di Silverio Tomeo
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Una narrazione avvincente, sotto forma della relazione di un naufrago in fuga e perseguitato, annotata da un anonimo Curatore, così si presenta il romanzo “L’invenzione di Morel” (1940) di Adolfo Bioy Casares, autore argentino vicino a Jorge Luis Borges. Romanzo pieno di folgorazioni, che nella sua essenzialità si riconnette implicitamente a Robert Louis Stevenson e Herbert George Wells, i classici autori di due famose storie di isole (Tresaure Island e The Island of Doctor Moureau).
Anche qui un’isola misteriosa persa nel Pacifico, scenario che nel film di Emidio Greco del 1974 è ricostruito sulle spiagge di Malta, dove l’inaccessibile Faustine è interpretata da Anna Karina, ex moglie di Jean Luc Godard e musa della Nouvelle Vague.
La storia si sviluppa in un lucido crescendo surreale, il congegno narrativo è perfetto, la trama è da accennare soltanto per chi non la conoscesse (è singolare che in Rete vi sono a volte riassunti errati, di chi ha evidentemente evitato di leggere l’opera di riferimento). “Oggi, in quest’isola, è accaduto un miracolo. L’estate è cominciata in anticipo.”, questo l’incipit. In un complicato gioco di specchi sull’isola creduta deserta il naufrago vede una comitiva in abiti d’epoca e una figura di giovane donna, la bella incomprensibile Faustine: “Non spero nulla. Non è una cosa orribile. Una volta deciso ho guadagnato in tranquillità. Però quella donna mi ha dato una speranza. Debbo temere le speranze”. E’ anche la storia di un amore impossibile, che non può consistere nel reale, ma viene comunque perseguito sino all’ultimo.
Nel film il fuggiasco è Giulio Brogi, le musiche sono di Nicola Piovani, una canzone originale è cantata da Laura Betti. Film notevole nel panorama scarno del cinema italiano dell’epoca. Solo dopo circa 38 minuti ci si imbatte in un parlato. Lo sciabordìo delle onde assieme alle musiche è il rumore di fondo, così come i passi del fuggitivo. Nel romanzo è Tea for two una delle canzoni ascoltate della brigata di Morel, l’inventore di una complessa macchina avveniristica. La conclusione del film appare incomprensibile a chi non abbia già letto il romanzo. Lo si dà per scontato, quindi è un film letterario, a modo suo, con interi brani di conversazione presi dall’opera di Casares. La figura del fuggiasco è nell’approdo all’ignoto, opposta a quella dell’ulisside che è nel nostos, nel ritorno al conosciuto.
Cosa è allora l’invenzione di Morel? Una macchina del tempo che non serve a tornare nel passato oppure come nel romanzo di Wells a esplorare il futuro. Una macchina che consente piuttosto al passato di tornare come ripetizione del sempre uguale, l’eterno ritorno dello stesso. L’invenzione di Morel è l’invenzione dell’eternità che riduce la vita nell’eterno presente, immemore del passato e privo dell’evoluzione e della performatività di quello che chiamiamo futuro ma è solo apertura all’evento nell’a-venire. L’apparenza che sfugge a ogni referenza nel reale e insieme assorbe la realtà. La macchina mortifera di una pessima immortalità.
Si può vedere qui su YouTube uno spezzone del film e/o anche i successivi, fino a ricostituirlo nella sua interezza
http://www.youtube.com/watch?v=IzpItn6nY7Q&playnext=1&list=PL1F156671B1D6F723&feature=results_video
Silverio Tomeo