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Come abbiamo proposto l’articolo di Marco Belpoliti sugli inganni del linguaggio usato dalla Meloni – leggi qui – così segnaliamo questo polemico articolo di Concita De Gregorio su la Repubblica di ieri, 13 novembre, sulla decodifica della comunicazione sui media. Anche perché certi personaggi che la nostra giornalista cita (Con-cita!) – i negazionisti dell’evidenza, quelli sempre “controcorrente” rispetto al “pensiero dominante”, i super-esperti che non ne azzeccano una… – li conosciamo benissimo: scrivono di tanto in tanto anche commenti sul sito!
La polemica
Scegliere a chi credere
di Concita De Gregorio
La disastrata armata russa si ritira da Kherson, gli ucraini escono in strada a festeggiare e uno pensa ah, vedi. Allora non era vero quel che diceva il super-esperto conteso da tutti i programmi tv, il perfettamente sicuro professor Orsini, lo diceva giusto l’altro giorno con il consueto fastidio per le opinioni altrui: «Si prospetta un bagno di sangue, i russi intendono fare un massacro, intendono combattere per mantenere Kherson». Uno — ma dico proprio uno qualunque, non un esperto di politica internazionale: uno che guarda da casa mentre stira — dice pensa, si era sbagliato. Vedrai che la prossima volta si corregge, oppure non lo invitano più, perché che esperto sei se le analisi e le previsioni le sbagli tutte: Putin non si può battere, i massacri sono una messa in scena, aiutare l’Ucraina significa provocare una guerra nucleare. Invece no, invece nulla.
Non succede mai assolutamente nulla.
Né se dici che i cadaveri sono pupazzi e gli inviati sul posto ti dicono no, guarda, sono veri, né se insegui uno col microfono sotto casa e quello poi si ammazza, né se ti inventi una regola che non esiste al mondo e fai sbarcare mezza famiglia sì e mezza no, poi la Francia e il resto d’Europa ti dicono ok, allora d’ora in poi fate da soli, auguri.
Pensi: adesso cambia la musica. Hanno fatto, hanno detto una gigantesca scemenza e — come a scuola, come nel famoso criterio del merito — chi sbaglia rimedia, si ferma un turno, studia meglio. Invece no. Invece nulla.
Meloni cresce nei sondaggi fino a sfiorare il 30, il giornalismo della gogna è un modello da cui non si può arretrare, osserva l’editore parzialmente contrito: la gente se lo aspetta, gli ascolti lo dicono — guardate l’Auditel. Orsini la prossima settimana sarà al suo posto, e dico Orsini per indicare un mondo, non se ne adonti, non è un fatto personale.
Dico Orsini per indicare tutti quelli che “controcorrente” rispetto al “pensiero dominante” sono ogni giorno in tv rilanciati dai giornali e poi nelle clip sulle homepage dei siti mainstream che disprezzano a dire che non li fanno parlare, che sono censurati, oibò, non hanno voce, ma come non ce l’hanno: sono sempre lì.
Allora, forse, vale la pena voltare le spalle al palco. Smettere di monitorare i leader, gli opinion leader, le star della tv e dei sondaggi e volgersi a guardare il pubblico. Perché ciascuno può dire qualunque cosa, ancora, con buona pace del governo nuovissimo e dei suoi antichi desideri. Ciascuno può dire quel che ritiene — che i vaccini ti fanno diventare autistico, che Putin è democratico, che le Ong sono in combutta con gli scafisti e bloccare le navi di soccorso significa fermare l’esodo biblico dalla morte alla vita, fermare la storia mentre accade — il problema è chi ci crede. La grande questione è non chi dice: chi crede.
Come, quando è successo che i cittadini elettori, gli spettatori, gli utenti social che su tutto la sanno lunghissima hanno smesso di distinguere una boiata pazzesca da una storia vera o verosimile, com’è possibile che serva Elon Musk per certificare con un bollino blu la verità. Come si spiega che il popolo antagonista che ti mette in guardia nelle chat dal diffidare dei poteri forti e dalla Nato, degli euro-burocrati, dai competenti tecnocrati, dai giornalisti venduti, dal cibo contraffatto dal pensiero unico e dalla pace armata siano gli stessi che poi abboccano a qualsiasi slogan, alla pochette che diventa dolcevita, al vittimismo eroico di chi non ne indovina una ma fa il botto in tv. Come si sposa lo scetticismo del sopracciglio alzato alla dabbenaggine: alla memoria dei pesci rossi, all’incapacità di ricordare non dico i decenni scorsi, ma l’altro ieri. Se volevi fare il presidente della Repubblica per il centrodestra, dieci minuti fa, come fai a candidarti per il centrosinistra dieci minuti dopo.
La ragione per cui i negazionisti dell’evidenza sono sempre in tv è che fanno ascolti. Il pubblico, da casa, li sceglie col telecomando. E siccome la tv è un generatore di denaro, di pubblicità, chi fa ascolti vince su chi non li fa. È la domanda che genera l’offerta, in questo sistema.
Nell’odiato Sistema. Sono i dati del giorno dopo che dicono chi aveva ragione, fino a che non arriverà qualcuno capace di suscitare con un’offerta nuova una domanda che non c’era. Dunque è il pubblico che decide, siete voi. È abbastanza ridicolo dire che la tv i giornali fanno schifo se poi, dati alla mano, quel che volete è lo schifo. Un grande equivoco è che ci sia bisogno di semplificare, dire due tre cose semplici e sovente farlocche. Così si vince. Sì, è vero.
La maggioranza adulta e analfabeta di codici la prendi. Ma è un investimento a perdere.
Perché i famosi giovani di cui tutti parlano e di cui nessuno si occupa, i giovani che non trovano più casa — comprensibilmente — nei giornali, nei partiti, nella tv sono molto competenti, invece, nelle cose di cui si occupano: sono attenti. Generano comunità in mondi complessi. Si sentono a casa dove sono coinvolti, partecipi del processo ermeneutico (che bestemmia, pensa dirla su RaiUno), dove la competenza specifica dei temi, il dubbio, l’approfondimento sono la norma.
Leggono e ascoltano voci in lingue straniere, si fidano di chi sa le cose e sanno distinguere chi le sa. A differenza del vecchio uditorio a spegnimento, la morta gora dei superstiti, di chi offre per disperazione in replica quel che ha già funzionato per farlo funzionare ancora.
L’analfabetismo senile è il pozzo del successo di oggi, la tomba di domani. Pensare ci affatica, ci svuota dentro.
Eppure è questo, ci piaccia o no, il punto: scommettere da capo su chi sa distinguere e vuole farlo. Essere complessi, profondi, imprevedibili. Mollare l’algoritmo, la spunta blu, oppure usarli: andare nel mondo di dopo.
Sandro Russo
15 Novembre 2022 at 09:16
Da sempre apprezzo Concita De Gregorio, scrittrice e giornalista, per quel che scrive e per come lo scrive. Impegnata, polemica e divisiva quanto basta, tanto da crearsi solide antipatie anche (soprattutto) nel mondo della sinistra, da sempre più facile a combattersi che ad aggregarsi.
Più volte mi sono trovato a difendere i suoi scritti in riunioni tra amici (amici?): da quando è stata direttrice dell’Unità (agosto 2008 – luglio 2011).
Editorialista di Repubblica, da sempre schierata dalla parte delle donne, madre di quattro figli, che spesso fanno capolino nei suoi scritti.
Anche visionaria, anticipatrice e controcorrente. Al riguardo voglio cercare, e proporre ai lettori, un suo scritto dello scorso agosto – tempi di fibrillazione elettorale – in cui propone la terna delle sue candidate ideali: oltre a Giorgia Meloni per la destra, Mara Carfagna per il centro e Elly Schlein per la sinistra. Un articolo per molti versi esemplare.
Entro stasera sul sito.