di Gianni Sarro
–
L’analisi del bacio in altri tre film, fatta da Gianni Sarro. Come ho potuto constatare nella mia esperienza, è l’accumulo insensibile di più elementi che porta alla comprensione del tutto: solo in parte per un processo razionale, in gran parte per l’acquisizione quasi automatica di uno sguardo, di un modo di guardare.
S. R.
Il bacio di celluloide
di Gianni Sarro
4. Vivre sa vie, il bacio evocato
In Questa è la mia vita (Vivre sa vie), un film del 1962 scritto e diretto da Jean-Luc Godard e interpretato da Anna Karina, all’epoca moglie del regista, Godard costruisce una scena nella quale contravviene una volta di più alle convenzioni, spingendosi ben oltre Ford e Tarkovskij.
Due giovani, Luigi e Nanà, sono in una stanza. Lui sta leggendo un passo de Il ritratto ovale, un racconto di Edgar Allan Poe, contenuto in un volume intitolato Le opere complete, nella traduzione di Charles Baudelaire.
L’inquadratura successiva mette in campo Nanà, lei dice qualcosa, ma noi non sentiamo la sua voce, bensì leggiamo una didascalia; sempre una didascalia ci riporta la risposta di Luigi. Il giovanotto inizia a leggere a voce alta il racconto, ma noi udiamo la voce extradiegetica (1) di Godard. Durante la lettura scorrono immagini di Nanà, un lunga inquadratura in cui vediamo il suo volto affiancato a quello di una fotografia del viso di una donna appeso al muro. Nanà ora è la donna del ritratto ovale descritta nel racconto di Poe.
Quest’articolata architettura conduce alla rivelazione che attraverso le parole di Poe, Godard sta facendo una dichiarazione d’amore non tanto a Nanà (il personaggio) ma ad Anna Karina, sua moglie nella vita reale, così come il ritratto del pittore del racconto di Poe immortalava la moglie di quello. La battuta di questo gioco di riflessi tra finzione e realtà avviene quando sentiamo la voce (extradiegetica) di Godard dire alla donna: “È la nostra storia. Un pittore che fa il ritratto alla moglie”.
Una doppia dissolvenza introduce la scena della lettura e ci riporta al dialogo scritto tra i due protagonisti. È nella seconda fase di quest’ultimo che avviene il “contatto” con una modalità espressiva chiaramente discontinua, a singhiozzo. Il momento culminate del guancia a guancia (che evoca il bacio) è mostrato da Godard attraverso quattro immagini dei due in mezzo primo piano e controluce ed unite tra di loro da evidenti jump cut (salti d’inquadratura), che hanno l’obiettivo di rendere meno fluida quella continuità, che è uno dei canoni fissi del cinema classico. La scena è ulteriormente caratterizzata da un commento musicale altamente suggestivo.
Godard chiude la scena, con un’altra inquadratura “eretica”, dove vediamo Nanà fortemente decentrata sulla sinistra e lo sguardo è puntato verso uno spazio chiuso che non lascia aria allo sguardo stesso.
Una scena d’amore decisamente moderna, sia nell’uso del linguaggio filmico (didascalie, jump cut, voce extradiegetica), sia in quello narrativo, dove finzione e realtà si mescolano.
5. Notorius, il bacio più lungo della storia del cinema
Quando il film di Hitchcock uscì, nel 1946 – Notorious – L’amante perduta (Notorious), il 35° di una sterminata filmografia: un totale di 56 lungometraggi, senza contare le produzioni televisive) -, la RKO (la casa di distribuzione) puntò con decisione sulla presenza di una scena dove era presente “il bacio più lungo della storia del cinema”.
Questa astuta strategia di marketing contribuì a fare di Notorious un caso, prima ancora che la pellicola uscisse in sala. In realtà siamo di fronte ad un film dove assistiamo alla contaminazione di due generi cinematografici: la spy-story e la commedia romantica.
Al centro dell’intrigo (amoroso e spionistico) troviamo Cary Grant (Devlin) e Ingrid Bergman (Alicia). Della necessità di aggirare con dei sotterfugi le rigide regole del codice Hays è detto in modo particolareggiato nell’altro articolo (leggi qui).
La scena del bacio (in tutto i due si baciano in tre scene, la prima volta all’inizio della pellicola, per pochi attimi, poi nella scena che stiamo prendendo in esame, ed infine verso la fine) arriva dopo una ventina di minuti. Alicia e Devlin si trovano nella stanza d’albergo di lei, si avviano ad uscire in terrazza. La macchina da presa l’inquadra dall’alto. Uno stacco introduce un’inquadratura che mostra l’immagine dei due ad altezza sguardo, di profilo e a mezza figura. Alicia e Devlin cominciano a baciarsi, la macchina da presa avanza verso di loro fino ad inquadrarli in primo piano. Inizia una ripresa ininterrotta che durerà per due minuti circa, durante la quale Alicia e Devlin si spostano dalla terrazza, all’interno della stanza (dove lui telefona), alla porta, senza uno stacco. Nonostante il movimento, nonostante le brevi frasi che si scambiano, Alicia e Devlin per i due minuti compiranno soprattutto un’azione: baciarsi. Un bacio, va detto, sopra le righe (per l’epoca, ma non solo) per la grande sensualità ed intimità mostrate, derivante dalla perdurante ripresa in primo piano.
.
.
6. Omicidio a luci rosse, dall’intimità di Hichcock alla sensualità spinta di De Palma
La pellicola è del 1984 (titolo originale Body Double (letteralmente “controfigura”, ampiamente tradito dalla traduzione italiana) diretta da Brian De Palma, uno dei maestri del thriller del cinema moderno. L’intrigo nasce quando Jake (Craig Wesson) un attore di film horror si trasferisce nella casa di un suo amico. Dalla finestra comincia a spiare Gloria (Deborah Shelton) una splendida donna, che ha l’abitudine di spogliarsi lasciando aperte le tende e la luce accesa.
Voyeurismo ed esibizionismo si fondono e fatalmente tra i due avviene un incontro. Il bacio si consuma alla fine di una lunga sequenza. Inizialmente Gloria e Jake stanno parlando sulla spiaggia, vicino ad una cabina, improvvisamente un uomo arriva correndo e scippa la borsa alla donna. Inizia un lungo inseguimento sulla spiaggia, che continua in un tunnel, qui Jake viene colto da un attacco di claustrofobia (uno dei temi cari a De Palma, insieme, al terrore, alla perversione, alla deviazione di personalità) dal quale viene immobilizzato. Solo il sopraggiungere di Holly porta al superamento del blocco psicofisico di Jake, la donna lo prende sottobraccio e lo accompagna fuori.
Quest’articolato preludio al bacio ha evidenti convergenze con quello di Paul ed Holly in Colazione da Tiffany. Come loro, così Gloria e Jake vivono una situazione eccezionale (l’evento, la paura, l’improvvisa complicità) che innesca il meccanismo emotivo che li porta al superamento delle barriere emotive, superate le quali il bacio diventa naturale. Veniamo ora alla rappresentazione visiva del bacio, secondo De Palma.
La prima cosa che salta evidente agli occhi è l’estrema dinamicità. Gloria e Jake sono travolti da una forte passionalità, che li porta quasi ad uno scontro, ad un movimento non fluido come quello di Alicia e Devlin, ma che procede a strappi. La ripresa inizia con una canonica inquadratura a mezza figura, nella quale i due si avvicinano lentamente, fino ad iniziare il bacio. Poi, con un repentino salto di campo, vediamo Gloria e Jake aumentare l’intensità del bacio, una musica fuoricampo cresce d’intensità, fino a raggiungere un apice che rimarrà per tutto il resto della scena. La macchina da presa inizia a girare intorno ai due corpi allacciati.
Con questo movimento De Palma da un lato dà movimento alla scena, dall’altro sottolinea il vortice di passione e desiderio che Gloria e Jake stanno vivendo. Un nuovo scavalcamento di campo (il primo dallo sfondo del tunnel ci portava allo sfondo del mare, per sottolineare il mutamento di sfondo emotivo dei due protagonisti, che si lasciavano andare al piacere) ci riporta ad avere il tunnel come sfondo, come a significare il ritorno alla realtà, e infatti pochi attimi dopo Gloria se ne va via correndo. De Palma stacca su un primo piano di Jake: è inequivocabilmente suo lo sguardo affettivo e la soggettivizzazione, attraverso cui noi assistiamo all’intera sequenza.
Il bacio di Omicidio a luci rosse è quindi un bacio carico di sensualità esplicita, dove vediamo la progressiva accentuazione della passione tra Gloria e Jake attraverso la percezione dei corpi sudati, della camicetta di lei che lascia scoperta la spalla destra e, in parte, il reggiseno. Un’esplicita sensualità (peraltro mai volgare) impensabile nelle scene di bacio viste in Colazione da Tiffany, Un uomo tranquillo e Notorius.
Nota
(1) – Il termine “extradiegetico”, in letteratura e nel cinema, si riferisce ad un elemento al di fuori e al di là dell’universo narrativo. Nel caso del film quando il narratore (il regista stesso nel caso di “Vivre sa vie”) si rivolge direttamente al pubblico e non ai personaggi del racconto. In questo caso si può definire “voce fuori campo”, ma extradiegetico ha un’accezione più ampia.
Tipicamente “extradiegetica” in un film, è la colonna sonora, di norma udita solo dal pubblico e non dai personaggi. Tanto per fare un esempio: in una inquadratura si sente una musica; si pensa che sia la colonna sonora del film, quindi extradiegetica, ma nella scena successiva si vede che la stessa musica viene da una radio: quindi entra a dar parte della narrazione e la si può definire diegetica.
[“Un apostrofo rosa tra le parole t’amo” (2) – Continua]
Per la puntata precedente, leggi qui
***
Appendice (cfr. Commento di Patrizia Maccotta)
La canzone di Charles Trenet è stata evocata sul sito per la ricorrenza del 1° maggio 2022 leggi qui, ma non presentata.
Lo facciamo ora, allegando il bel testo francese con la traduzione italiana a fianco (a cura della Redazione).
–
–
Patrizia Maccotta
20 Agosto 2022 at 10:50
Ho letto l’articolo di Gianni Sarro sui baci nei film. Ha il notevole merito di suscitare richiami e associazioni mentali…
Ho pensato a “Baci rubati” (Baisers volés) di Truffaut, 1968, con il suo attore feticcio Jean Pierre Léaud e la struggente canzone di Charles Trenet (del 1942): “Que reste-t-il de nos amours”, “Bonheur fané, cheveux au vent/ Baisers volés, rêves mouvants”.
Felicità appassita, capelli al vento, baci rubati, mutevoli sogni…
–
La canzone di Trenet (con traduzione) nell’articolo di base (a cura della Redazione)
Gianni Sarro
26 Agosto 2022 at 23:06
A Patrizia Maccotta e a Silverio Guarino.
Giusto. In fin dei conti è l’essenza stessa del cinema quella di simulare la realtà e così facendo apre la strada ad un gioco infinito di richiami e associazioni mentali.
Silverio Guarino
21 Agosto 2022 at 13:26
Eravamo alla fine degli anni ’50 e la televisione in bianco e nero trasmetteva un programma rivolto all’insegnamento ed alla comprensione della lingua francese.
Io ero un bambino curioso e affascinato dal fatto che “De Gaulle” si dovesse pronunciare “degòl”, “Bruxelles” “Brussèl” e la parola “Fin” (con la quale terminavano i film muti di Charlot “Sciarlò”) fosse “fèn”, e seguivo con morboso interesse quella speciale lezione di francese.
Ma quel brano non si poteva proprio dimenticare: “Que reste-t-il de nos amours”.
Le canzoni dell’epoca venivano infatti riportate in trasmissione per insegnare la fonetica francese (oltre alla grammatica).
Io ero affascinato (e lo sono ancora) da quel “Que reste-t-il” che è musica, metrica e poesia allo stato puro.
E ringrazio Ponzaracconta per aver riportato per intero il testo e per avermi fatto riascoltare l’originale di Charles Trenet.