segnalato dalla Redazione
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Pubblicato con perfetto tempismo il libro cui Ezio Mauro (giornalista e scrittore, ex direttore di Repubblica) stava lavorando da tempo (vedi anche un suo Lonform su la Repubblica) – L’ANNO DEL FASCISMO – 1922. Cronache della Marcia su Roma.
Qui di seguito la lunga intervista di Concetto Vecchio all’Autore.
Ezio Mauro: “Le mie cronache nere della Marcia su Roma”
di Concetto Vecchio – DA Il Venerdì di Repubblica del 7 ottobre 2022
Il suo saggio sul 1922 esce mentre Giorgia Meloni si appresta a governare il Paese: “Non vedo un rischio fascismo, ma una democrazia deteriorata sì”
Ottobre 1922: le squadracce fasciste marciano su Roma (PA Images via Getty Images)
ROMA. “Il fascismo forse non si poteva fermare, ma la marcia su Roma sì”. Ezio Mauro, 74 anni, dal 1996 al 2016 direttore di Repubblica, di cui oggi è editorialista, ha ripercorso il 1922, la soglia della dittatura, in un libro serratissimo, L’anno del fascismo (Feltrinelli), che esce proprio mentre Giorgia Meloni si appresta a governare l’Italia.
L’Italia ha fatto i conti col Ventennio?
“No, affatto. Negli ultimi trent’anni è avvenuta una banalizzazione nella lettura del fascismo, come se fosse stato un mondo di cartapesta. Ma come si fa a banalizzare il delitto Matteotti, le leggi razziali, lo squadrismo, l’amicizia con Hitler, la guerra?”.
C’è una messa in discussione dell’antifascismo?
“C’è stato un disarmo. L’antifascismo è stato attaccato, quando dovrebbe essere patrimonio di tutti, perché rappresenta la fonte di legittimazione della Repubblica”.
Ci sono delle analogie col presente?
“Mi sono ben guardato dal farlo nel libro, anche perché oggi non ci sono figure della statura di Turati o Mussolini. Tuttavia c’è nella retorica del populismo di diversa intonazione un uguale dileggio del Parlamento. ‘Un nido di gufi’, lo definiva Italo Balbo. ‘Le Camere sono imputridite’, nella definizione di Mussolini. Sono frasi che riecheggiano anche adesso”.
Perché Giorgia Meloni fatica a fare i conti col fascismo?
“Cosa vuole dire quando afferma che l’ha consegnato alla storia? O quando precisa di non essersi opposta alla presa di distanza di Gianfranco Fini? Sono giudizi a metà, tirati fuori con le tenaglie. Perché non dice che il fascismo è antidemocratico come pratica e come ideologia e va rifiutato in blocco?”.
Non lo fa per un calcolo elettorale?
“Non solo. Intende così confermare una sua anomalia. La posta in gioco è il governo, ma anche il sistema. Nel senso di chiudere i conti con l’eredità antifascista nata dalla Resistenza ed entrare così in una fase nuova che abbia reciso quella radice”.
Una Seconda Repubblica svincolata dall’antifascismo?
“Sì, che sia istintivo o razionale, è quello l’obiettivo delle tre destre. Anche la modifica della Costituzione, con l’introduzione del presidenzialismo, va nella stessa direzione: infatti viene brandito come una cesura per avviare un cambio di regime”.
Nel libro scrivi: la marcia su Roma fu un colpo di Stato lungo un anno.
“Perché c’è una lunga incubazione che precede l’atto finale, nell’ottobre di cent’anni fa. Le violenze dei fascisti si dispiegano già nel 1921. Solo quell’anno vengono distrutte 59 case del popolo, 197 sedi di cooperative, 83 edifici delle leghe, 141 sezioni del Partito socialista. E le illegalità proseguono inarrestabili per tutto il ’22. Pietro Nenni dirà: ‘Ci hanno tolto l’acqua in cui nuotare'”.
Nel mirino quindi ci sono le organizzazioni della sinistra?
“Sì, nel tentativo di metterle fuorigioco e alterare così la competizione elettorale. Impongono ai sindaci socialisti di farsi da parte, entrando nottetempo nelle loro case e costringendoli a firmare le dimissioni sotto minaccia. Nel ’20 rovesciano 289 Comuni, 365 nel ’21: uno al giorno. Dal 1919, anno della sua fondazione, al 1922, quando prende il potere, il fascismo farà tremila morti”.
Perché occorreva disarticolare i Comuni?
“La nostra democrazia è fondata sui municipi, quindi anche quella rete andava mandata all’aria. L’assalto più simbolico avviene nell’agosto 1922 a Milano, il Comune retto da Angelo Filippetti, un antifascista molto popolare tra i cittadini. I fascisti premono sul portone di palazzo Marino mentre Filippetti è in vacanza, e forzano l’ingresso: uno di loro, Natale Quaragna, riesce ad arrampicarsi su una colonna fino al balcone da dove mostrerà alla folla un gagliardetto del Fascio”.
Che partito era quello socialista?
“Bakunin, ricevendo a Mosca Giacinto Menotti Serrati, dirà: “Siete un partito di avvocati”. Ma di avvocati agitatori. Rivoluzionari che andavano nelle aie a sostenere le lotte dei contadini, nelle fabbriche ad organizzare gli operai. All’improvviso a esserlo si corrono rischi enormi per la proprio incolumità. Sono interessanti le lettere dei lettori dell’Avanti!, scritte in un italiano malfermo: chiedono di non ricevere più il giornale, perché si subiscono angherie. L’Avanti! subirà tre assalti”.
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Come spiegheresti a un giovane questo culto della violenza?
“Era una coda della Prima guerra mondiale, in cui si mischiavano molti elementi: il mito dell’azione, quello dell’avventura, il dare del tu alla morte. Il fascismo intrepreta questo sentimento e lo trasforma in politica”.
Il libro è anche una galleria di ritratti: Facta, Giolitti, Turati, Vittorio Emanuele III, D’Annunzio, Mussolini.
“Luigi Facta era il presidente del Consiglio, messo a capo di un governo debole: il quarto presidente in tre anni dopo Nitti, Giolitti, Bonomi. Gaetano Salvemini lo definirà “uno dei maggiori idioti di tutti i tempi e di tutti i Paesi”.
Infatti la sera della marcia su Roma va a dormire presto.
“Sì, ma poi lo svegliano e a mezzanotte e dieci telegrafa al re, che si trova a San Rossore, per chiedergli di tornare subito a Roma”.
Anche il re è stato troppo arrendevole col fascismo?
“Il re è soprattutto spaventato. Lo assilla l’ossessione dinastica, la paura di perdere il trono: con qualche ragione, visto che in cinque anni 26 famiglie coronate erano cadute. Teme che Mussolini lo voglia sostituire con il duca d’Aosta. Lo confessa angosciato a Facta”.
Benito Mussolini (Getty Images)
Come reagisce Mussolini di fronte a questo tentativo?
“Mussolini, da tattico abile, glielo fa credere. Tratta fino all’ultimo con Alfredo Lusignoli, uomo di Giolitti: sull’ingresso nel governo, sui ministeri. Nenni, che lo aveva conosciuto da giovane, dirà: “Aveva una grandissima voglia di comandare”. Ma in quell’autunno del ’22 Mussolini è ancora incerto se prendere il potere per via legalitaria o per via insurrezionale”.
Cosa lo frena?
“Teme che l’esercito possa schierarsi col re. Delega perciò la responsabilità della marcia su Roma ai quadrumviri, i gerarchi, i quali però non governano più niente. Mussolini fino all’ultimo si sfila dalla responsabilità. Secondo Margherita Sarfatti alla vigilia si trova a Soldo, a un passo dalla Svizzera, pronto a varcare la frontiera se le cose andassero male. Secondo la moglie Rachele, invece, la trascorre al teatro Manzoni, a Milano, a vedere Il Cigno di Molnar: ostentatamente si alza in piedi per farsi vedere dalle spie che presume lo seguano”.
Chi ha ragione?
“Riporto nel libro entrambe le testimonianze. Sono però andato a controllare, quella sera al Manzoni non si recitava Il Cigno”.
E perché sceglie poi l’insurrezione?
“Si rende conto che lo Stato liberale è definitivamente indebolito, incapace di reprimere l’esercito privato messo in piedi l’anno prima dai fascisti: un esercito che aveva giurato fedeltà a Mussolini e che ora premeva per la conquista violenta del potere. Il re prima sembra favorevole allo stato di assedio poi, dopo una notte insonne, non firma il decreto, sfiduciando così il governo Facta. Mussolini coglie quel varco e all’ultimo vi s’infila”.
Il tuo metodo è quello della grande cronaca. I ferri del nostro mestiere sono adeguati per raccontare la storia?
“Non sono uno storico, ripercorro gli eventi quotidiani giorno dopo giorno, come in passato ho fatto con i libri su Moro, il Muro di Berlino, la scissione di Livorno, la Rivoluzione russa. La cronaca si rivela attraverso i dettagli: “Solo i particolari dei particolari trasformano una storia inerte in qualcosa che merita di essere letto”, per citare Nabokov”.
E ora? Che democrazia ci aspetta?
“Occidentale? Autoritaria? Illiberale? Un modello che guarda a Putin o a Orbán? Bisognerebbe saperlo. Non credo che ci sia un pericolo fascismo, ma di una democrazia deteriorata sì”.
La sinistra, come nel ’22, va in ordine sparso.
“Sono venute meno molte delle agenzie culturali che la tenevano in piedi. Poi c’è un aspetto che spesso si trascura: la responsabilità del governare non viene riconosciuta, più ne stai lontano e più vieni premiato”.
Come lo spieghi?
“Con un riflesso castale. Il governo è visto come inganno delle élite, si paga pegno invece di incassare il dividendo”.
La sinistra non ha fatto troppi errori?
“Li ha fatti, certo, ma cosa sono rispetto a un Salvini che girava con la maglietta di Putin o a Berlusconi che dà dell’invasione dell’Ucraina la stessa lettura del Cremlino?”.
Ma la sinistra non ha più un popolo.
“Non parla più ai ceti del bisogno, che un tempo si affidavano ad essa per una necessità di emancipazione, né ai ceti del cambiamento. Ma se non si fa ascoltare da entrambi, e non li ascolta, perde la sua ragion d’essere. La democrazia, dicono questi ceti, vale solo per i garantiti, non per noi. E infatti si astengono. Ecco perché questa rabbia, se non assorbita, rischia di mettere in discussione la democrazia. Ed è un pericolo mortale”.
Sul Venerdì del 7 ottobre 2022
“L’anno del fascismo. 1922. Cronache della marcia su Roma” di Ezio Mauro è stato presentato sabato 22 ottobre, nell’ambito del festival Che Storia!, a cura di Fondazione G. Feltrinelli. (Appuntamento alle 18:30 in Viale Pasubio 5 a Milano e in streaming www.fondazionefeltrinelli.it). La presentazione è una delle sei serate di “Fascismo in tempo Reale – A colpi di parole”, palinsesto organizzato in occasione del centenario della Marcia su Roma.
La copertina de Il Venerdì di Repubblica del 7 ottobre 2022
Le tre pagine dell’articolo originale in file .pdf: Il Venerdì di Repubblica del 7.10.2022 pp 44-45-47