di Sandro Vitiello
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Salvatore Aprea, o meglio Salvatore ‘i ‘Ngiulinella, lo conosco da sempre.
La sua grande famiglia e la mia abitavano a poche centinaia di metri a Cala Caparra. Lo stesso mestiere, quello del mare, ci ha accomunati, e poi la terra e poi il quotidiano incontrarsi.
Anche se non ci siamo frequentati assiduamente non ci siamo mai persi di vista.
Ho avuto modo di parlare con lui a settembre del 2013, quando siamo andati in Sardegna ad incontrare gli amici di Aglientu e Santa Teresa di Gallura, e Salvatore mi ha raccontato con grande passione i ricordi della sua adolescenza a pescare aragoste con il padre da quelle parti.
Una decina di giorni fa sono passato dal negozio della figlia Angela ed ho notato in bella mostra una serie di riproduzioni di barche, molto ben fatte. Alcune sicuramente originali.
C’era anche Salvatore e ad una mia domanda lui mi ha risposto che erano sue produzioni.
Mi sono complimentato con lui, ho chiesto qualche informazione e Salvatore mi ha raccontato tante vicende della sua vita.
Classe ’42 e come tanti ragazzini ponzesi di quell’epoca, non ha completato gli studi; a 12 anni era già maturo per andare a lavorare.
Ha iniziato come ragazzo di bottega da Augusto Coppola, falegname, che aveva il suo laboratorio alla Piana. Solo durante la stagione invernale però.
Perché in primavera, dopo la festa di san Silverio a Le Forna si imbarcava sulla filuga del padre; destinazione Sardegna, Vignola.
La prima barca sulla quale ha lavorato era il Terme, un gozzo di 10 metri spinto da un motore Bolinder di 25 cavalli. Un solo cilindro per la precisione. Per capirci l’equivalente di uno scooter da 50 cc di oggi.
Eppure già avere quel modesto motore faceva la differenza. Significava che dopo una dura giornata di lavoro a tirare su nasse o tremaglioni in una zona di mare spesso maltrattata dai venti o dalle tempeste, si poteva tornare tranquilli a Santa Teresa di Gallura in una cala dove il brutto tempo non arrivava.
Questa è stata la vita di Salvatore fino all’età del militare. Obbligo, quello militare, assolto con un anno di ritardo. Parte per Taranto dove andrà a fare il CAR insieme a mio fratello Salvatore e a Claudiello, uno di Cala Feola emigrato negli States.
Ritorno dal militare e riprendere la via del mare.
Con una variante: nel ’64 anziché andare in Sardegna, la barca della famiglia di Salvatore parte per un lungo giro verso sud.
Da Ponza a Capri e poi sempre più già fino alle isole minori a nord della Sicilia. Stagione ricca di pesci e di aragoste ma anche di problemi. Quei ponzesi così bravi che andavano a pescare a casa di altri pescatori non erano benvenuti, non erano ospiti graditi.
Dissidi con le comunità locali e preoccupazioni per la propria incolumità fecero sì che quell’esperienza non venisse ripetuta.
Meglio tornare nei mari di Sardegna dove non c’era competizione con i pastori della Gallura. Anzi, solidarietà e condivisione.
Però dalla metà degli anni sessanta qualcosa cambiò e tanti giovani ponzesi scelsero di abbandonare la pesca per imbarcarsi sugli yacht che sempre più numerosi giravano nei nostri mari. Paga buona, poco lavoro ed altro ancora, erano valide ragioni per cambiare.
Salvatore fece anche lui questa scelta e per ben 15 anni lavorò alle dipendenze di Granelli, industria farmaceutica Schiapparelli. Sarebbe rimasto ancora a lungo a fare quel mestiere che gli piaceva ma a Ponza il destino aveva preparato per lui un futuro diverso. Il suocero Luigi Aprea – Caricazzola – che insieme alla moglie Assuntina gestiva il più importante negozio di quella parte dell’isola, si era ammalato e la continuazione dell’attività doveva necessariamente passare attraverso una nuova figura maschile che si occupasse dei rifornimenti, di partire più volte durante la settimana per andare a comperare tutto quello che serviva.
Salvatore abbandonò gli yacht e continuò la sua vita lavorativa a Ponza. Questo fino ai giorni nostri.
E poi, complice il Covid e le tante giornate chiuso in casa, ritorna la voglia di riprendere in mano quel suo primo mestiere imparato da Coppola Augusto. E quasi per gioco iniziano a prendere forma le barche della sua infanzia in Sardegna e quelle incontrate nei porti in cui ha navigato e tante altre ancora.
E, all’alba degli ottanta anni una storia, la sua storia si ricompone, attraverso una passione che mette insieme i pezzi di tutta una vita.
Quelle barchette costruite con tanta attenzione ai dettagli sono come una sorta di diario.
I ricordi di Salvatore prendono forma nelle sue mani. Quelle mani che una vita fa hanno imparato il mestiere del falegname oggi restituiscono oggetti di grande suggestione e bellezza.
Complimenti a Salvatore e al suo ingegno.
E complimenti al nostro piccolo mondo che conserva, ricorda e tramanda pezzi di storia di cui andare orgogliosi.