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Il fascismo eterno come stato d’animo
di Corrado Augias – Da la Repubblica del 20 agosto 2022
Pur discostandosene, è il terreno in cui Meloni è cresciuta
Nel bell’intervento di venerdì 26 scorso su queste pagine, il professor Federico Varese si è chiesto fino a che punto sia giustificata l’accusa di “fascismo’” rivolta a Vladimir Putin. Mi ha colpito, tra le altre, questa frase: «Ci fu un solo nazismo ma molti fascismi. Il primo era un regime particolare, con una teoria della razza, neopagano, totalitario, con una precisa filosofia della volontà di potenza. Il secondo non aveva una visione monolitica, risultava nebuloso, fondato su un sincretismo flessibile».
Descritto così diventa più comprensibile l’appellativo di “eterno” che Umberto Eco attribuì al fascismo — descrivendolo cioè più che come un’ideologia o un regime, come uno stato d’animo.
Trasferendo la questione alla brutta campagna elettorale in corso, ci si può chiedere fino a che punto abbia colto nel segno la sinistra impostando la prima parte della campagna elettorale su un possibile pericolo “fascista”. Centrare uno stato d’animo, colpire la nebulosa, cangiante natura del fascismo è praticamente impossibile, tanto più se i richiami alle infamie del regime vengono ormai rinnegati dagli stessi eredi diretti.
I sondaggi sono concordi: per la gran parte gli italiani sono disorientati e delusi dalla politica, la sola cosa che sembra interessarli è uscire al più presto, come che sia, da una situazione d’incertezza che dura ormai dal 1994 cioè da quando per la prima volta un partito anomalo come Forza Italia ruppe la consuetudine repubblicana che bene o male aveva consentito mezzo secolo di crescita ininterrotta.
L’eventuale ritorno di un “fascismo”, inevitabilmente addolcito dai tempi e dalla presenza dell’Europa, non spaventa quasi nessuno. Tanto più che stiamo vivendo anni senza tregua, un ventennio aperto dall’attacco alle torri di New York, seguito da dieci anni di severa crisi economica, da una pandemia che ha provocato 1 milione di morti e non accenna a finire, da una guerra che prepara un futuro imprevedibile, anche se combattuta con strumenti e tattiche di metà Novecento.
Il XXI secolo fino ad ora ci ha assestato una buona dose di legnate. Delusione, disorientamento sono reazioni ampiamente comprensibili anche perché le vecchie organizzazioni politiche non hanno retto all’onda del cambiamento. A parte una sola eccezione, abbiamo a che fare con confusi raggruppamenti privi di struttura — quindi di disciplina — senza ideologia né cultura politica, guidati da leader effimeri pronti a passare da un’idea all’altra, disinvolti nel promettere qualunque cosa sapendo benissimo che non potranno tenere fede alle loro parole.
In condizioni del genere, delusione e disorientamento sono umanamente comprensibili così come lo è l’amplissima astensione dal voto in un paese che fino a pochi anni fa aveva una partecipazione elettorale tra le più alte d’Europa.
Il richiamo ai valori dell’antifascismo è nello stesso tempo doveroso e inefficace. Non è facile sfidare l’indifferenza e la delusione citando uno dei pochi elementi che hanno tenuto insieme gli Italiani dal 1948, i valori della Costituzione repubblicana e antifascista. Quello scudo di 139 articoli ha difeso e difende non solo i protagonisti della vita politica ma ogni singolo cittadino compresi i promotori di quei movimenti anarchicheggianti che non vogliono l’Europa né i vaccini, rifiutano l’euro e la collocazione atlantica dell’Italia. Possiamo considerarli vaneggiamenti irresponsabili quali in sostanza sono — però hanno il diritto di esistere e di essere espressi perché lo scudo costituzionale difende anche loro.
Quando da sinistra si additano i pericoli di autoritarismo, non ci si riferisce certo ad una nuova marcia su Roma (anche se sono curioso di vedere che succederà il prossimo 28 ottobre) si fa solo presente la possibile lesione di quello scudo, il timore che la sua funzione di difesa possa essere sminuita o intralciata per interesse, per residui ideologici, per irresponsabilità o inesperienza nel maneggiare il delicato equilibrio di pesi e contrappesi nel funzionamento dello Stato.
Ricordo quello che successe nel 2008 quando Gianni Alemanno venne eletto sindaco di Roma. Ci furono scomposte manifestazioni di esultanza, saluti romani, viva il Duce, Eja eja alalà sulla piazza del Campidoglio.
Giorgia Meloni è più intelligente, tra l’altro mostra di sapere quali delicati equilibri internazionali consentano all’Italia di restare in piedi nonostante il suo mostruoso debito pubblico; credo che scoraggerebbe manifestazioni del genere, credo anzi che via via potrebbe addirittura tentare di liberarsi dalle frange para-criminali dei suoi supporter. Quella però resta la sua cultura d’origine, in quella compagnia ha passato la giovinezza, lì ha preso forma il suo “stato d’animo”. Non è ingiustificato il timore che, una volta a Palazzo Chigi, potrebbe trascurare o peggio i residui valori comuni della convivenza repubblicana. Aver reclamato già prima del voto la presidenza del Consiglio, violando il galateo istituzionale, è un brutto segnale.
L’aspetto drammatico di questa situazione è la difficoltà di comunicarla. Sarebbe praticamente impossibile riassumere in un dibattito televisivo o in un comizio, i temi agitati nell’intervento del professor Varese, dal quale ho preso lo spunto.
Al contrario, è facile gridare in piazza Dio, Patria, Famiglia (leggi qui: Gli slogan elettorali), porta voti promettere meno tasse per tutti, garantire più sicurezza e meno immigrati.
Mettere in guardia sul pericolo che possono correre i valori della convivenza repubblicana tende invece a sfumare sullo sfondo dell’indifferenza.
[Da la Repubblica del 29 agosto 2022]
Immagine di copertina: dall’articolo di Repubblica riportato