di Lorenza Del Tosto e Sandro Russo
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L’occasione per tornare a parlare di viaggi è stata un convegno di operatori cui ha partecipato Emilio Iodice qualche settimana fa (leggi qui). Sull’innesco di quello che lì si è detto, abbiamo parlato di altri aspetti del viaggio, meno conosciuti di quelli di divertirsi e fare baldoria, attraverso degli scambi epistolari tra amici, vecchi compagni di viaggio che si comunicano le loro sensazioni a distanza, da viaggi diversi, in tempi diversi (leggi qui).
Questa terza parte chiude il trittico con alcune note di Lorenza, amica di lunga data, grande viaggiatrice (di aerei, che proprio non ama), di treni (su e giù per l’Italia, ricordo un suo racconto: “Il cuccettista”), di piede [mitico il viaggio con Emanuela (Siciliani Musco) lungo il cammino di Santiago]. Viaggiatrice soprattutto della mente.
Queste alcune sue impressioni, datate, ma sempre valide.
Caro Sandro
Bene, passo subito a dire qualcosa sulla tua ultima mail molto lucida. Molto chiara. Nel senso che mi ritrovavo appieno nelle cose che dicevi. Quel bisogno di silenzio, che a volte diventa difficile da sostenere con le persone che si hanno accanto, in cui cerchiamo di barricarci per ricomporci di fronte al nuovo. Devo pensarci. però così a botta calda riconosco che ci sono stati dei viaggi in cui mi sono lasciata completamente andare, non ho avuto paura di sentirmi sconvolgere dal nuovo, anzi sono stata ben felice di constatarne gli effetti interni sulla mia persona, quel contatto così difficile con una realtà estranea ha accelerato o ha portato in superficie dei cambiamenti, degli aggiustamenti che erano già in atto in me. Altre volte mi è stato impossibile. Ho amato tantissimo New York, per tanto tempo ci ho trascorso almeno 3 mesi l’anno. amavo i suoi quartieri più periferici, mi muovevo nel Bronx senza paura, adoravo la diversità e la disperazione anche, poi ci sono tornata un ultimo anno. E non sono mai, quasi mai davvero, riuscita ad uscire di casa. Mi devastava quello che vedevo attorno a me. Quella differenza disumana tra sfarzo e miseria assoluta. Mi chiedevo come avessi potuto trovarci alimento e stimolo alla tolleranza in passato. Ugualmente ho viaggiato in città poverissime dell’Asia, dell’Africa nera, ma è stata la povertà del Il Cairo a farmi sentire totalmente stupida, impotente, ridicola, inadeguata di fronte alla diversità.
Io credo che dipenda anche in parte dalla situazione interna al momento di affrontare il viaggio. Ci sono dei periodi della nostra vita in cui, spesso neanche ce ne accorgiamo, siamo così vulnerabili che temiamo che il minimo scostamento dal sentiero solito ci mandi gambe all’aria. E magari è solo arrivando in un paese straniero che ce ne accorgiamo.
Comunque la situazione è molto complessa. Mi ci sono interrogata spesso, ma una risposta definitiva non l’ho mai trovata. Ultima cosa: una delle esperienze per me più belle è quella del momento in cui senti che internamente stai cedendo e che il nuovo, la diversità che ti circonda sta entrando in te e tu ti lasci trasportare, cullare. Non ti opponi più, non resisti più; senti la pelle che cambia, i polmoni che si dilatano, gli occhi che vedono altre cose. Ah, momenti sublimi…
Bene, con il sublime concludo.
Lor.
[Roma 22. 01.2004]
Elogio del viaggio
by Sandro
Movimento: essere da nessuna parte precisamente, ma in un mondo di infinite possibilità.
Non avere sotto i piedi una terra ferma, ma di volta in volta il mare, migliaia di metri di pura aria, le traversine sempre diverse di una strada ferrata.
Viaggiare; come metafora di una vita che non vuole arrivare da nessuna parte, non vuole fermarsi, non vuole scegliere.
Continuare a viaggiare perché non si è trovato quello che si cercava; finché non si è trovato.
Con il dubbio che pure ci sia, da qualche parte.
Viaggiare come alibi; perché non si sta fermi, per definizione.
Mentre si è proprio nel momento di immobilità maggiore, quando non ci si è schierati, dedicati, riversati da nessuna parte.
Viaggiare come forza; per ricaricarsi e prendere energia, in attesa di…
In attesa di..?
Un progetto, una persona, un entusiasmo che ti prenda; una speranza, un obbiettivo, qualcosa in cui credere fortemente…
Con il rimpianto, appena taciuto, che era meglio continuare a viaggiare.
[Sulla nave per la Sardegna; maggio ’99]
Carlo Secondino
28 Maggio 2023 at 21:12
Bene, Sandro. Ho letto qualcuno dei tuoi reportage e le considerazioni sui viaggi (ed esperienza di vita) in Asia. Li ho molto apprezzati e ho riscontrato, nelle sue profonde riflessioni, molte e sostanziali assonanze con le mie, scaturite dalla mia lunga permanenza in Kenya e paesi vicini all’ex colonia britannica.
Il senso di smarrimento e l’impressione di non aver compreso i comportamenti, il modo di vivere di popolazioni la cui cultura è diversissima dalla nostra, possono aiutarci a capire quanto sia difficile integrarsi, anche quel poco che serve per intendersi a un livello essenziale; e ciò avviene anche nel caso si conosca discretamente la lingua dell’etnia con cui si entra in contatto.
L’utilità dei viaggi effettuati, tuttavia, rimane importante proprio per le difficoltà da noi incontrate: averne consapevolezza può darci una mano a guardare con spirito diverso, più aperto e collaborativo, agli immigrati che affrontano da noi gli stessi problemi, cercando di adattarsi e integrarsi nel nostro Paese.
Sulla base di una matura considerazione, fondamentale: è impossibile una integrazione totale; e non è auspicabile che avvenga, perché equivarrebbe ad una infausta omologazione culturale, che è l’opposto della convinzione, che pure ci vantiamo di possedere saldamente, che l’incontro tra persone di culture ‘altre’ costituisce una ricchezza proprio per le diversità.
All’immigrato che vive tra noi chiediamo che rispetti le nostre leggi, che dia e chieda rispetto, che cerchi di apprendere al meglio la nostra lingua. Quanto all’integrazione, essa sarà reale e valida solo nella misura in cui avverrà spontaneamente, grazie alla quantità e qualità dei rapporti che via via si instaureranno tra noi e i nuovi arrivati. Abitanti dello stesso mondo.