non è un fatto, ma un attributo conferito in base a una misurazione priva di valenza etica. Per la vita umana, anzi, si può dire che la diversità abbia un significato più intenso dell’omogeneità, perché è segno di maggiore potenza normativa. Rispondendo a una condizione particolare, è produttiva di norme che moltiplicano le forme di vita, arricchendone il ventaglio.

A differenza da quanto pensano i nuovi seguaci della normalizzazione, la piena salute non coincide con la normalità, bensì con la normatività, l’invenzione normativa. Patologica è la riduzione della capacità umana di inventare nuove norme, diminuendo il catalogo delle possibilità umane.

La vita stessa, il suo movimento, è sempre produttiva di forme diverse, destinate non a sostituire quelle esistenti, ma ad arricchirle in maniera illimitata. Perciò stigmatizzare le diversità socio-culturali è doppiamente sbagliato. Intanto perché, per fortuna, non esistono individui perfettamente normali, vale a dire fatti in serie. E poi perché considerare le differenze sessuali, etniche, culturali, come patologie vuol dire trattare i cittadini alla stregua di malati da curare in base a protocolli medici privi di qualsiasi legittimità.

Ciò vale sul piano della società, ma anche su quello della conoscenza. È sempre l’eccezione a definire, per contrasto, la regola, così come è la possibilità dell’errore a stabilire qual è, di volta in volta, la verità cui attenersi, sapendo che è sempre parziale.
La specie umana è nata per uno scarto da ciò che era normalmente l’ipotesi più probabile.

[A scuola di Politica.3 – Continua]

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