San Silverio

Dissertazione storica sui P.M. Silverio e Vigilio (prima parte)

a cura del prof. Antonio Di Fazio con presentazione di Giuseppe Mazzella

 

Alcuni anni fa Filippo Ratti, ponzese che vive a Torino e che ha messo insieme una formidabile raccolta di testimonianze storiche che riguardano le nostre isole, mi inviò un testo in latino che consegnai all’amico prof. Antonio Di Fazio, latinista insigne, saggista e scrittore, nonché ex preside del prestigioso liceo romano Mamiani, autore tra l’altro del romanzo ‘La caduta di Partenope’ la cui vicenda si svolge anche a Ponza. Antonio mi ha consegnato la traduzione, per la quale ha faticato non poco, a causa di alcune espressioni particolari, come scrive: “… dovendo’ ‘domare’ – in cauda venenum – un nihilofecius che non esiste nel latino classico e medievale. Nel complesso è stato un bel cimento. Meno male che tali cimenti più che deprimermi mi stuzzicano!”.

Una traduzione di un testo che credo non sia mai stato tradotto in italiano e che offriamo, diviso in due parti, ai nostri lettori e a tutti i ponzesi in onore del nostro Santo San Silverio in occasione della sua festività.
G.M.

 

Dissertazione storica sui P. M. SILVERIO E VIGILIO
e specialmente dell’ampio anatema di quello contro questo, come narrati da Baronio
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nell’Accademia di Wittenberg
il Settembre a.g.r. 1736
h.l.q.c.
propongono in esame
M. Gottlieb Werndorffius
di Wittenberg e
Giovanni Guglielmo Borsam
Zerbst – Anhalt
Wittenberg
Edito nella stamperia di Tzschiedrich

Di certo a nessuno, pur poco informato di storia ecclesiastica, può sfuggire quanto spesso, miseramente e turpemente sia scivolato nel giudizio come nella fede il famoso fondatore di Annali, Cesare Baronio. Infatti intendendo riportare ogni cosa solo alla dignità della curia Romana, talvolta pur se alquanto scettico, nessuna critica degli autori esercitando, prestava fede a testi fraudolentemente inventati, e così troppo si soffermava con ingegno poco felice in motivi solo oggetto di congetture; non poteva discenderne che il misero stravolgimento della verità storica, troppo spesso già precaria.

E di ciò diamo il noto documento: nell’esporre le vite dei pontefici Silverio e Vigilio, arditamente accogliendo la veridicità di certe epistole confezionate dallo Pseudisidoro, immaginò un concilio tenuto da Silverio, nel quale fu pronunciata sentenza di esecrazione contro Vigilio. E di ciò ci proponiamo di discutere per quanto sarà consentito dal limite delle pagine stabilito dalle nostre leggi: e se prima avremo brevemente introdotto poche cose compiute dai due, da queste meglio si potrà comprendere e giudicare ciò che sarà poi detto.

Papa Silverio

Papa Vigilio

§1Silverio, romano di origine, dopo la morte di Agapito, anzitutto col favore di Teodato, re dei Goti corrotto con molto denaro, in giugno del 536 veniva eletto vescovo di Roma.
In quel tempo l’imperatore Giustiniano conduceva la guerra sollevata in Italia contro i Goti, attraverso suoi legati, soprattutto Belisario: questi, pacificate le Due Sicilie, dirigendosi con l’esercito contro Roma, nel mese di dicembre dello stesso anno ne accettò la resa proposta dall’amministrazione dell’Urbe, mossa dalla preghiera di Silverio.
Poco dopo, morto Teodato, Vitige divenuto capo dei Goti, per riprendere Roma, assediò Belisario e lo tenne a lungo sotto assedio.
E mentre ciò avviene in Italia, l’Imperatrice Teodora, schierata con gli Eutichiani dà mandato a Belisario a suo nome di scongiurare Silverio a voler riportare nella consacrazione Antimo prelato della nuova Roma, a suo tempo rimosso dalla sua sede a causa della dottrina Eutichiana e dell’incriminazione per brogli da parte di Agapito, predecessore di Silverio, e restituirlo alla sede di Costantinopoli.
Ma poiché Silverio ciò non voleva, Teodora assieme a Vigilio decise di rimuoverlo. Vigilio infatti come diacono della chiesa romana e suo legato, allora dimorava presso l’ imperatore di Costantinopoli, e già
da tempo ambiva alla dignità episcopale. A lui dunque con gran quantità d’oro l’imperatrice assicura l’episcopato romano, a questo patto e a questa condizione che, fatto papa, riabilitasse e dichiarasse ortodossi Antimo e gli altri Eutichiani, da poco posti all’indice dagli ortodossi, li dichiarasse ortodossi, e condannasse il sinodo di Calcedonia (e insieme tre capitoli, stando a Vittore).
Vigilio volentieri accetta la condizione, e assicurata anche per iscritto la propria fedeltà, promette che ciò avrebbe fatto. E così, pieno di speranza, con delle lettere indirizzate dall’Imperatrice a Belisario passa in Italia. Qui giunto, consegna a Belisario le lettere, e gliele consegna assieme a 2000 monete d’oro, a patto che faccia in modo che, cacciato Silverio, egli stesso sia fatto vescovo di Roma.
E in effetti nella lettera l’Imperatrice si soffermava a suggerire di sollevare Silverio dalla carica con giusta causa o anche con falsa incriminazione, e lo mandasse in esilio, e al suo posto facesse subentrare Vigilio. La stessa cosa ella aveva scritto ad Antonia moglie di Belisario, da tempo sua amica. E questa non solo appronta subito contro Silverio il crimine di tradimento, ma procura testimoni falsi che producessero, come se l’avessero intercettata, una lettera a nome di Silverio indirizzata a Vitige, con la quale lo si invitava a presentarsi a Roma alla porta Asinaria e la facesse aprire da Silverio.

Ciò fatto il pontefice è accusato presso Belisario: e questi, pur se non credette a tali testimoni (se dobbiamo porre fede ad Anastasio e Paolo Diacono), credette bene di ottemperare all’ordine dell’Augusta.
E così al reo, fatto venire davanti a sé per sostenere la causa, gli contesta il tradimento, e comanda che sia spogliato degli abiti sacerdotali e condotto in esilio a Patara, città della Licia.
Nell’immediato successivo giorno fa sapere all’ordine dei sacerdoti romani che Silverio per il delitto di lesa maestà era privato della carica, e che quindi bisognava nominare un altro vescovo, ma che c’era da tenere in conto Vigilio.

Imperatrice Teodora
(mosaico – basilica San Vitale, Ravenna)

§ II. E così Vigilio, eletto coi suffragi dei presbiteri tratti a suo favore, occupa il seggio vescovile in novembre del 537. Tuttavia egli non ottempera alla promessa, come dubbioso, né invia all’imperatore professione di fede ortodossa, come si usava, e nemmeno apertamente si unisce agli Eutichiani.
Frattanto il vescovo di Patara si reca dall’imperatore e, lamentandosi dell’ingiuria inflitta al presule romano, minaccia la pena divina, se non si fa giustizia. A ciò l’imperatore, che era all’oscuro, promettendo di intervenire, convinto che ciò era frutto delle macchinazioni della sola Teodora, ordina di riportare Silverio in Italia, e che con diligenza si indaghi sulle lettere scritte a suo nome, in modo che se si convincesse dell’imbroglio, prosciolto dalle sentenze dei giudici, in qualunque altra sede fosse vescovo, fosse restituito alla sede di Roma.
E così Silverio, pensiamo con disappunto di Pelagio, legato di Vigilio, torna in Italia per ordine dell’Imperatore. Del cui arrivo e dell’ imminente pericolo fortemente preoccupato, Vigilio prega Belisario che gli consegni il suo avversario, altrimenti non avrebbe potuto ottemperare alle promesse. Riceve dunque Silverio, lo invia in catene alle isole Ponziane, o – come vuole Liberato – a Palmarola, assieme ai carcerieri, e qui quello, non molto dopo, per le offese della carcerazione e per la scarsezza del vitto venne a morte nel Giugno del 538.

Più di recente alcuni ricordano che prima ancora di assumere il pontificato, Silverio era stato discepolo di S. Benedetto nel monastero del Laterano, e così anche dopo nell’esilio ponziano si portò da monaco, da Belisario vestito dell’abito monacale che in precedenza volentieri quello aveva voluto. E di ciò fa fede l’autore stesso.
Dunque Vigilio, essendo ancora in vita l’avversario, per dare soddisfazione al volere dell’Augusta e alle proprie promesse, invia una lettera a Teodosio, ad Antimo, a Severo e altri eretici nella quale dichiara di abbracciare con loro la stessa fede, ma insieme chiede loro di tenere nascosta quella lettera. Ma non poté impedire che Liberato e Vittore la inserissero nei loro libri.
Comunque Baronio e il suo pappagallo Binio opinino che quella lettera fosse falsa supposizione, tuttavia certi più informati pongono che non sia in dubbio che sia autentica.
Liberato poi dal pericolo di Silverio ormai morto, poco Vigilio si preoccupò dell’amicizia o dell’ira di Teodora, ma nel 540 consegnò una lettera a Giustiniano e un’altra a Menna di Costantinopoli nella quale professandosi di fede ortodossa esecrò tutti gli eretici.
Successivamente ora si uniformava pienamente al clima della Curia, ora seguendo la sua opinione in materia di fede, la disprezzò, cosicché la sua vita pare sia stata una serie ininterrotta di ondivaga leggerezza. Ma comunque ciò che dopo egli fece poco ci aiuta al nostro compito. Per cui soprassediamo ad ogni sua rievocazione.

§ III. E però su ciò non si deve tralasciare il commento di Baronio, uomo di alto ingegno. Questi infatti, seguito dai suoi epigoni, narra che Vigilio dopo la morte di Silverio, avvicinandosi una nuova elezione di sacerdoti, fu nominato legittimo vescovo, e che in seguito migliorò vita e comportamenti, tanto che chi prima attendeva al male, ora iniziava ad operare come vigile sentinella per tutto il gregge. E non possedendo altri argomenti, chiaramente si prova a celiare su ciò traendo forza dalle parole di Anastasio, che dice: e il suo episcopato cessò in cinque giorni.
Chiaramente essendo cessato l’episcopato di Silverio, dopo la sua morte, in cinque giorni, con nessuna altra ragione – quello dice – ciò si può capire, se non che Vigilio, certo della sua morte e per i miracolosi fatti rapportati alla sua memoria, stimolato da chi era a conoscenza dei suoi malefici, e nel timore dell’esecrazione contro sé pronunciata da Silverio, impaurito, abdicasse infine spontaneamente dal pontificato ingiustamente fino allora assunto, e dopo 5 giorni di nuovo fu dagli elettori legittimamente elevato alla pristina dignità, secondo il modo e l’istituto antico.
Qui molto verbosamente espone cosa Vigilio teneva in mente, in che modo abbandonava il soglio pontificio, come ciò non facesse con coscienza, ma come se dovesse rappresentare una commedia in teatro, perché in qualche modo suscitasse il consenso del clero romano sulla sua elezione, consenso che confidava avrebbe ottenuto col sostegno di Belisario. Riferisce infine in base a quale principio nel conclave i cardinali decisero sulla nomina del nuovo vescovo, e come tra loro si discusse in lungo e in largo, fino a che il 29 maggio Vigilio risultò eletto per ispirazione divina.
Facilmente si potrebbe credere che allora lo stesso Baronio fosse presente nel conclave, e che Vigilio si giovasse anche del suo appoggio, e a quel punto rappresentasse sulla scena la commedia.
Ma in verità giustamente si può chiedere: da quale autorità mai ha appreso Baronio che l’episcopato di Silverio sia cessato dopo la sua morte? Infatti in nessuno modo dal fatto che Anastasio pone queste parole dopo la narrazione della morte di Silverio è possibile ciò ricavare, e molto meno dedurne tanta massa di narrazioni e congetture: e questo perché lo stesso autore, dopo averne narrato la morte, in ultimo ricorda che Silverio aveva celebrato con i sacri segnacoli alcuni vescovi e presbiteri. Per questo modo di concludere, di Silverio si sarebbe detto che nominasse i vescovi dopo la sua morte. Cosa che forse poteva essere attribuita ad altri miracoli verificatisi presso il suo sepolcro.
Ed è tanto lontano dal vero che uno storico avesse tramandato qualche memoria della resipiscenza e volontaria abdicazione di Vigilio, che Liberato chiaramente può affermare cosa diversa, quando dice che quello scrivendo di nascosto agli eretici rimase al suo posto. E infatti non pare sia stato necessario che Vigilio ciò facesse, visto che non gli mancavano motivi specifici, per i quali potesse persuadersi che il sacerdozio di Silverio fosse illegittimo. Quegli infatti si era imposto ai Romani con la forza, e il loro consenso appariva estorto non certo liberamente ma per paura.
Né era necessario che fosse di nuovo eletto dai sacerdoti, a motivo dell’esecrazione sancita da Silverio. Questi infatti, allontanato dal magistero, non aveva più alcuna potestà di opporsi a sostegni degli
Eumolpidi, che creassero preoccupazioni a Vigilio. Infatti l’ Imperatore ebbe ed esercitò una giurisdizione sulle cose sacre e loro sacerdoti: e chiarì che anzitutto per questo concesse al prelato Cartaginese i privilegi di primato, metropolitani, papali ed altri. Che se invece la maledizione di Silverio contro quello fosse stata realmente efficace, allora la nuova elezione dell’ordine sacerdotale non era sufficiente alla sua riconsacrazione, ma ci sarebbe stato bisogno dell’autorità di un altro pontefice o del concilio.
Poniamo infatti col Baronio che Vigilio, essendo in vita Silverio, non fosse vicario di Cristo, ma un anticristo, non Simon Pietro, ma un mago, un falso idolo collocato nel Tempio: allora certo si sarebbe dovuto pensare ad una mirabile transustanziazione, se una nuova elezione creasse da un mago Pietro, da un omicida un profeta, da una sterile canna una forte e stabile pietra.

Dunque, ciò detto, facilmente viene respinta la ‘favola’ di Baronio, anche fortemente disapprovata dai suoi stessi compagni di fede non meno che da altri. In realtà Anastasio non dice della vacanza della sede verificatasi dopo la morte di Silverio, ma che si ebbe dal giorno 18 Novembre 537 (secondo calcola Pagi), quando quello veniva privato dell’episcopato, e cessò il 22 Novembre, quando veniva consacrato Vigilio. Cosicché Silverio guidò la Chiesa per un anno, cinque mesi e 11 giorni, calcolando dal primo giorno di assunzione della carica fino al momento in cui la perse. Ma ciò, se vogliamo stare al giudizio di Baronio, sarebbe ancora assurdo, visto che crede che quello rimanesse legittimo pontefice e sempre esercitasse i compiti pontificali fino al momento in cui patì il martirio in esilio. E però in quel modo fanno il calcolo non solo Anastasio e Cedreno, ma alcuni recenti fra i più dotti.
Ma insomma Baronio – e così Binio, il quale, come si dice nei racconti, per fede implicita e accesa come carbone giura per le sue parole – pensa che Silverio avesse esercitato quattro anni e incominciasse il quinto avviando il calcolo dal mese di dicembre del 536, quando sostiene sia stato eletto, fino al mese di Maggio del 540, quando pone la data della sua morte. Ma qui casca un cieco, seguace di una guida ugualmente cieca, perché in questo modo trascorrono solo tre anni e cinque mesi, non quattro etc.

[Dissertazione storica sui P.M Silverio e Vigilio (prima parte) – Continua]

 

 

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