di Francesco De Luca
La processione a mare, questa tradizione, l’ha iniziata il parroco don Salvatore Tagliamonte.
La statua di san Silverio, nella processione a terra, si fermava, allorché rientrava in chiesa dopo aver svoltato a Giancos, a benedire le motobarche attraccate e addobbate con bandierine e, al molo Musco, sostava all’attracco della nave postale della CAREMAR, il cui equipaggio si faceva trovare in grande uniforme. Il capitano offriva un mazzo di fiori e il parroco contraccambiava con una benedizione.
Negli anni ‘70 il settore pesca, con l’aiuto della Cassa del Mezzogiorno, fiorì economicamente. Sia per la pesca delle alici, sia per quella del pescespada. La flotta peschereccia ponzese si ingrandì. Di cianciole (per pesce azzurro ) ce n’erano oltre dieci, e di gozzi per pescespada una ventina. Notevoli investimenti per notevoli guadagni. La qual cosa fece crescere l’importanza sociale dei pescatori. Una classe sociale poco considerata in ambito civico (fino al dopoguerra).
Ora, i festeggiamenti del 20 giugno avevano bisogno di somme considerevoli (circa 80 milioni di lire). La popolazione concorreva, così gli operatori turistici, e così pure i pescatori (proprietari di barche).
Si pensò, ne ho ricordo personale perché facevo parte del Comitato per i festeggiamenti, di gratificare i pescatori. Come? Concedendo l’onore di portare la statua del Santo in un piccolo giro per il porto.
Un piccolo giro: imbarcava al molo Musco, delineava una circonferenza nelle acque antistanti, ritornava a terra. Niente di eclatante. E’ vero che per l’occasione il numero delle barchette al seguito della processione a mare duplicarono. Già esisteva infatti l’usanza che taluni preferivano seguire il percorso a terra (chiesa-Giancos-e ritorno) stando a mare, con le barchette a remi. L’occasione tuttavia incentivò di molto questa opportunità.
Con gli anni il percorso a mare si è allungato. Prima allo scoglio della Ravia e rientro, poi alle grotte di Pilato e rientro, oggi allo scoglio Rosso e rientro.
Il percorso si estende, e in quel frangente viene sparata la scarica di mortaretti. Si crea pertanto una frattura: la processione si spezza materialmente (il corteo dei fedeli a terra, la statua del Santo coi prelati sul natante). Tutto questo genera attriti. Il più evidente è che la componente anziana del corteo a terra (oggi maggioranza) non riuscendo a sopportare il caldo, abbandona e si avvia a casa. Decisione condivisibile, ma questo fa cadere la tensione religiosa, ingarbuglia l’organizzazione, scombina le motivazioni. Per cui si assiste oggi al fatto che, al rientro in chiesa, c’è un quarto delle persone che hanno iniziato il percorso devoto in processione.
La processione a mare, da parte sua, è andata edificando una sua spettacolarità. Le sirene dei mezzi attraccati suonano, i botti strapazzano i timpani, la barca col Santo, col pavese multicolore fa da nucleo ad una corte di motoscafi, gommoni, lancette, gozzi, tutti vocianti, con le sirene a palla, e le motovedette della Guardia Costiera, e quelle dei Carabinieri e quelle della Guardia di Finanza, tentano di controllare il tutto, facendo anch’esse colore e coreografia.
Tradizione contro innovazione? No, non è a questo dilemma che tendo con la mia memoria. Voglio soltanto raccomandare il principio della moderazione. Il troppo storpia… e, se la tendenza a strafare è quella più seguita, converrebbe mitigarla con la moderazione.