di Francesco De Luca
‘Ncopp’ a scugliera, guardanno ‘u mare (accompagna la lettura ascoltando la canzone di De Crescenzo: Cielo su cielo)
Piglià ‘u viento ‘nfaccia per sentirsi più leggeri. Forse riusciremo a sollevarci, chi sa. E’ troppo meschina questa realtà che cammina sulla rotaia della quotidianità. La dobbiamo percorrere per non deragliare dal vivere civile. La sola dimensione possibile. L’impronta sociale dell’uomo impedisce ogni follia solipsistica.
Il cielo non ci attende. Lo sospiriamo ma lui non ci regge.
Al massimo possiamo provare leggerezza nel mare. Sì, nell’acqua il peso si allevia, e, con lui, la mente si solleva. Un poco. Anzi, più si va sotto, verso il fondo blu, più il gravame mentale s’ alleggerisce. Per quel minuto. Soltanto quel minuto. Poi i polmoni premono e ci si riporta in superficie.
Opprime il dolore della gente che muore per l’avidità di altra gente che, pur grassa di cibo e di protervia, dilapida la ricchezza del pianeta sul quale abbiamo avuto la fortuna di aprire gli occhi. Questo opprime.
Stiamo trasformando la fortuna in un disastro planetario, il dono in un misfatto.
La conoscenza e il sentimento, le grazie che ci hanno disvelato le leggi della natura e la bellezza, si stanno trasformando in misera servitù. Al soldo, al ricatto, al dominio.
Il vento e la raffica cruda scompigliano il groviglio dei pensieri indotti. L’occhio si perde nel cavo del golfo, arriva a Gavi, evanescente nell’immagine intrisa di nebbia.
Piglià ‘u viento ‘nfaccia pe nun perde ciato.