di Francesco De Luca
‘A neglia. Con essa si avventurano per il grande salto del Mediterraneo gli uccelli nella migrazione primaverile.
Si stende nel mare, e i traghetti, ove incontrano un banco spesso, sono tenuti a diminuire la velocità e a suonare ad intervalli.
Ricordo questa circostanza… s’era adolescenti e dalle cabine uscimmo sul ponte di fianco per toccare con mano la fumosa acquerugiola, nella cui spuma i rumori si ovattavano, e la navigazione appariva ‘sospesa’, irreale. Poi… a far ricadere nel reale… il suono della sirena della nave allarmava il cuore.
Sui colli di Ponza zompettano gli uccellini. Sulle alture signoreggia ’u codaianculo (culbianco) che sulle canne dei filari ostenta la sua alterigia, mentre ’u crasteco (l’averla) gracchia dai rami alti degli alberi la sua insofferenza predatoria.
Lentamente i banchi degradano dalla Guardia e la nebbia si perde in fumo. Si dirada nei declivi dei colli. L’isola appare nella sua solitudine di terra persa nel mare.
Gli uomini si dividono gli spazi, alzano confini e barriere, l’oggi non si distingue da ieri, e la meschinità copre ogni sincera umanità.
Nelle nebbie diradate le guerre, velate di opportunismi indegni, manifestano la loro ottusità. Sicché si muore per avidità, per desiderio di potenza, per vigliaccheria.
Il ben dell’intelletto che l’ Occidente ha nettato dai residui ancestrali delle divinazioni, dall’oscurantismo religioso, dal sofismo ideologico, è affossato dall’opportunismo dei potenti.
L’umanità è tale perché, a differenza di ogni ordine vivente, si muove ispirata dalla morale. Ovvero da una legge che nasce soltanto nell’intimo dell’uomo, e nelle relazioni col tutto detta le regole di comportamento. Si è umani se si offre solidarietà, se si cerca l’eguaglianza a danno del privilegio.
I boccioli si aprono, le gemme celebrano lo slancio vitale affinché l’isola diventi un giardino profumato di ginestre e iodio.
Le dinamiche degli isolani si conformano alla solerzia della nuova stagione, e dovunque è un mettersi in moto. Ma nella purezza dell’aria priva di nebbia appare evidente l’inadeguatezza fra il fisico e l’umano.