.
Ho scelto questo titolo, per presentare un breve scritto di Paolo Di Paolo (1) su la Repubblica di oggi – provocatoriamente, per dire il contrario. Che le parole mentono, che la guerra la fanno solo gli uomini. I cani, e tutto il resto del mondo vivente, la subiscono impotenti, più degli umani stessi.
Penso ai cani, quando leggo di guerra, da quando anni fa lessi una cronaca – di Adriano Sofri (2), credo, ho cercato sul web, ma non l’ho ritrovata – da qualcuna delle innumerevoli guerre del mondo in cui i cani si aggiravano spersi tra le macerie, con lo sguardo smarrito di chi non capisce, senza più riferimenti affettivi, visivi olfattivi.
Ho ritrovato un altro scritto di Sofri (dalla cronaca di una strage al mercato di Sarajevo, del 5 febbraio del 1994):
“Solo i cani attraversavano inosservati, cani di Sarajevo, che si erano abituati a perdere gli umani, e a esserne perduti. (…)
(…) Facevo andare la telecamera. Tenere l’occhio dentro una telecamera. È un espediente prezioso, quando non bisogna piangere. Finì. Le corriere scomparvero, la folla si sciolse, in un silenzio gonfio di angoscia e quasi, chissà perché, di vergogna. O forse era solo nostra, degli spettatori. Un peso oscuramente simile a quello del visitatore di Auschwitz: così mi parve. Fino a poco tempo fa, non avrei creduto che al mio tempo potesse appartenere una mattina così”.
Mi fermo a pensare tra una lettura e l’altra. In poche righe si dipana un filo di dolore e di morte che lega insieme il passato remoto (Auschwitz), le brutte storie dell’ex Jugoslavia, e la guerra attuale “…e la presente, e viva e il suon di lei”.
In Ucraina lo sguardo dei cani nella guerra degli umani
di Paolo Di Paolo
Osservo questa folla di sfrattati dalla geografia e forse anche dalla storia, e mi è impossibile dire chi protegga chi, fra uomini e cani, nella bufera di questo inverno ucraino
Nella storia della distruzione è un particolare tra centinaia di particolari; nell’affresco spaventoso di una guerra è l’angolo in basso della tela. Da lì sbuca un muso di cane, e ci guarda: con quello sgomento muto che a volte c’è solo negli occhi dei cani. Il cane piccolo e atterrito – però vivo – ritrovato in un’auto con i finestrini distrutti. Il grosso cane dal pelo chiaro che accompagna una famiglia in viaggio verso il confine. E quello che sosta per ore in una stazione, confuso alla folla degli umani, accucciati come lui al freddo. Il randagio che percorre le strade di città sventrate, affamato. L’ospite di un canile abbandonato, che guaisce e sussulta per il rumore dei bombardamenti.
Il canile di Odessa, dicono i volontari delle associazioni animaliste, è irraggiungibile in questo momento. Ecco il cane portato in salvo da qualcuno che per lui ha rischiato la vita. Qualcuno l’ha persa. Il cane rimasto ucciso insieme alla sua famiglia umana – freddata alle spalle mentre era in fuga. C’è una fotografia, terribile, che lo inquadra esanime, nel trasportino inutilmente aperto. A Romanovka, un villaggio ucraino, un uomo ha perso la moglie e i figli, e ha perso uno dei suoi due cani, ritrovato con la zampa amputata. Adesso spera di ritrovare almeno l’altro. Almeno, non sarebbero soli al mondo.
– Nella storia della distruzione non sono coinvolti solo gli umani, ma – ha scritto Svetlana Aleksievic, la grande scrittrice bielorussa nata in Ucraina – anche il paesaggio naturale; la guerra lo travolge, lo stravolge, tocca e guasta “l’odore, il colore, il sapore dei dettagli che sostanziano l’esistenza”: “A soffrirne non sono solo loro (le persone!), ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi. Ogni cosa che convive con noi su questa terra. E, oltre a noi, a soffrire erano esseri privi della parola, in un’angoscia aggravata dall’essere muti”.
Così, mi trovo a fissare – fra le ipnotiche e violente e insostenibili fotografie di questi giorni – quelle che ritraggono gli animali domestici ridotti a profughi tra i profughi. C’è anche qualche gatto che sbuca da una borsa, da una coperta. È un dettaglio, è l’angolo in basso della tela, ma dice di una innocenza non umana che l’umanità mortifica, di una sofferenza senza riscatto, quasi incosciente, preverbale, simile a quella dei neonati umani.
Osservo questa folla di sfrattati dalla geografia e forse anche dalla storia, e mi è impossibile dire chi protegga chi, fra uomini e cani, nella bufera di questo inverno ucraino. E penso a qualcuno che nelle notti angosciose affonda il viso nel pelo del suo cane, e ne coglie il respiro con la guancia, come un miracolo.
Note
(1) – Paolo Di Paolo (Roma, 1983) è uno scrittore italiano (Wikipedia); collabora con la Repubblica. L’ho conosciuto in occasione della presentazione di un libro di Tea Ranno. Leggo sempre quanto scrive
(2) – Adriano Sofri. Da un articolo de la Repubblica del 16 maggio 1999: https://www.repubblica.it/online/dossier/sara/sara/sara.html
Di Sofri esiste anche un cortometraggio di 44 min. intitolato appunto: I cani di Sarajevo
La foto ripresa dall’articolo di Repubblica
***
Appendice del 10 marzo 2022 h. 9 (cfr. commento di Gianni Sarro)
Gianni Sarro
10 Marzo 2022 at 09:10
Buongiorno. Letto l’articolo sui cani, avevo notato anch’io la loro presenza. Un tentativo, forse, di trovare qualcosa di ‘umano’ dove l’umanità è scomparsa.
In allegato Gianni invia una foto e una nota dal profilo Instagram di Andrea Scanzi, grande amatore di cani e animali in genere (suo il libro: I cani lo sanno. Elogio dello sguardo rasoterra – Feltrinelli; 2011).
Immagini nell’articolo di base (a cura della Redazione)