proposto da Sandro Russo
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Abbiamo molto amato i libri di Tiziano Terzani (1). Il suo “In Asia” è stato per me una chiave per l’altra metà del mondo. E poi molti altri, nel corso di una vita non lunga ma intensa, fino a diventare personaggio lui stesso, con il racconto della sua malattia. Questo libro, la rievocazione del figlio Folco, chiude il cerchio, nella bella intervista di Simonetta Fiori da la Repubblica di qualche giorno fa, apprezzata e messa da parte per condividerla con i lettori di Ponzaracconta.
Folco Terzani: “Così Tiziano, mio padre, si è congedato da noi”
di Simonetta Fiori – Da La Repubblica del 09 luglio 2022
Folco, figlio di Terzani, racconta in un libro-testamento l’ultimo lungo dialogo tra lui e il grande inviato e scrittore scomparso diciotto anni fa. “Diceva che niente finisce, tutto si trasforma. Si sentiva parte della vita cosmica. Era diventato un vecchio saggio”
Tiziano Terzani in una foto degli ultimi anni di vita
È un libro che parla della morte del padre, e può apparire stravagante il sentimento con cui lo si abbandona all’ultima pagina: l’umana invidia per un figlio al quale è stato concesso il privilegio grande di esaurire con il proprio genitore tutte le domande, incluse quelle “postume” che ciascuno di noi si porta dietro per tutta la vita. Domande-tabù su Dio, sulla morte, sul sesso e sull’amore, perfino sulla passione che ha acceso i genitori prima di venire al mondo. Per tutte Tiziano Terzani ha saputo trovare una riposta con l’intelligenza affilata di chi aveva conosciuto il mondo, protagonista del giornalismo internazionale del secondo Novecento.
Sempre vestito di bianco, la lunga barba sapienziale, singolare fusione tra l’Oriente ascetico e la fiorentinità ribalda, nelle ultime settimane di vita Terzani ha voluto restituire il senso della sua ricerca esistenziale al figlio Falco, il quale ne ha trascritto il dialogo registrato nella valle dell’Orsigna in Toscana, all’ombra dell’acero o dentro la “gompa”, la stanza di legno scelta per il congedo: il respiro reso sempre più affannato dal tumore, l’isolamento crescente, il corpo che pian piano ti abbandona. Ne è scaturito un libro-testamento affascinante nella sua eccezionalità, Fine /inizio – edizione essenziale di un precedente lavoro (Tea) – dove il padre sessantaseienne e il figlio trentacinquenne raccontano la morte con parole piene di vita, dove si ride perfino, ci si commuove, e soprattutto davanti al commiato si condivide un’insolita serenità. Si scopre anche che Folco ha rischiato di chiamarsi Mao perché Terzani s’era innamorato della rivoluzione cinese e allora all’amorevole invidia subentra una sconfinata solidarietà. Abbiamo raggiunto Folco Terzani mentre attraversa la California on the road insieme a Tiziano, il figlio ventenne.
Suo padre le ha insegnato come ci si inventa la propria vita, ma anche come si muore.
“S’è congedato alla maniera dei vecchi saggi, ma senza mai ricorrere ai testi sacri piuttosto alla sua vita di reporter. Forse l’eccezionalità sta proprio qui: il babbo è approdato a una sapienza antica, quella che si pone le domande fondamentali, non diventando buddista, facendosi cristiano o convertendosi all’Islam ma attraverso il mestiere più contemporaneo del mondo che è il giornalismo”.
Diceva che la vita l’aveva vissuta da ogni lato, tra guerre e rivoluzioni. E che la morte in fondo era l’unica cosa nuova che gli poteva succedere.
“Stranissime parole per un figlio. Ma è come se volesse darmi l’idea della rinascita connessa alla fine. Come se volesse dirmi che la vita non si esauriva con la sua estinzione fisica. Non usava mai il verbo “morire”, ma “lasciare il corpo”. Niente finisce, tutto si trasforma. Lui si sentiva parte della vita cosmica. “Io ci sarò nell’aria, chiudi gli occhi e vienimi a cercare” furono le sue ultime parole a Saskia, mia sorella”.
Ma questo insistere sulla sua serenità non era anche un modo per rassicurarvi? E rassicurare se stesso?
“Sì, forse era anche il suo modo di darsi coraggio. All’ultimo incontro pubblico per la riedizione di Un altro giro di giostra, fu avvicinato da un lettore abbastanza disperato: signor Terzani, io ho il cancro e per me è una tragedia. Lei come fa ad affrontarlo in modo così sorridente? E lui rispose: la morte si affronta da vittima o da eroe. Io ho scelto di affrontarla da eroe perché da vittima fa più male”.
Diceva di sentirsi distaccato dagli oggetti e dalle persone. Sua madre Angela glielo domanda un po’ sgomenta.
“È bellissimo quel passaggio in cui lui le risponde che non ha più paura di perdere le persone perché è già in un’altra dimensione. Mia madre era stata la sua compagna di viaggio, una delle tre grandi fortune senza le quali il babbo non sarebbe stato chi era. L’ha ripetuto fino alla fine: lei era il suo giudice di moralità e drittezza. Le altre due cose erano Der Spiegel, il giornale che gli aveva dato la libertà, e la casa dell’Orsigna”.
In realtà fino all’ultimo non vi ha lasciato un momento. La scelta di raccontarle la sua vita non è anche un modo per tenerla stretto a sé? Un filo di seta intessuto di parole che vi tiene legati per la vita…
“Non credo che ci abbia voluto tenere legati a sé e alla sua memoria, ma alle cose essenziali della vita, al pensiero delle questioni eterne: nel mondo occidentale abbiamo abbandonato quel genere di domande, liquidando la morte come tabù”.
Suo padre si è spento quando lei ha smesso di fargli delle domande. C’è una relazione?
“Forse sì. Esiste una coscienza con cui uno lascia il proprio corpo: la puoi tirare più a lungo o tagliarla corta. Il babbo è riuscito a morire dove voleva, quando voleva, con tutta la famiglia intorno a sé. Prima di andarsene ha aspettato che ci fossimo tutti, anche i nipoti. E ha aspettato che il nostro libro fosse finito”.
Tra rivoluzioni e guerre nell’Estremo Oriente è stato uno dei grandi testimoni del Novecento. Ma dalla Storia grande è poi voluto fuggire, rifugiandosi sull’Himalaya.
“Comprese che le rivoluzioni non servono a nulla se non cambia la natura umana. Tutto si ripete – massacri, guerre, miserie – se l’uomo non rinuncia alla violenza, all’egoismo, al dominio della materia, al profitto. Credo che questo sia stato il suo ultimo comandamento: cambiare se stessi”.
Lui ci riuscì? Lo vide davvero cambiare?
“Si arrabbiava sempre di meno. Aveva un carattere battagliero, spinto da una fisicità imponente: non escludo che abbia potuto incutere timore ai suoi capi. Ma poi cominciò pian piano a ritirarsi in sé stesso. Come se non volesse più vincere a tutti i costi, avendo trovato altrove il suo centro di gravità”.
Riconosce – e le chiede scusa – di essere stato un padre ingombrante: alto un metro e 86, sempre in prima fila, sempre vestito di bianco, sempre con la battuta brillante.
“Molto ingombrante sì: in una stanza con dieci persone ti accorgevi solo del babbo. Ma è stato anche un grande padre, capace di tenere la famiglia unita. Sempre molto responsabile, sia sul piano intellettuale che su quello pratico”.
Illuminante la battuta del vecchio sull’Himalaya: “Il giorno che romperò il tuo ego, il puzzo arriverà fino al cielo”.
“Ah sì, molto sicuro di sé, si prendeva tantissimo spazio. Mia madre Angela dice sempre che il segreto del loro amore era nell’equilibrio tra grandi presenze e grandi assenze”.
Fu uno straordinario affabulatore ma alla fine della sua vita elogiò il silenzio.
“Ha sempre cercato la verità. La sua stessa definizione di giornalismo è “viaggiare nel mondo alla ricerca della verità”. La sua idea del mestiere si nutriva di conoscenza ed esattezza. Ma poi ha capito che esiste un’altra dimensione in cui trovare la verità, oltre le apparenze di questo mondo”.
Qual è stato il filo della sua vita?
“Quello di un ragazzino povero che cerca il proprio e l’altrui riscatto prima nelle guerre di liberazione nell’Estremo Oriente, poi nella rivoluzione comunista cinese, più tardi nella modernità del Giappone. Ma poi capisce che non è da nessuna parte la soluzione sociale a cui lui aspirava, tanto meno a Tokyo, dove la società moderna disumanizza l’uomo. E allora comincia il viaggio dentro sé stesso levandosi dal mondo”.
Durante la conversazione finale ci sono stati momenti difficili?
“A un certo punto è esploso tra noi un grande litigio. Io ero molto a disagio, ma sarebbe stato innaturale non scontrarsi con il babbo. E per la prima volta ho vinto io, forse perché lui era debole. L’ho visto sorridente e gli ho chiesto perché. “In tutta la mia vita ti ho protetto, ma vedo che sei abbastanza forte per proseguire da solo”. Ora poteva andarsene sereno”.
Fine/inizio di Folco e Tiziano Terzani (Tea, pagg. 240, euro 14,90)
Note
(1) – Tiziano Terzani (Firenze 1938 – Orsigna 2004)
Orsigna è una frazione di Pistoia (la più lontana dallo stesso capoluogo), situata nella valle attraversata dall’omonimo torrente.
«A quel tempo l’Orsigna era ancora piena di gente. La guerra era appena finita e gli uomini facevano i boscaioli nelle montagne di là del fiume. Facevano cose incredibili! Legavano un cavo di ferro nella montagna di fronte, poi a spalla, attraversando il fiume, lo portavano da questa parte, lo legavano in piazza, lo mettevano in tensione e dall’altro versante facevano partire i carichi di legna attaccati ad un uncino. Arrivavano a velocità spaventosa ed andavano a sbattere contro un copertone. A volte quei pazzi ci si legavano loro stessi. Lo ricordo come se fosse ora. (…) una volta uno si distrasse fra un carico e l’altro e finì schiacciato in piazza».
[Tiziano Terzani, Da: La fine è il mio inizio]
(2) – La fine è il mio inizio (orig. Das Ende ist mein Anfang) è un film di Jo Baier, sceneggiatura di Folco Terzani e Ulrich Limmer, UFA/Fandango, Roma, 2011, DVD – liberamente tratto dal romanzo La fine è il mio inizio. Il film è uscito in Germania nell’autunno 2010 e distribuito nelle sale italiane nell’aprile 2011. Con Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvárt
Il libro La fine è il mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita, a cura di Folco Terzani è uscito postumo, nel 2006, sempre per le edizioni Longanesi, Milano,
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Appendice del 20 luglio 2022 (cfr. Commento/invio di Isidoro Feola)
Da Isidoro Feola: Ma questo ce l’hai?
Sandro Russo
19 Luglio 2022 at 21:00
Una buona lettura è quella che ti pone delle domande, cui ‘devi’, o sei stimolato a- rispondere.
Così in questo articolo, nel punto dove Folco dice: – Mia madre era stata la sua compagna di viaggio, una delle tre grandi fortune senza le quali il babbo non sarebbe stato chi era. L’ha ripetuto fino alla fine: lei era il suo giudice di moralità e drittezza. Le altre due cose erano Der Spiegel, il giornale che gli aveva dato la libertà, e la casa dell’Orsigna” – sono stato spinto a chiedermi: Quali sono state le due-tre cose importanti (o una o quattro), per me? Senza le quali mi sarei perduto?
E per ciascuno di voi?
Isidoro Feola
20 Luglio 2022 at 16:48
Ma questo ce l’hai?
Isidoro Feola invia la foto di un dvd su Tiziano Terzani (verosimilmente uscito con L’Espresso-Repubblica).
Risponde Sandro
Ciao Isidoro,
l’immagine l’ho allegata all’articolo di base, perché in Commenti è impossibile metterla.
No, non ce l’ho, ma è particolarmente prezioso, perché non sta neanche nella ricchissima bibliografia / emeroteca di/su Tiziano Terzani presente in fondo alla relativa voce di Wikipedia (molto ricca: cfr.)
Se ne trai qualcosa di interessante sul personaggio e le numerose tematiche che ha affrontato, puoi farne un bell’articolo!