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Si nasce diseguali. Ognuno con caratteristiche somatiche proprie, con fattori sociali propri, con propensioni personali tutte sue. Ogni nato è un unicum. E così rimarrebbe se permanesse in una condizione di ‘assoluto isolamento’. Ma la condizione ‘civile’ inserisce l’individuo in un contesto sociale, dotato di leggi. Ne deriva che egli perde la sua ‘assolutezza’, ed acquista ‘dipendenze’. In sintesi si potrebbe dire che all’individuo viene tolta la sua libertà assoluta in compenso di una dipendenza condizionata. Di una libertà partecipata, condivisa.
Ho parlato di perdita, ma l’acquisto è di gran lunga più redditizio, perché si entra a far parte di una società. Che offre garanzie.
Di cosa?
Garantisce l’‘uguaglianza’.
Discettare della libertà senza accorparla all’uguaglianza significa fermarsi al puro arbitrio, ovvero alla volontà senza limiti.
Ma non è questa la libertà di cui si intende godere allorché si è nella condizione di ‘cittadino’. Perché il puro arbitrio, a parte che è una condizione innaturale non pertinente all’uomo, amplificherebbe le diseguaglianze congenite alla nascita.
Si nasce diseguali, e chi più ha più pretende, e chi è più forte più avanza, e chi più sa più azzarda, e così via. L’eguaglianza regolata e coniugata dalle norme, come lo è nella nostra Costituzione, permette che ciascuno possa realizzare le sue potenzialità liberamente, permettendo a tutti gli altri membri della società, di raggiungere i propri obiettivi.
Liberamente, ossia sostenuto dalle sue propensioni e limitato da quelle altrui.
La qual cosa garantisce la vivibilità, giacché, diversamente, ci sarebbe la prevaricazione del più forte sul più debole, del più ricco sul povero, del malfattore sull’onesto, e via dicendo.
La diseguaglianza civile genera la lotta, implementa la violenza. Giacché c’è da aspettarsi che chi non si sente libero aspiri ad esserlo. A danno di chi esercita la propria libertà a capriccio (le rivoluzioni hanno preso origine da questa condizione e sono state sempre sanguinose ).
L’eguaglianza è foriera di pace sociale.
L’impegno del cittadino cui sta a cuore la vivibilità sociale sta nel tendere a rispettare le regole affinché le diseguaglianze di partenza – che ci sono perché il figlio del possidente parte avvantaggiato nei confronti del figlio del povero -, siano dissipate. Aspirando alla libertà civile.
Perché aspirando? Perché si deve innescare, in ciascuno, un processo. Un cammino di maturazione civile, tale che si portino modifiche alle condizioni di partenza. Ognuno mettendosi nella condizione di promuovere l’eguaglianza.
Qual è il guadagno di chi deve dismettere parte del proprio possesso, della propria ricchezza, del proprio agio? Il guadagno consiste nel realizzare la pace sociale. In essa nessuno deve lottare per mantenere il suo. Bandita è la violenza e goduta è la condivisione.
Il compito di ciascuno, per l’intero arco della vita, consiste nel promuovere questo processo. Che non si stabilizzerà mai, mai trovando compimento definitivo.
È il destino di chi vuole avere nel mondo un ruolo attivo. È la sua vitalità.
Mi fermo. Sto assumendo toni profetici che mal si addicono a questi argomenti.
Non sollecito pareri favorevoli, mi accontento di suscitare riflessioni. E non ha nemmeno rilevanza che abbiano padri ragguardevoli come Gustavo Zagrebelsky e Domenico De Masi.
Consentitemi di chiudere con una affermazione che sembra uno slogan ma non lo è: la libertà unita all’eguaglianza trova appagamento nella democrazia, oggi con un volto più avvincente: la sostenibilità sociale. Non nasciamo uguali ma lo diventiamo nella libertà.