proposto dalla Redazione
L’ultima volta (recente) che abbiamo preso questo argomento è stato al tempo della formazione delle liste elettorali con la proposta di Gennaro Di Fazio di un sindaco donna. Allora suscitò diversi commenti. Su un tema analogo questo articolo di Elena Stancanelli – su la Repubblica di ieri – che seppur non conclusivo, fa un punto – da sinistra – sulle problematiche.
Giorgia Meloni (foto dall’articolo di Repubblica online)
Giorgia Meloni, una lezione per la sinistra
di Elena Stancanelli da la Repubblica del 27 luglio 2022
Dovremmo chiederci perché il Partito democratico non riesce a esprimere un nome femminile tra i ruoli di spicco, perché non è in lista neanche una donna come capo della coalizione
Giorgia Meloni potrebbe essere la prima donna a diventare presidente del Consiglio di questo Paese. Come la mettiamo? Dovremmo considerarlo un passo avanti, in vista di una più equa spartizione dei ruoli apicali, o una sconfitta definitiva? Se Giorgia Meloni dovesse diventare presidente del Consiglio e se questo segnasse l’inizio di un periodo buio, oscurantista, un disastro per i diritti delle minoranze, dei migranti e persino delle donne, dovremmo attribuire questa catastrofe al femminismo?
Abbiamo lottato per permettere alle donne di emergere e l’unica che emerge è una post-fascista che grida sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla universalità della croce, no ai burocratici di Bruxelles e altre amenità simili. Ne valeva la pena? Sembra un cul de sac, ma in realtà è solo una questione mal posta. Chi fino a questo momento ha dato il suo voto all’ala democratica non si sognerebbe mai – o almeno spero – di preferire una destra che si profila più corrusca del solito in questa tornata elettorale. Sia che a capo di quella coalizione si trovi una donna sia che quel ruolo venga ricoperto da qualsiasi altra categoria svantaggiata [La questione è: chi a Palazzo Chigi? , di Stefano Folli, 25 luglio 2022]
Non mi pare quindi che per le donne, o agli uomini, di area democratica si ponga o no la questione se essere liete del successo di Giorgia Meloni, in quanto donna. È un avversario politico, punto. Ma la domanda è un’altra. Dal momento che è meno interessante ma assai più utile farsi gli affari propri, sarebbe meglio chiedersi perché il partito democratico non riesce a esprimere un nome femminile tra i ruoli di spicco, perché non è in lista neanche una donna come capo della coalizione di sinistra. Lasciamo definitivamente perdere le salsicce e i sudori, i bibitari e i puttanieri e dedichiamoci a capire come rendere quest’ala democratica degna di questo nome.
Giorgia Meloni è il capo perché quel partito se l’è costruito da sola, questa è la prima ragione. Non ha dovuto fare carriera là dentro perché Fratelli d’Italia, che quindi in un mondo migliore dovrebbe chiamarsi Sorelle d’Italia, l’ha inventato lei. Dunque una donna per arrivare ai vertici deve costruire da sola la sua impresa, il suo partito, la sua corrente artistica? Sì. O almeno, qui in questo Paese e in questo tempo, sì.
Questo significa che per avere una donna a capo di un partito di sinistra dovremmo accollarci un altro partito di sinistra? Per consentire a una donna di ascendere secondo le proprie capacità e non mettendole sulla schiena uno zaino di pietra da trascinare, bisogna avere l’intelligenza di modificare il parametro di giudizio. E per questo serve lungimiranza e coraggio [Matteo Salvini, il ministro di Giorgia Meloni, di Stefano Cappellini, 8 luglio 2022]
La politica, anche grazie alla dissennata esaltazione della verginità a scapito della competenza che ha dominato le penultime legislature, è diventata una scienza opinabile. Opinabilità che ha finito per contaminare molti campi del sapere. Allora scartiamo: parliamo di corpi, di sport. Siamo d’accordo che lo sport è la disciplina più democratica che c’è? Vince il più forte. Chi corre più veloce, chi lancia più lontano, chi sbaglia di meno.
Lo sport è stato a lungo una faccenda da uomini, considerato sobrio, asettico, razionale. Poi è arrivato Open, di Agassi, un romanzo strepitoso con tutti i pregi che sappiamo più uno: averci aperto gli occhi su quanto conta l’emotività nell’ottenere un risultato sportivo al massimo livello. Quanto contano la vanità, i pantaloncini, la pettinatura, la famiglia, l’amore… C’è voluto un uomo per dimostrare quanto il parametro fosse fallace, falso, del tutto pregiudiziale.
Per avere una donna ai vertici della coalizione di sinistra servirebbe quello stesso coraggio, per scardinare l’idea che la competenza e il talento sono per forza legati a una certa immagine, un certo modo di vestire, un certo genere sessuale. Che si può fare politica in un altro modo, sia a destra che a sinistra. Ma soprattutto a sinistra.
vincenzo
28 Luglio 2022 at 09:53
Diamo a Meloni quello che le spetta. La Meloni si è imposta ai suoi Fratelli, nessuno le ha aperto le porte. All’inizio erano pochi i Fratelli e ci voleva coraggio e fede per portare avanti una politica di destra tra l’altro in dialetto romanesco. Ora è simpatico vedere i “masculi” che ce l’hanno avuto sempre duro fare la fila davanti al suo studio.
Ma io volevo richiamare all’attenzione questo articolo che giorni fa mi ha fatto pensare. Tra l’altro questo argomento non è entrato nel dibattito progressista del “politicamente corretto”.
Mi sono chiesto: solo gli uomini possono imbracciare un fucile?
“Il dramma delle donne trans bloccate al confine che non riescono a uscire dall’Ucraina”, da http://www.elle.com
Sandro Russo
28 Luglio 2022 at 19:47
Caro Vincenzo,
alla tua domanda: “Solo gli uomini possono imbracciare un fucile?”, morto Tiziano Terzani, solo papa Francesco risponderebbe con una certa autorevolezza che meglio sarebbe anche per gli uomini smettere di imbracciarlo. Ma dati i tempi, è vox clamantis in deserto.
Ma no! …se ci si mettono anche le donne riescono a farlo. Basti pensare alle donne della nostra Resistenza e alle donne guerriere curde, per averne degli esempi.
Però l’articolo della Stancanelli parla d’altro.
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PS – Mi è venuto in mente in un secondo momento: il ritratto della guerrigliera angolana Carlotta, in un indimenticabile film misto (d’animazione e personaggi reali) tratto da un romanzo di Ryszard Kapuscinski, forse il più grande dei giornalisti di guerra (1932-2007). Titolo originale: Another Day of Life (Ancora un giorno), diretto da Raúl de la Fuente e Damian Nenow (2018).
Qui il trailer: https://youtu.be/dsM_36DLIEE