di Tonino Impagliazzo
–
Qualche cenno storico per inquadrare la figura politica di un grande uomo di Stato
Nel 1985, quando Gorbaciov arrivò al Cremlino, il mito dell’Urss era ormai a pezzi in tutto il mondo. Dopo settant’anni di regime comunista l’Unione Sovietica era una società economicamente e antropologicamente malata. L’economia pianificata non funzionava più; la gestione centralizzata del sistema produttivo causava per lo Stato costi elevatissimi e una penuria di beni di consumo. Dopo l’umiliante sconfitta “afgana”(1980), l’Armata Rossa faceva meno paura e la questione delle nazionalità richiedeva soluzioni coraggiose e radicali.
Nel febbraio 1986 Gorbaciov, in un discorso al XXVII congresso del PCUS, fece un’analisi impietosa del degrado politico, economico, tecnologico e morale dell’Unione Sovietica. Gorbaciov comprese sin da subito l’urgenza di riformare radicalmente il sistema sovietico e cercò di democratizzare la vita economica e politica del Paese.
Con la perestrojka (ristrutturazione) Gorbaciov formulò l’estremo tentativo di salvare lo “Stato multinazionale sovietico” che segnava il passo nei confronti dei concorrenti occidentali e stava crollando sotto il peso dell’inefficienza. Il rinnovamento prevedeva la privatizzazione di molti settori economici statali, la libertà d’informazione, la riduzione del controllo militare e politico sui Paesi satelliti e trattati con gli Stati Uniti per il disarmo dei missili. missili.
Il riformismo illuminato di Gorbaciov non piacque né ai conservatori del partito, né ai progressisti radicali che volevano scrollarsi di dosso una volta per tutte il potere sovietico. «I suoi tentativi di riforma finirono per accelerare il collasso del sistema produttivo e per peggiorare la già grave situazione degli approvvigionamenti».
Alla sessione straordinaria del Soviet Supremo dell’Urss (23 agosto 1991) Gorbaciov riferì che, malgrado l’erosione del blocco comunista segnato dalla caduta del Muro di Berlino e dalla nascita del primo governo non comunista in Polonia, all’inizio del 1990, l’Urss non sembrava ancora dar segni di cedimento totale. Nel suo immenso territorio, serpeggiava unicamente un certo malessere profondo. E che nella seconda metà degli Anni ’80 vedeva crescere la tensione e la violenza innescate dal riemergere dei nazionalismi etnici nelle repubbliche sovietiche.
Le prime crepe
L’apertura politica promossa da Gorbaciov aveva alimentato per un verso, i conflitti tra le etnie, mentre le sue riforme, indebolendo i mezzi della repressione politica, avevano fatto venir meno anche la capacità di Mosca di imporre il proprio volere sulle singole repubbliche. «Gorbaciov non comprese la gravità del problema delle nazionalità nel gigantesco territorio che governava. Le sue timide proposte di riforma, dettate dal disperato tentativo di salvare lo Stato multinazionale, non fecero che accelerare un processo di disgregazione che in pochi anni portò al crollo definitivo dell’Urss».
La Lituania fu la prima repubblica sovietica a sfidare Mosca dichiarandosi indipendente, nel marzo 1990. Eltsin, l’8 dicembre 1991, in qualità di presidente della Russia, firmò con i presidenti di Ucraina e Bielorussia l’Accordo di Belaveža, che sancì la fine dell’Urss e la nascita della Comunità degli stati indipendenti (Csi), aperta a tutte le ex repubbliche sovietiche. «Come Stato multinazionale e come sistema politico-economico l’Unione Sovietica era una costruzione artificiosa e ormai putrescente, che nessuno poteva più salvare e quindi destinata a scomparire, ma il suo crollo pacifico fu un miracolo storico che salvò l’umanità dai rischi di un olocausto nucleare.
Relazione tra la figura di Gorbaciov e il pensiero federalista
Nel 1985, sull’isola di Ventotene si svolse il “Primo Seminario federalista mondiale” che coincise con il Seminario Federalista (M.F.E.) per studenti Italiani ed Europei ed alcuni di noi, nell’occasione, cominciarono a conoscere Russi, Indiani, Australiani, Canadesi, Americani, Africani, Coreani, etc. e più in particolare, rimase vivo in noi il ricordo di due o tre professori universitari di Mosca e di due famiglie di Nuova Delhi che ritornarono sull’isola negli anni successivi. Ricordo dei docenti russi che tutte le mattine alle sette si recavano a Calanave per un bagno e poi davano inizio alla giornata.
Altiero Spinelli e Ursula Hirschmann a Sabaudia nel 1984
(dal libro l’Europa di Altiero Spinelli – ed il Mulino)
Il ritornare sull’isola consentì ai docenti Russi di migliorare la conoscenza del “pensiero federalista” descritto nel Manifesto di Ventotene e con il contatto/colloquio con docenti italiani ed europei (Montani, Pistone, Levi, Iozzo, Trumellini, Padoa Schioppa, Boissier, etc.) migliorò anche la determinazione di realizzare in Europa e in Russia “Federazioni di Stati Autonomi ” (di Europa, di Russia, etc,).
Nel settembre del 1990 giunse sull’isola il Ministro della Cultura Sovietica del Governo Gorbaciov per condividere con i docenti russi il “pensiero federalista” del Manifesto di Ventotene
Il Comune di Ventotene, in data 4 settembre, offrì una cena di benvenuto all’ospite russo. Nell’ampia sala del Ristorante “Lo Smeraldo” venne preparato un lungo tavolo bianco dove al centro sedeva la Ministra Sovietica, alla sua destra il sindaco Beniamino Verde e alla sinistra il dott. Alfonso Iozzo (Presidente M.F.E.).
Al termine il dott. Iozzo ed il sindaco Verde ringraziarono il gradito ospite che, prendendo la parola, ricambiò il saluto e donò al sindaco Verde una bella Matrioska dicendo “il dono comprende tante Matrioske, a dimensioni decrescenti, che ricordano le tante federazioni degli stati sovrani, nel rispetto della autodeterminazione, della democrazia e della libertà dei popoli“. Al rientro in Russia la Ministra formalizzò l’invito al M.F.E. per costituire un gruppo di lavoro a Mosca con l’intento di scrivere una “Bozza di Costituzione” delle “Repubbliche Federate Sovietiche” .
Dal terrazzo del Ristorante “Lo Smeraldo”
Nel maggio del 1991 Gorbaciov si recò a Roma per incontrare le massime autorità della politica e del Parlamento italiano. Il Presidente del Senato on. Spadolini, nel giorno della Commemorazione del 50° Anniversario del Manifesto di Ventotene (4-sett.1991), in Piazza Castello, definì Ventotene “isola fedele alle memorie sacre nella lotta per la libertà” ricordando che “…nella faticosa, difficile e contrastata transizione dal vecchio al nuovo, Gorbaciov aveva interrotto la lunga notte del silenzio in cui la libertà e la democrazia erano state confinate dal regime sovietico”, e in un passo successivo così continuò “L’Europa – detto per primo da Gorbaciov (Presidente Sovietico) – è la casa comune anche per la Russia. La prevalenza slava (210 milioni di abitanti su 280) è sentita come vincolo sacro di appartenenza all’Europa”.
Con il senno del poi, oggi ci è dato comprendere che Gorbaciov era un politico illuminato che intendeva trasformare lo “Stato Sovietico” in una “Federazione di Stati Democratici Sovietici”, fondata sull’idea della pari dignità, dell’autonomia e dello stesso peso politico.
L’On.le Giovanni Spadolini e il sindaco Beniamino Verde
Il 25 dicembre 1991 Gorbaciov si dimise da Presidente dell’Unione Sovietica e il 26 dicembre il suo successore, Boris Eltsin, dissolse formalmente l’Urss; la bandiera tricolore (bianca, blu e rossa del tempo degli zar) da del quel giorno diventò lo status symbol dello Stato russo.
Purtroppo l’annunciato viaggio di Gorbaciov a Ventotene per rendere omaggio alle ceneri di Altiero Spinelli nel 2001 dovette interrompersi per sopraggiunti motivi di salute.
Tano Pirrone
27 Marzo 2022 at 19:55
Vorrei approfondire l’ultimo periodo ‘gorbacioviano’ in relazione, anche ai movimenti di Putin, che, dopo la caduta del muro, da Dresda, ormai tenente colonnello, carica a bordo della «vecchia Volga moglie, figlie e masserizie e – così come un altro milione di militari sovietici che in quei giorni facevano la stessa cosa in Vietnam, in Angola, nel Mozambico, a Cuba e nel resto del mondo – partì».
Trascrivo pazientemente dal libro documentatissimo di Giorgio Dell’Arti “Le guerre di Putin”, già recensito precedentemente, perché non puoi dire Gorbaciov senza dire Eltsin e non puoi dire Eltsin senza pronunciare il nome dell’attuale supremo capo russo, Putin.
«La figura chiave dei dieci anni successivi (1990-2000) è quella del siberiano Boris Eltsin, massiccio, bei capelli bianche con la ciocca, all’apparenza un orso buono. Era venuto a Mosca a far politica e denunciava tutto, ruberie, inefficienze. Alla fine, maggio 1990, venne eletto presidente del Congresso dei deputati del popolo. Il candidato ufficiale del Pcus, Aleksandr Vlasov, sceso in campo dopo il ritiro di Ivan Polozkov, venne battuto».
Il “Congresso dei deputati del popolo” era uno di quegli organismi «che la politica, tante volte, crea […] tanto per fare, o per dare l’impressione che si faccia, o per spostare, con qualche fine, la discussione da un’altra parte, o per creare nuovi posti utili per sistemare qualche amico. In ogni caso il presidente di questa specie di comitato centrale vecchia maniera si configurava di fatto come un presidente della repubblica. E però un presidente della repubblica c’era già e si trattava, appunto del sunnominato Gorbaciov. Cioè si era determinata una situazione per cui convivevano un presidente della Russia e un presidente dell’Urss – Russia e Urss non erano la stessa cosa – con il problema che il presidente della Russia, cioè il siberiano Eltsin, venne confermato presidente nelle elezioni del 1991. Dunque bisognava che Gorbaciov presidente dell’Urss e Eltsin presidente della Russia si mettessero d’accordo, e venne perciò organizzato un incontro a tre, a cui partecipò anche il kazako Nursultan Nazarbaev, che era schierato con Eltsin. Si raggiunse un’intesa sulla rimozione di tutti i conservatori del Pcus e alla fine della discussione Gorbaciov, esausto, se ne partì per la sua dacia di Foros, in Crimea. Senonché mentre lui era via, i nostalgici conservatori – vale a dire soprattutto i generali – tentarono un colpo di stato, al quale Eltsin si oppose con tutte le sue forze, radunando la folla in difesa del parlamento e arringandola dalla cima di un carro armato. Foto sensazionali, che fecero il giro del mondo e lo consacrarono come il vero uomo nuovo della Russia nuova, quella che si voleva aperta al mercato e all’Occidente, e nemica del comunismo. Si persuasero anche i militari, che restarono fermi in caserma e così mandarono a vuoto il golpe.
Il 6 novembre di quello stesso anno 1991 il Pcus – cioè il Partito comunista dell’Unione sovietica – venne sciolto per decreto.» Gorbaciov «non aveva partecipato al golpe, ma non l’aveva neanche impedito […] Eltsin, a questo punto fortissimo, riunì a Brest, in una riserva di caccia, i presidenti di Bielorussia e Ucraina e mise a punto un testo con il quale si sanciva la fine dell’Unione sovietica; le quattordici repubbliche che, con la Russia, avevano formato l’Unione sovietica erano libere di dichiararsi indipendenti. Gorbaciov era già stato spedito in televisione a leggere i verbali delle riunioni dei congiurati, una vera umiliazione.
Dopo il vertice di Brest, Eltsin in persona lo andò a trovare nel suo ufficio a Berlino e gli comunicò che era finita. Lui si sentì male, dovette sdraiarsi su un divano per tornare in sé».
Putin si era schierato dalla parte giusta «se no, non avrebbe fatto la carriera che poi fece».
Tonino Impagliazzo
6 Aprile 2022 at 07:32
Sig. Tano, grazie per il commento. L’intento del mio scritto non era quello di raccontare del dopo Gorbaciov ma di ribadire che l’analisi condotta da Gorbaciov nel 1986, al XXVII Congresso del PCUS, aveva posto sul tappeto una riflessione corretta, dignitosa e illuminata che richiedeva soluzioni altrettanto radicali.
Il messaggio di Gorbaciov, presente nella “Perestrojka”, racchiude l’intento di democratizzare la vita economica, politica e culturale dello Stato multinazionale sovietico attraverso una Costituzione Democratica delle “Repubbliche Federate Sovietiche”, diretta ad ottenere una riduzione del controllo militare, una maggiore libertà dell’informazione, un controllo delle oligarchie economiche, un ruolo di coordinamento politico e di pari dignità degli Stati membri da parte del Congresso Centrale.
Un Presidente, oserei dire, più amato all’estero che in Patria (vedi copertina del Time) che svanì quando un manipolo di “Oligarchi Militari” issarono la bandiera della Russia degli Zar sul pennone del Cremlino ed il suo successore Boris Eltsin, schierato per la sovranità russa, si dimise da Presidente del PCUS e, di fatto, dissolse formalmente l’Urss