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Per i due articoli precedenti, leggi qui e qui
I nostri antenati: delfini e balene
di Marco Belpoliti [*]
John Lilly (citato nell’articolo precedente -ndr) non è stato l’unico che ha professato idee simili sui cetacei (i.e.: una capacità superiore di pensiero – ndr).
Hal Whitehead, ricercatore marino, studioso delle balene, sostiene da tempo che l’area del cervello dei capodogli addetta ai processi mentali e sensoriali consci è molto estesa e che la neocorteccia, associata nei primati alla competenza sociale, appare notevolmente sviluppata. In Sperm Whales: Social Evolution in the Ocean (University of Chicago Press), pur in assenza di prove sperimentali, molto difficili da ottenere viste le condizioni in cui vivono questi cetacei, e per via delle loro dimensioni, sostiene che le balene possiedono una memoria ampia, e manifestano una propria cultura, ovvero che raccolgono informazioni attraverso le loro interazioni sociali, che usano per adattarsi all’ambiente marino così complesso. In più avrebbero sviluppato emozioni, concetti astratti e, a suo dire, persino una religione.
Laurie Anderson, l’artista americana, ha dedicato una performance a Lilly nel 1995, dove parla di lui: “John Lilly, l’uomo che dice di saper parlare con i delfini, raccontò che era in un acquario e parlava con una grande balena che nuotava in tondo nella sua vasca. E la balena continuava a fargli domande telepaticamente. E una delle domande che la balena continuava a fargli era: In tutti gli oceani ci sono muri?”.
Sul sito Laurie Anderson, artista di spicco della scena newyorkese, è citata in una breve nota come come musa e moglie di Lou Reed (leggi qui)
La caccia alle balene ha segnato – drammaticamente per questi cetacei – la storia della stessa marineria europea e americana degli ultimi due secoli. “Pull my boys! Sperm, sperm’s the play!”, così urla Starbucks, il primo ufficiale del Pequod, che può essere tradotto: “Vogate ragazzi miei! L’olio, l’olio è la posta!”.
Moby Dick di Melville (leggi qui, qui e qui), pubblicato nel 1851 senza alcun successo in Gran Bretagna e Stati Uniti, rivela nelle parole del marinaio della nave maledetta il sottofondo taciuto della caccia a questo animale ancestrale, che solca i mari.
La balena viene direttamente dalla Genesi, scrive Philip Hoare in Leviatano ovvero la balena (traduz. ital. di D. Sacchi e L. Civalleri, Einaudi; 2013), è “un mito del quinto giorno”, secondo la poetessa Mary Oliver, capace di inghiottire profeti come Giona e marinai come Sinbad: “simboleggia l’innocenza in tempi di pericolo”. Le prime tracce di questa creatura risalgono a 50 milioni di anni fa. Il cetaceo cacciato da Achab deriva dal Pakicetus, un quadrupede dalla corporatura volpina, cui seguirono le lontre gigantesche e altri generi di “balene ambulanti”.
La balena è stata scoperta da europei e americani nel 1712 quando è diventata oggetto delle nostre scorribande. Un animale degno dei mostri dell’Apocalisse, il libro che descrive gli ultimi giorni del mondo. La leggenda dei primi balenieri narra che la nave di Christopher Hussey, trascinata dal vento oltre i limiti della consueta pesca a Nantucket, scoprì in quell’anno il capodoglio e iniziò a predarlo.
Fu Richard Owen, l’inventore del termine “dinosauro”, che vide per primo i resti di quella creatura che precedeva l’età adamitica, e che chiamò Zeuglodonte, “una delle creature più straordinarie che i mutamenti del globo avessero cancellato”.
Da lì vengono le balene.
Il Basilosaurus (il cui nome significa lucertola imperatore) o Zeuglodon (Zeuglodonte), in riferimento ai suoi denti seghettati, è un genere estinto di cetaceo, lungo pressappoco come un’attuale balena (15–18 m), aveva un corpo snello, serpentiforme ed una testa di dimensioni relativamente piccole
Circa 35 milioni di anni fa pensarono bene di abbandonare gli archeoceti, destinati all’estinzione, e si divisero, come si è detto, in quei due rami dei Misticeti e degli Odontoceti.
Nella moderna tassonomia dei mammiferi marini ci sono due grandi gruppi: Cetacea e Pinnipedi. Sono Misticeti le Balene franche, le Balenottere, la Balena grigia e la Caparea, mentre è un Odontoceto il Capodoglio, di cui esistono 3-4 specie diverse, un animale unico, a sé.
Questo è l’oggetto della caccia senza fine di Achab. Possiede una forma bizzarra con una colossale testa squadrata così grande da contenere al suo interno perfino un’automobile; scende sino a 3 chilometri sotto la superficie dei mari sfruttando il suo organo degli spermaceti, oggetto del desiderio dei predatori, che lei usa come strumento di eco-localizzazione nel buio; ha una organizzazione sociale molto complessa, paragonabile a quella umana, basata su fattori come l’età e il sesso. Come scrive Hoare, è stata la spinta idrostatica dei flussi oceanici ad aver consentito alle balene di evolvere sino a diventare i possenti animali che conosciamo.
Nei mari del mondo gli Odontoceti si nutrono in modo classico usando i denti, mentre i Misticeti pascolano setacciando i loro bocconi che restano imprigionati dai fanoni.
I fanoni sono delle lamine presenti nella bocca di alcune specie di balena (Misticeti) al posto dei denti, sono usati come filtro per espellere l’acqua dalla bocca trattenendo i piccoli animali di cui si nutrono
Il capodoglio avvistato nel Settecento da Hussey è il più grande carnivoro esistente, più grande ancora di ogni dinosauro esistito e, seppur immerso nell’acqua, non beve mai. Nel corso di trecento anni d’implacabile inseguimento negli oceani e nelle acque artiche l’animale antidiluviano è stato quasi sterminato.
Nel cinema, oltre a Moby Dick, la balena bianca (titolo originale Moby Dick), il classico di John Huston del 1956, con Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab, un film molto bello è Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (titolo originale: In the Heart of the Sea), del 2015, diretto da Ron Howard [1].
Così come i cowboy di terra uccisero sessanta milioni di bisonti, i cowboy di mare con le loro navi-mattatoio hanno predato oltre settecentomila cetacei appartenenti alle diverse famiglie. Una storia cruenta che s’incentra su quel prezioso olio-sperma. Nel 1833 la filiera della pesca occupava settantamila uomini solo negli Stati Uniti e valeva settanta milioni di dollari; dieci anni dopo era il doppio. In quel periodo gli Stati Uniti esportavano in Europa quattro milioni di litri d’olio l’anno.
Possiamo ritenere a ragione che la fortuna della Gran Bretagna imperiale si sia fondata su due cose: la tratta degli schiavi per lo zucchero e l’uccisione delle balene per l’olio.
Londra, la città meglio illuminata del mondo, aveva nel Settecento cinquemila lampioni che bruciavano quel prezioso liquido. Il cetaceo più cacciato del globo è programmato per vivere a lungo – ha dieci battiti cardiaci al minuto – e si riproduce con molta lentezza: le femmine partoriscono un solo piccolo alla volta ogni quattro-sei anni e li nutrono per due anni con un latte che, come dice Ismaele in Moby Dick, “è molto dolce e ricco e sarebbe perfetto accompagnato con le fragole” [Gli scienziati ipotizzano che la balenottera azzurra possa vivere fino a 80 anni – ndr; fonte: Wikipedia].
Le balene comunicano tra loro in modo complesso, si organizzano in clan e comunità, condividendo lingue e dialetti. Decimando i più antichi capodogli della Terra – si chiede Hoare -, cosa abbiamo perso? Una parte della memoria ancestrale del mondo, lingue sconosciute, codici semi-sconosciuti di comunicazione, un pezzo non più recuperabile della storia del nostro Pianeta che, da quando l’abitiamo noi, dall’età detta Antropocene, perde ogni giorno pezzi della propria fauna e flora.
Al termine della sua caccia Achab tira l’arpione contro la Balena bianca: “Così! scaglio il lancione”. Ma la fune s’attorciglia intorno al suo collo e il capitano viene strappato dalla lancia. L’equipaggio lo vede inabissarsi avvinto al fianco bianco dell’animale. Questo torna indietro e affonda il Pequod.
Le acque inghiottono tutti tranne Ismaele, affinché potesse tornare a raccontare il folle inseguimento della balena.
Un’artista italiana, Claudia Losi, ha pubblicato di recente un libro, The whale theory (Johan & Levi; 2021), dedicato alla balena [2], dove racconta un suo progetto sviluppato nel corso degli anni, che contiene molte informazioni di ordine antropologico, oltre che scientifico, e interventi di vari studiosi di questo animale.
Note
[*] – Gli scritti di Marco Belpoliti sono stati ripresi da la Repubblica del 28 gennaio 2021 e da www.doppiozero.it del maggio 2021, come indicato negli articoli precedenti. I due scritti sono in parte coincidenti e sovrapposti.
[1] – Un film molto bello sul tempo dello sterminio delle balene è Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (In the Heart of the Sea), del 2015, diretto da Ron Howard. Una storia immaginaria ma verosimile. La pellicola è l’adattamento cinematografico del romanzo Nel cuore dell’oceano – La vera storia della baleniera Essex (In the Heart of the Sea: The tragedy of the whaleship Essex), scritto da Nathaniel Philbrick nel 2000 sulla storia della baleniera Essex, evento che ha ispirato Herman Melville per la stesura del suo celebre Moby Dick.
[2] – È Balena Project, entità viva che si muove e calamita storie in giro per il mondo, assorbendo suggestioni e mutando continuamente aspetto. The Whale Theory, capitolo conclusivo di questo viaggio, ne è la materializzazione letteraria. Libro d’artista che custodisce strane e segrete meraviglie, è anche una bussola che consente di ripercorrere questa lunga esperienza poetica attraverso illustrazioni, fotografie e testi, facendosi luogo di incontro di competenze e sguardi diversi, in una polifonia di voci che si mescolano al canto dei cetacei.
Le due immagini, quella di copertina e questa qui sopra “Il compleanno della balena”, sono opera di Lucio Villani
Franco Zecca
23 Febbraio 2022 at 21:03
A proposito di… Delfini e balene
Tra i miei ricordi è venuto fuori questo breve commento che ho estratto da un vecchio quaderno di scuola, contenente alcune mie traduzioni dal greco quando frequentavo il liceo. Una in particolare riferita allo storico Plutarco, vissuto tra il I° e II° sec. d. C., che riporta:
“Il delfino è l’unico animale che considera l’uomo per quello che è. Fra gli animali terrestri, alcuni addirittura fuggono dall’uomo, altri, quelli domestici come cani cavalli o mucche, gli sono legati perché vengono nutriti da lui. Solamente al delfino la Natura ha concesso ciò che i migliori filosofi ricercano: l’amicizia disinteressata”.