Giovani

I giovani al voto

proposto da Sandro Russo

Non ho mai fatto mistero di una spiccata ammirazione (e condivisione) per quel che dice/scrive Michele Serra; più frequentemente dalle pagine di Repubblica, ma anche altrove.
Serra mi dà la rassicurazione che ancora esiste qualcuno che pensa/scrive “cose di sinistra”, in un momento delle nostre vite – ma anche della storia – in cui questa certezza comincia a vacillare e a tratti affiora l’impressione che si sia trattato solo di una nostra illusione.
S. R.

Qui sotto il video della sua partecipazione alla puntata di Che tempo che fa del 27 febbraio scorso, da Fazio, su Rai Tre:
A sedici anni non si capisce niente. Non si sa come funziona il mondo. A sedici anni pensavo che la pace fosse molto più forte della guerra. A 16 anni non capivo niente e non sapevo niente. (…) (…) Crescendo, come tutti, ho imparato a fare i conti con la vita, e con la realtà (…)”

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Il video fa da contrappunto ideale a questo suo intervento sul voto dei giovani, come emerso dalla recente statistica  Swg sui 18-24enni, che ha spinto appunto il giornale a titolare (su quattro colonne) sulla questione giovanile:

Ritaglio della prima pagina da Repubblica di ieri 1° settembre 2022

Il commento
La sinistra dei giovani delusi
di Michele Serra

Tra i neo elettori la prevalenza dell’universo valoriale democratico e progressista dentro le urne non prende forma

Un sondaggio è solo una fotografia, risente della sua istantaneità e non può dare atto della complessità dello scenario circostante. Ma — come ogni fotografia — qualcosa mette a fuoco, qualcosa definisce, qualcosa “dice”. Nello studio della Swg sul voto giovanile, per esempio, a parte alcune conferme quasi scontate (la disaffezione per la politica, e il sentirsene esclusi come causa), ci sono alcuni dati che rimangono impressi.

Il primo è che, tra i ragazzi dai 18 ai 24 anni che non andranno a votare, la percentuale di coloro che si dichiarano “di centrosinistra” è doppia rispetto a quella degli astenuti che si dichiarano “di centrodestra”. Il tasso di delusione, tra i giovani elettori di sinistra, sarebbe dunque decisamente più alto, e la crisi di rappresentanza della sinistra politica più percepita dal suo potenziale elettorato. Difficile dire se questo dipenda dalle maggiori aspettative politiche dei giovani elettori di sinistra rispetto a quelli di destra (più alto è l’investimento sulla politica, più alte le aspettative, più facile rimanere delusi); oppure dal fatto che l’offerta politica dei partiti di destra è più rispettosa della volontà del proprio elettorato e più fedele a quel mondo valoriale. Probabilmente, è l’intreccio tra i due fattori.

Resta il dato crudo, non nuovo e non limitato all’elettorato giovanile: l’esercito dell’astensione, ormai da diversi anni, sembra essere in maggioranza “di sinistra”, perché maggiore è la delusione dell’elettorato di sinistra.

Diversi altri dati del sondaggio valgono come conferma di quanto sopra. I temi politici che stanno maggiormente a cuore all’elettorato giovanile nel suo complesso sono l’ambientalismo e la parità di genere, almeno sulla carta temi “progressisti”; e anche il breve identikit del campione di ragazzi intervistati sembrerebbe decisamente più orientato verso ciò che convenzionalmente chiamiamo sinistra. Ai primi quattro posti della piccola hit-parade valoriale ci sono questi attributi, nemmeno troppo vaghi: ambientalista, progressista, europeista, antifascista. “Moderato” e “liberista” sono al settimo e al nono posto. Ma nelle intenzioni di voto questa prevalenza dell’universo valoriale democratico-progressista non prende forma, e la coalizione di centrodestra rimane in vantaggio, se pure di poco, rispetto al centrosinistra nel suo complesso.

Sono passati molti anni dall’invocazione morettiana “dì qualcosa di sinistra”, al tempo stesso ingenua e profonda. Ma è probabile che il problema sia ancora e sempre quello: una identità sbiadita che in molti, e con intenzioni spesso molto difformi, cercano di ravvivare, o di reinventare, con risultati molto confusi anche quando l’intenzione sia generosa.

Impossibile riassumere in poche righe il complicatissimo, annoso guazzabuglio, con tratti “liberali” e “socialisti” che si contendono un volto non più presidiato da connotati certi. Forse possiamo capire meglio il problema con un esempio semplice, forse troppo semplice e troppo “psicologico”, e però abbastanza eloquente. Salvini propone la reintroduzione del servizio militare di leva. È una proposta schiettamente “di destra”, che parla senza tentennamenti all’elettorato di destra e comunque apre un varco potenziale anche tra i molti elettori non di destra che hanno qualche dubbio sull’eclissi del concetto di “dovere”.

Anche a sinistra, da parecchio tempo, si discute di un obbligo di leva, sì, ma per il servizio civile. La proposta, fondamentalmente carsica, emerge a tratti per poi sprofondare nuovamente nell’underground del dubbio.

La sinistra, si sa, è più pensosa della destra, e dunque ecco subito le incertezze sulla fattibilità economica di una proposta del genere; su come reagirebbe il terzo settore; su come reagirebbero i ragazzi; sugli eventuali malumori che la parola “obbligo” potrebbe comportare.

Il risultato è che la destra, o perlomeno il suo esponente più esplicito (esplicito fino alla brutalità) dice ad alta voce: dobbiamo ripristinare la naja. La sinistra avrebbe avuto tempo e modo per avanzare una proposta radicalmente differente: servizio di leva, sì, ma per aiutare il prossimo, risanare l’ambiente, dare assistenza a chi è in difficoltà. “Qualcosa di sinistra”, facilmente comunicabile a patto di non complicare in partenza una proposta politica che suonerebbe orgogliosamente identitaria. Tutti la capirebbero, i favorevoli come i contrari. Ma la sinistra non se l’è sentita, e chissà quando se la sentirà. Preferisce un mancato rischio a un rischio che potrebbe rimetterla al centro della scena. È un po’ il riassunto della sua storia recente.

 

[Da la Repubblica del 1° settembre 2022]

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