di Enzo Di Fazio
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Due anni di pandemia prima e la guerra scoppiata tra Russia e Ucraina poi hanno contribuito ad elevare i toni di quanti vedono nell’Europa un’entità matrigna capace di mettere in pericolo, in compagnia degli Stati Uniti d’America e dell’esercito della Nato, tutta una serie di diritti e di libertà personali al punto da spingere qualcuno a credere che forse si può stare meglio altrove, magari in un paese come la Russia o come la Cina.
Come scongiurare questa situazione di grande pericolo che stanno correndo oltre 500 milioni di abitanti non è mai detto chiaramente. Intravedendo complotti dappertutto e disegni strategici, per sottomettere i popoli, che risalgono alla notte dei tempi, si invocano la sovranità popolare e l’autonomia decisionale della nazione. Critiche, lamentele tante; programmi nessuno, come nemmeno idee rivoluzionarie.
E tutto ciò ignorando come pandemia e guerra stiano, invece, ravvicinando gli Stati Europei visto l’inaspettata unità emotiva ritrovata dall’Europa nell’affrontare prima la pandemia e poi l’invasione dell’Ucraina.
E ignorando anche come si stia sempre più affermando l’idea di un allargamento dell’Europa ai Balcani occidentali e alla stessa Ucraina.
Va tutto bene, allora? Assolutamente no. Manca innanzitutto un’unità politica e una riforma dei Trattati in senso federalista che deve comportare l’abolizione del diritto di veto. Manca un allargamento della condivisione del debito, sul modello di quanto già fatto con Next Generation EU (il primo grande progetto di ricostruzione europea, finanziato con il contributo di tutti, per venire incontro alle esigenze di ciascuno); manca una revisione responsabile del Patto di Stabilità, in modo che, nei confronti dei più deboli, sia il bilancio europeo a fare quello che non può fare il bilancio nazionale. Tutti temi questi affrontati ieri, quando a Strasburgo. Mario Draghi da vero leader ha parlato al Parlamento europeo.
“Le istituzioni europee hanno servito bene i cittadini ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi davanti. Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso: dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia” uno dei passaggi più significativi di Draghi.
Quattro sono i pilastri da cui ripartire: un’Europa della difesa comune, un’Europa dell’energia, un’Europa del debito comune ed un’Europa federale e senza veti.
Di questo e altro ha parlato ieri Draghi. Per una sintesi propongo la lettura dell’articolo “Il cantiere della democrazia” di Andrea Bonanni pubblicato oggi su la Repubblica e qui di seguito trascritto, mentre per un approfondimento rimando il lettore al discorso integrale riportato in allegato .pdf.
Propongo infine, ritenendolo valido oggi più che mai ai fini del sostegno dell’idea europeista per i temi trattati – con i dovuti distinguo essendo stato elaborato alla vigilia delle ultime elezioni europee – l’articolo “Domenica un voto per cambiare l’Europa, non per sfasciarla” che scrissi e pubblicai il 23 maggio 2019.
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La riforma dell’Unione europea – Da la Repubblica del 4 maggio 2022
Il cantiere della democrazia
di Andrea Bonanni
Draghi ha aperto la strada.
Macron la pavimenterà con proposte concrete. E difficilmente Scholz potrà tirarsi indietro
Come sanno fare i veri statisti, Mario Draghi ha esposto al Parlamento europeo alcune verità semplici, che però sono collegate tra loro da un pensiero complesso. Visto il forte legame che li unisce, e la sostanziale identità di vedute, è lecito ipotizzare che quanto ha detto ieri il capo del governo italiano spiani la strada a quanto dirà il 9 maggio, sempre a Strasburgo, il presidente della Repubblica francese appena rieletto.
Entrambi, infatti, sono consapevoli che la macchina dell’integrazione europea debba essere urgentemente rimessa in movimento. Ma sanno anche che non sarà affatto facile farla avanzare tra i due fuochi del nazionalismo sovranista, ad Est, e del nazionalismo egoista, al Nord.
Il ragionamento di Draghi è lineare. Nel pieno dell’invasione dell’Ucraina, l’Italia vuole innanzitutto la pace. Ma senza mettere sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito perché, spiega, tra gli aggrediti ci siamo anche noi e il nostro sistema di valori: «Proteggere l’Ucraina vuol dire proteggere noi stessi e il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito insieme negli ultimi settant’anni». Ma proteggere l’Ucraina ha un costo altissimo, che si somma a quello lasciato in eredità dall’epidemia di Covid e da una inflazione in rapida crescita. Il conto da pagare sale ancora se non vogliamo scaricarne il peso sulle spalle dei cittadini più fragili. E Draghi avverte: «Nessun bilancio nazionale è in grado di sostenere questi sforzi da solo. Nessun Paese può essere lasciato indietro». Gli strumenti per rispondere a queste emergenze devono dunque essere europei, sul modello di quanto già fatto con Next Gen Eu che ha creato per la prima volta un debito comune.
La conclusione di questa esposizione è semplice: per rispondere alle sfide economiche così come a quelle politiche e di sicurezza l’unica soluzione è l’Europa. «Le istituzioni europee hanno servito bene i cittadini ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi davanti. Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso: dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia».
Sembra tutto ovvio. Ma non lo è affatto. L’Europa ha trovato una inaspettata unità emotiva nell’affrontare prima la pandemia e poi l’invasione dell’Ucraina. Ma l’unità politica è ben altra cosa. Riformare i Trattati in senso federalista, sia pure «pragmatico», comporta l’abolizione del diritto di veto. Per i sovranisti dell’Est europeo questa è pura eresia. Sull’altro fronte, estendere la responsabilità finanziaria dell’Europa per sostenere gli oneri economici e sociali delle crisi che incombono vuol dire rendere sistematico il ricorso ad un debito europeo. Ed anche questa è un’eresia che alcuni governi auto-definitisi “frugali”, dall’Austria all’Olanda alla Svezia e a un pezzo di establishment tedesco, respingono con sdegno.
Nel momento in cui propugna un rapido allargamento dell’Europa ai Balcani occidentali e anche all’Ucraina, Draghi propone dunque un approfondimento dell’integrazione che egli sa benissimo essere condiviso solo da un ristretto numero di Paesi. Può sembrare una contraddizione, ma è solo apparente. E qui sta la complessità del suo pensiero. Egli infatti è consapevole che le varie Europe, divergenti rispetto al suo programma di «federalismo pragmatico», in questo momento di crisi hanno più che mai bisogno di restare unite. I nazionalisti dell’Est non possono pensare di tenere testa da soli alla minaccia russa, e infatti il Gruppo di Visegrad che per anni li ha uniti si è praticamente dissolto. Ma neppure i ricchi egoisti del Nord, per di più in un momento di involuzione e ridefinizione del processo di globalizzazione dell’economia, possono pensare di fare da soli. I venti di guerra che soffiano sul continente spingono anche loro ad abbassare la testa degli egoismi nazionali.
Se dunque c’è mai stata una contingenza storica che può consentire all’Europa di fare il salto di qualità inseguito da anni, questa si sta manifestando ora. Draghi, ieri, ha aperto la strada. Macron, tra pochi giorni, la pavimenterà con proposte concrete. A questo punto la Germania esitante di Olaf Scholz difficilmente potrà tirarsi indietro. Un nuovo cantiere della democrazia potrebbe aprirsi, proprio sotto le bombe di Putin.
In formato .pdf: Il discorso di Draghi al Parlamento europeo