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Stimolato da un invio provocatorio di Annalisa Gaudenzi, amica e fervente animalista (leggi qui), ho recuperato un articolo di Paolo Cognetti (1), da la Repubblica di ieri, scrittore e conoscitore dei boschi e della natura, per un punto di vista equilibrato sulla questione.
La caccia a Jj4
Gli orsi e i boschi che ignoriamo
di Paolo Cognetti
Sento il bisogno di un discorso più ampio sullo stato della fauna selvatica in Italia, e sul rapporto che abbiamo con lei. Provo a mettere a disposizione quello che so per tanti anni di letture e di vita in montagna.
Prima di tutto, un dato che non finisce di meravigliarmi: nel nostro Paese così urbanizzato l’habitat degli animali selvatici, ovvero il bosco, occupa 11 milioni di ettari, circa un terzo della superficie totale. È come dire che due terzi dell’Italia sono usati dall’uomo, e un terzo è a disposizione dei selvatici. Questa superficie è più che raddoppiata dalla metà del Novecento a oggi. Quella fu l’epoca in cui il bosco e i suoi abitanti raggiunsero il minimo storico: la legna si usava per scaldarsi, gli animali per sfamarsi, e la maggior parte dei mammiferi era praticamente estinta, sulle Alpi e sugli Appennini. Non è quello che leggiamo nelle favole, ma per il nonno di Heidi l’incontro con un cervo o un capriolo era un’esperienza rara se non inimmaginabile: nella prima metà del Novecento, gli esseri umani si erano mangiati tutto.
Poi nel Dopoguerra cominciò un’inversione di tendenza: la montagna si spopolò rapidamente (in molte valli si parla di un esodo dell’80% in trent’anni), il tenore di vita aumentò, la pressione antropica sui boschi diminuì di conseguenza. L’uomo va via e subito le piante riconquistano terreno.
Il ritorno degli animali ha una storia più confusa e meno spontanea. Lo stambecco, per esempio, era sopravvissuto soltanto nel Parco del Gran Paradiso, in quanto ex riserva di caccia dei Savoia. Da lì fu reintrodotto in tutto l’arco alpino: significa proprio che gli esemplari venivano addormentati, catturati e trasportati altrove, dove un po’ confusi si svegliavano e riprendevano la loro vita (pensate se lo facessero a voi).
Il cervo è stato reintrodotto allo stesso modo, dall’Est e dal Nord Europa. E così il daino, il camoscio e il capriolo, a volte da riserve faunistiche simili ad allevamenti.
Tutte queste operazioni condotte autonomamente, senza una vera regia, magari dal singolo Parco, dalla Provincia o Regione, o anche dai consorzi venatori, come nel caso del cinghiale: si reintrodusse una specie al solo scopo di poterla cacciare, diciamo pure per divertimento. Alcune altre, come il lupo, si arrangiarono da sole. Il lupo sopravvissuto nel Parco Nazionale d’Abruzzo iniziò nel Dopoguerra la sua risalita: negli anni Settanta raggiunse l’Appennino Tosco-Emiliano, nei Novanta le Alpi Marittime, e con il nuovo secolo chiuse il cerchio, incontrando da qualche parte delle Alpi i suoi simili che arrivavano dai Balcani. Trovò anche abbondanza di ungulati da cacciare: cinghiali e caprioli soprattutto, altrimenti quella strada non avrebbe potuto farla.
Poi ci sono animali che ci sono sfuggiti di mano: è il caso dell’ibridazione tra cani randagi e lupi. È vero o non è vero? Ci interroghiamo ancora, non lo vogliamo ammettere perché non sappiamo cosa fare, ma è molto probabile che questi animali esistano. Colpa nostra, sono dei nostri errori. Come i lupi cecoslovacchi che fuggono da un allevamento (ricordate? Erano di gran moda qualche anno fa) e finiscono nei boschi. O i cinghiali immessi per gioco e ormai diventati un animale a metà tra il domestico e il selvatico, da cassonetto dell’immondizia: che mutazioni sono i cinghiali di Roma? E infine l’orso con cui abbiamo giocato col fuoco: e adesso che dobbiamo riparare ai nostri errori facciamolo almeno nella maniera più indolore per lui, portandolo dove abbia spazio per vivere in pace.
Qui però vorrei estendere il discorso: che cosa sappiamo noi italiani di tutti questi animali? Niente, direi. Eppure viviamo o dovremmo vivere insieme.
Dove e da chi veniamo educati a entrare in relazione coi selvatici, una felice novità di cui però non abbiamo né una memoria né una cultura? Un terzo del nostro territorio è bosco, ma come impariamo a conoscerlo e a frequentarlo?
Spero proprio che sembri un’assurdità, a questo punto del mio racconto: nel 2017, mentre il bosco raddoppiava di superficie, nuove specie animali lo popolavano, e la convivenza tra l’uomo e i selvatici si faceva sempre più complicata (e interessante), il Corpo Forestale dello Stato veniva soppresso, fatto confluire nell’arma dei Carabinieri per tagliare i costi (2).
Ora capiamo che andava piuttosto potenziato, e che di un Corpo Forestale oggi abbiamo grande bisogno, con quel nome o con un altro, militare o civile che sia. Non solo perché curi i nostri boschi, ma perché ci insegni a conoscerli. È ora che l’Italia si accorga di essere anche, per fortuna, un Paese boscoso.
[Di Paolo Cognetti, da la Repubblica del 13 apr. 2023]
(1) –
Paolo Cognetti (Milano, 1978) è uno scrittore italiano. Ha vinto il Premio Strega 2017 col romanzo Le otto montagne (da cui anche un film recente, di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (2022). Altri suoi saggi e romanzi (elenco incompleto): Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna, (2013); Senza mai arrivare in cima, 2018; La felicità del lupo, 2021. Per un elenco completo e una scheda biografica consulta Wikipedia.
(2) – L’accorpamento del Corpo forestale dello Stato con l’Arma dei Carabinieri è operativo dal 31 dicembre 2016 (Legge 7 agosto 2015 e decreto legislativo 19 agosto 2016 (governo Renzi). Come sito abbiamo una collaborazione e pubblichiamo articoli dalla rivista dell’Arma dei Carabinieri #Natura, espressione della ascendenza e vocazione naturalistica dell’ex Corpo Forestale (leggi qui).
Immagine di copertina. Di Marco Secchi, via unsplash – da https://ecobnb.it/blog/2019/08/vacanze-insolite-slovenia-orso-bruno
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Appendice del 19 aprile (cfr. Commento della Redazione)
L’orso soldato
di Gabriele Romagnoli, del 17 aprile 2023
La prima cosa bella di lunedì 17 aprile 2023 è la storia di Wojtek, l’orso soldato che combatté nella seconda guerra mondiale come e meglio di alcuni uomini, e dalla parte giusta della storia. Riaffiora a ondate. Ora perché gli hanno dedicato un altro libro, finalmente in Italiano (L’orso Wojtek, caporale della liberazione, di Mauro Bartoli). Nato in Iran, adottato dalle truppe polacche, per poter andare al fronte venne arruolato. Viaggiò come soldato semplice verso l’Italia. Ci sono fotografie in cui scherza con i commilitoni, sta sull’attenti, riposa, beve birra. Quando ero bambino passavo spesso, al confine di Bologna, davanti al cimitero dei polacchi e mi stupivo che in tanti fossero venuti da là a morire per noi. Rischiò di farlo anche un orso. Invece sopravvisse. A Cassino gli fu dato il compito di trasportare casse di munizioni. Lo fece con coraggio tale da essere, dopo, promosso caporale. A fine guerra il suo plotone “disertò”. Piuttosto che tornare nella patria controllata dai sovietici si trasferì in Scozia, dove Wojtek visse da celebrità allo zoo, uscendone per andare spesso ospite alla BBC. Ci sono statue in suo onore in tutto il mondo. La sua vicenda ha una morale. Puoi allevare un uomo come orso o un orso come uomo. Non è più difficile che allevare un uomo come uomo.
La Redazione
14 Aprile 2023 at 12:53
Siamo contenti che Michele Serra abbia notato lo stesso articolo che abbiamo ripreso noi e gli abbia dato la giusta rilevanza su la Repubblica di oggi
Da l’Amaca del 14 aprile 2023
Il Rinascimento degli animali
di Michele Serra
Il Corpo Forestale dello Stato venne soppresso nel 2016 dal governo Renzi, e accorpato all’Arma dei Carabinieri. Avvenne per ragioni di “razionalizzazione” e risparmio. Forse pesò il fatto che in due Regioni (Calabria e Sicilia) i forestali fossero molto numerosi e nonostante questo le foreste patissero l’assalto indisturbato dei piromani.
Fatto sta che quella decisione, alla luce dei fatti, si è rivelata cieca e sbagliata. Come ha scritto Paolo Cognetti su questo giornale, quel Corpo andava piuttosto potenziato, a fronte dell’impressionante prosperare dei boschi e della fauna selvatica, quasi estinta alla metà del secolo scorso; e quasi rasi al suolo i boschi per riscaldare le case di un Paese povero e arretrato. Provate a confrontare due fotografie della stessa valle alpina o appenninica nel Dopoguerra e ai nostri giorni, e vi sembrerà di vedere un Paese calvo che ha rimesso i capelli.
Scrivo da anni, forse da decenni, che abbiamo rimosso quasi del tutto la cognizione stessa della natura, e non è un problema astratto: significa che abbiamo rimosso la cognizione del nostro territorio (un terzo è boschivo, due terzi montani). Due soli agenti della Forestale (bravissimi: ma due) dovrebbero custodire, in teoria, la vallata dove abito e quella accanto. Un territorio enorme, nel quale lupi, cinghiali, caprioli e cervi vivono, grazie al progressivo ritiro dell’uomo, un loro Rinascimento. Disse Marco Paolini: siamo un Paese di montagna convinto di essere un Paese di pianura. Il lungo itinerario di parole e di passi di Paolo Rumiz dice lo stesso.
L’orso del Trentino è uscito da quel vuoto. Pensavamo che “moderno” volesse dire sterilizzato, neutralizzato, ma non è così, davvero non è così. La Guardia Forestale ci servirebbe molto. Molto più di prima.
La Redazione
19 Aprile 2023 at 06:16
Una interessante chiosa alla vicenda dell’orso di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi è riportata in La prima cosa bella, il breve appunto giornaliero che Gabriele Romagnoli tiene su la Repubblica; qualche volta (ma non sempre), con piccola morale (stavolta sì).
Il testo e la foto di Wojtek, l’orso soldato, nell’articolo di base