Ambiente e Natura

La serata del 10 agosto per il Faro della Guardia. Continua la pubblicazione degli interventi. (6)

sintesi e proposizione a cura della Redazione

Seguendo l’ordine di svolgimento della serata – leggi qui – pubblichiamo il testo della lettura di Martina Carannante al punto 6)

Introdotta da Giuseppe Mazzella, la lettura di un brano da: “Lo splendore degli Stevenson – Una dinastia di costruttori di fari tra ingegno e letteratura” di Bella Bathurst; anno 2008, Edizioni Robin

Da un articolo di Stefano Malatesta su ‘Domenica di Repubblica’ dell’8 maggio 2005

Tra il 1790 ed il 1940 ben otto membri della famiglia Stevenson progettarono e costruirono i 97 fari che tuttora costellano le coste della Scozia.

Discendente di tale illustre famiglia, Robert Luis Stevenson, il famoso scrittore dell’“Isola del tesoro” e del “Dr. Jeckyl e Mr Hide”, era avviato come tutti i suoi avi alla carriera di ingegnere, ma ne fu fuorviato da un  carattere irrequieto, da una malattia e dall’amore per la letteratura (e per una bella americana).

Per nostra fortuna… perché produsse capolavori – che sfidano il tempo non meno dei fari di famiglia

 

Dal libro, già citato, sugli Stevenson,  il brano: “Il guardiano del faro è oggi un mestiere che non esiste più”; legge Martina Carannante

  

“Il guardiano del faro è oggi un mestiere che non esiste più”

 

Questa professione si è estinta, condannata all’obsolescenza in nome della tecnologia.

All’interno delle torri sono scomparsi gli arredi domestici e al loro posto ci sono monitor, computer ed altri apparati elettronici.

Sono loro che accendono e spengono i fari, a seconda che calino le tenebre o spunti il giorno. Loro che calcolano la velocità del vento e che tenzonano con le tempeste, l’edificio rimane in balia come sempre delle intemperie ma i guardiani non ci sono più

la polemica pro o contro l’automazione è da tempo divenuta stantìa.

Da una parte si ha lo smantellamento di 210 anni di eccezionale tradizione, la morte di un mestiere e gli svantaggi dell’abbandono.

Dall’altra c’è il dato di realtà che alla fine del XX secolo non occorrono più tre uomini per accendere una lampadina.

Oggi ci sono molti che asseriscono che i fari sono sopravvissuti al loro ruolo. Gli stessi micro-chip controllati a distanza che valutano il clima, che misurano la velocità del vento, e che accendono i fari, hanno reso inutili i fari stessi.

I computer e i sistemi satellitari possono guidare un marinaio intorno al mondo, tracciargli la rotta da seguire, fare il punto calcolando latitudine e longitudine, pilotare la nave sana e salva a destinazione senza far ricorso a niente di così dolcemente antiquato come un faro in cima a una torre sulla vetta di un promontorio.

Il mondo ha compiuto un intero giro, dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba. Ma per la maggior parte dei marinai i fari rimangono dei “piaceri necessari”. Sono diventati strumenti di estremo rimedio, usati, alla vecchia maniera, quando altre risorse e altri metodi hanno fallito.

I fari saranno stati superati e resi obsoleti dalla tecnologia… ma la tecnologia non sa come affrontare le burrasche a forza 10 e le onde anomale.

Se essa collassa, come spesso le capita, debbono esserci altri metodi e altre forme di guida.

Ed è per questo che la prima cosa che un marinaio vedrà, allorché procede brancolando nel buio verso la sua terra, sarà pur sempre un raggio di luce che oscilla e splende sull’acqua, vincendo il chiarore della falsa alba.

Il mare è una belva addomesticabile e i fari lo hanno reso sicuro.”

 

Da: “Lo splendore degli Stevenson” di Bella Bathurs

Lettura di Martina

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