segnalato dalla Redazione
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Seguiamo per quanto è possibile le ricerche sul passato remoto dell’umanità. Elena Dusi, su la Repubblica, è brava e aggiornata in campo scientifico. Questa notizia, che l’attuale popolazione mondiale umanità si sia sviluppata a partire da un nucleo di 1280 individui, mi aveva lasciato perplesso. Ma l’articolo, proposto in forma semplificata da una ricerca pubblicata su Science, mi ha convinto a leggere fino alla fine e mi è sembrato convincente: da proporre ai lettori di Ponzaracconta.
LA RICERCA
Quei mille primitivi che salvarono l’umanità dall’estinzione
di Elena Dusi – Da la Repubblica del 1° settembre 2023
Nelle prime glaciazioni, 900 mila anni fa, rimasero solo 1.280 individui in età fertile. Per colpa del clima. A rivelarlo è uno studio su Science
Erano senza acqua e cibo. Se non ce l’avessero fatta non saremmo qui
Gli autori, gli italiani Manzi e Di Vincenzo, hanno lavorato con dei colleghi cinesi
Abbiamo un grande cervello, certo. Ma il cammino dell’umanità è stato tutt’altro che una marcia trionfale. Per un momento ce la siamo vista così brutta da aver sfiorato concretamente l’estinzione. Se quei 1.280 individui del genere Homo infreddoliti, senza acqua né cibo, non fossero riusciti a superare i tempi duri di una delle prime glaciazioni, 900mila anni fa, noi oggi non saremmo qui. E la storia della Terra sarebbe molto diversa.
L’asprezza di quel clima ha lasciato una traccia nel nostro Dna. Uno studio su Science parte dalla variabilità genetica degli esseri umani di oggi per risalire a ritroso nel tempo, lungo la doppia elica dei nostri antenati. Durante l’era glaciale del Pleistocene inferiore-medio, 900mila anni fa, il patrimonio genetico di Homo diventa così sottile da avvicinarsi all’estinzione. «Non ci stupisce. I reperti di quel periodo sono rarissimi », spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo dell’Università La Sapienza di Roma e accademico dei Lincei, uno degli autori di Science.
Abituato a dissotterrare fossili, Manzi e il collega di una vita Fabio Di Vincenzo, curatore della sezione antropologica del Museo di Storia naturale di Firenze, si sono ritrovati in squadra con colleghi cinesi esperti di genetica e bioinformatica. «Siamo diventati amici», racconta Manzi.
Insieme, terra e silicio hanno ricostruito quegli anni che avrebbero potuto ribaltare il corso della storia.
«Glaciazione vuol dire freddo in Europa – spiega Manzi – dove infatti perdiamo le tracce dei primi abitanti. Ma anche in Africa non mancano i problemi: clima arido, scomparsa della vegetazione e delle prede». Per quelle bande di cacciatori e raccoglitori, divise in gruppi di 20-30 individui, attente a distanziarsi per non dover condividere il territorio, sopravvivere diventa arduo. Il 98,7% di loro muore. Il manipolo dei 1.280 sopravvissuti si accoppia al suo interno, compromettendo ancor più la salute della specie. Arranca e si aggrappa sull’orlo del baratro per oltre 100mila anni, poi la glaciazione allenta la sua presa. «Possiamo immaginare cosa avviene allora», prosegue Manzi. «Uno dei gruppi si espande più degli altri. Come per gemmazione, da una banda di 20-30 individui Homo riprende a crescere. Ricominciano gli accoppiamenti con i gruppi vicini, i pochi sopravvissuti. Poco più tardi l’umanità è pronta a intraprendere un nuovo viaggio verso Europa e Asia. Questa volta a migrare via dall’Africa sono individui più robusti, con un cervello più grande e temprati dalle avversità».
I sopravvissuti portano con sé una nuova invenzione utile per il freddo: il fuoco. «In Medio Oriente attorno ai 700mila anni fa troviamo i primi resti di focolari», spiega Di Vincenzo. «Gli esseri umani conoscono il fuoco già da tempo, ma solo a quell’epoca imparano a controllarlo. Questo permette loro di scaldarsi, ma anche di cuocere i cibi e difendersi dalle belve». Il focolare porta a un miglioramento della vita. «Una delle domande che ci facciamo a questo punto – dice Yi-Hsuan Pan, fra gli autori dello studio, esperto di genetica dell’evoluzione all’Università Normale della Cina Orientale – è se la selezione naturale durante la crisi abbia accelerato l’evoluzione del cervello».
Se in Africa la glaciazione rende dura la vita alla specie dell’epoca (gli Homo ergaster), in Europa fa tabula rasa. «Da circa 800mila anni fa perdiamo ogni traccia di Homo antecessor», spiega Di Vincenzo, riferendosi a una specie ritrovata nella Spagna del Nord, l’ultima rimasta nel nostro continente prima dell’arrivo del gelo.
«C’è un’evidente discontinuità nel popolamento dell’Europa », conferma Manzi. Solo i sopravvissuti africani da 700mila anni fa vi riportano le orme bipedi, insieme a fuoco e selci scheggiate su entrambi i lati: le asce a mano, la nuova tecnologia dell’epoca.
Gli eredi degli eroici mille o poco più sono diventati nel frattempo una nuova specie: Homo heidelbergensis. «Non c’è unanimità, ma noi siamo convinti che l’antenato della nostra specie sia proprio lui», dice Manzi.
Non che la vita sia diventata una passeggiata a quel punto, ma strettoie simili non si sono ripetute. «Vogliamo ripetere l’analisi bioinformatica anche sulle popolazioni sopravvissute a quella glaciazione: i Neanderthal in Europa e i Denisova in Asia», spiega Manzi. «Ci aspettiamo di trovare altre crisi demografiche».
Il tempo ad esempio ha spazzato via i Neanderthal (la causa non è chiara) 40mila anni fa, mentre già a partire da 200mila anni fa inizia l’espansione di Homo sapiens. I cicli del clima che si sono succeduti fino a 10mila anni fa hanno continuato a plasmare l’evoluzione umana.
«Da ogni crisi – spiega Manzi – la nostra specie ha tirato fuori individui via via più adatti alla sopravvivenza».
[Di Elena Dusi. Da la Repubblica del 1° settembre 2023]
L’articolo in file .pdf: La Repubblica del 1° sett. 2023. Science. Elena Dusi