Scrittori

Il senso della scrittura… e della lettura

di Sandro Russo

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Il bello del sito – che per questo aspetto è simile a un blog e molto meglio di un giornale -, è di essere interattivo. Gli articoli pubblicati stimolano associazioni, interrogativi cui si può dar risposta diretta (immediata o più ragionata), in un continuo feed-back.
Non mi convincevano gli articoli sulla scrittura e sulla lettura (leggi qui e qui). Non si misurano il piacere, l’arricchimento che ne derivano, in termini di lunghezza del testo e neanche nei giri più o meno lunghi che si fanno per esprimere la propria idea.

Leggere/scrivere alla nostra età è una cosa impegnativa.
Un mio amico, che riconosco però essere esagerato, quando legge ha sul tavolo, oltre al libro, il computer per aggiornamento on line (Wikipedia et similia); tre o quattro altri testi che ha tirato giù della sua fornita biblioteca, e un blocco di appunti in cui annota man mano gli spunti interessanti e le idee che gli vengono. Ma sempre gli manca qualcosa, per cui ricorre alle consegne rapide di Amazon, che lo ha tra i suoi clienti più fedeli.
Stessa cosa per i film.
Insomma un vero lavoro da minatore, con occasionali ritrovamenti di pepite d’oro.

Questo per la tipologia dell’intellettuale ‘in età’. Ma ci sono anche altri aspetti, secondo me importanti, che cercherò di spiegare ricorrendo a testimoni, come dire, “informati dei fatti”…

Narrazioni

Fili e associazioni
Avevo scritto una volta, in scambi tra amici:
“…Scritto: ovvero pensato più a lungo, scavato in profondità e portato alla superficie.
Molte volte mi sono meravigliato delle cose che avevo tirato su, inseguendo un filo di pensieri apparentemente casuale; altre volte è stata una sorpresa ritrovare scritte cose di cui io stesso non sapevo di aver conservato memoria. Mi stupivo di come una sonda mandata tra i ricordi mi permettesse di riconoscerli, isolarli e metterli in ordine…
“Gettiamo pietre in uno stagno e stiamo a guardare come i cerchi si allargano; quali si toccano; dove, nel punto di contatto, si forma un’onda più grande; dove l’onda si appiattisce…

Memoria e ghiacciai, di Erri De Luca
– Cos’è per lei la memoria e a che serve?” – gli chiedono.
– Non è un album di fotografie – risponde – né un posto, né una biblioteca o un’enciclopedia da consultare: non si può tornare sui passi per riviverne un pezzetto. È un enorme ghiacciaio che, come succede spesso, ogni tanto si ritira e restituisce pezzi e reperti. La memoria sputa dettagli in maniera così forte e violenta che mi obbliga a riscriverla. Ecco, la scrittura è la seconda volta della memoria, il caso, l’accidenti che coinvolge molti pezzi e molte ossa del passato”.

Poi c’è l’aspetto della sincerità di quel che si legge o si scrive; provo a dirlo con le parole di Simona Vinci:
“…Le ho scritto una lettera.
Mi è sempre piaciuto scrivere lettere. Le parole sono un corteggiamento violento. Entrano dentro la carne di chi le legge.
Le parole scritte fanno paura.
Ho sempre pensato che quando si scrive venga fuori il ritmo dell’anima; quando si parla si mente, quando si scrive no. Non è possibile. È come tirare fuori da sé qualcosa di vitale e spaventoso, come un organo spiaccicato sulla carta.
Incartare un fegato e spedirlo, questo è scrivere lettere…”

Ma siamo davvero noi a condurre il gioco, quando scriviamo o leggiamo?
Risponde Gianni Celati (di recente scomparso), nell’introduzione a ‘Bartleby lo scrivano’ di H. Melville:
“La condizione d’esercizio della scrittura dipende senza dubbio da un andamento inerziale delle parole che portano, e portano dove vogliono loro, mai dove vogliamo noi. Portano là dove sono chiamate dalle voci che parlano all’anima, le quali sorgono da chissà dove, comunque sempre da molto lontano…”

La ricerca dell’essenza, nella scrittura e nella lettura
Ne parla Baricco in termini critici nei confronti della letteratura giovanile:
…E’ un po’ come se la formidabile capacità di registrare la quantità del mondo impedisse loro di avvicinarsi all’essenza del mondo (parole impegnative, ma non ce n’è altre). Voglio dire: l’indice di un’enciclopedia contiene il mondo, ma non ti aiuta a conoscerlo; desta meraviglia, ma non tramanda sapere… Mentre da un libro, fino a quando i libri esisteranno, ti aspetti qualcosa di più: “il lato epico della verità” diceva W. Benjamin. Qualche emozionante indizio rubato al cuore delle cose. Basta un’eco, alle volte, ma che venga di là…”
[Da A. Baricco: Barnum 2; Feltrinelli, 2003]

Karen Blixen e Antonio Tabucchi hanno in comune l’ansia della ricerca di senso (resa in modo sognante e poetico).
A Karen Blixen da bambina raccontavano la storia di un uomo che viveva nei pressi di uno stagno.
Una notte un gran rumore lo svegliò, uscì di casa e, nell’oscurità, si incamminò verso lo stagno. Correva su e giù, inciampò e cadde varie volte nel terreno bagnato, finché trovò una falla nell’argine dello stagno e si mise al lavoro per ripararla; quando ebbe finito tornò a casa a dormire. La mattina dopo dalla finestra, sorpreso, vide che le sue orme avevano lasciato sul terreno il disegno di una cicogna.
E Tabucchi… “…E’ come uscire a fare una passeggiata nella neve… tornare in casa e vedere nelle orme, dalla finestra, il senso che ha avuto il camminare”
[Da: Si sta facendo sempre più tardi (2001); Feltrinelli]

Cosa ci attira, in quel che leggiamo
“…Se si ripensa ai propri libri e scrittori preferiti, forse è possibile farsi un quadro abbastanza preciso della propria rappresentazione della realtà: una via originale, ancorché obliqua e poco frequentata, per arrivare a conoscerci meglio.
Ci sono delle atmosfere, nei libri, ma anche in certi quadri e film, che inconsciamente attraggono. Episodi e intere frasi si incidono nella memoria e prendono a farne parte; paesaggi e colori sono così familiari da sembrare un dejà vu.
Dopo aver tanto letto e guardato, sarà prima o poi possibile riconoscere se stessi e i significati del panorama intorno? Dove ci piace vederci proiettati? In una casa o in una radura tra gli alberi, nel mare aperto o sullo sfondo di un deserto? E in quali discorsi e pensieri impegnati?…”
[Da: Appunti sparsi, anonimo poeta contadino XX – XXI sec.]

Quel che siamo stati e quel che avremmo potuto essere
“..Insomma noi persone forse consistiamo tanto in ciò che siamo quanto in ciò che siamo stati, tanto in ciò che è verificabile e quantificabile e rammemorabile, quanto in ciò che è più incerto, indeciso e sfumato; forse siamo fatti in egual misura di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere.
E mi spingo fino a pensare che sia appunto la finzione a raccontarci tutto questo, o meglio, a servirci da promemoria di quella dimensione che siamo soliti lasciar da parte al momento di raccontare e di spiegare noi stessi e la nostra vita. E oggi il romanzo è ancora la forma più elaborata di finzione, o così credo”
[Javier Marias – In epilogo al romanzo “Domani nella battaglia pensa a me” – Einaudi Ed.; 1998]

La musica delle parole
Ci raccontava Tea – Tea Ranno, l’unica vera scrittrice del gruppo – che durante il lavoro di revisione definitiva del suo primo romanzo – Cenere; Editore E/O, (2006) – aveva smesso qualunque altra lettura che non fossero poesie e era diventata molto attenta ai suoni, al ritmo delle parole, alla lunghezza delle frasi.
Anche alla Scuola di Scrittura Omero, che è stato il brodo primordiale comune a molti di noi, davano molta importanza alla lettura ad alta voce, davanti a tutti.

Siamo tutto scrittori o perlomeno lettori: non ci sarà bisogno di altre parole per dire perché le letture a tempo, a peso o a lunghezza, mi lasciano alquanto interdetto. Poi leggeremo insieme qualcosa di Stefano D’Arrigo… (E’ una promessa o una minaccia?)

1 Comment

1 Comments

  1. Tano Pirrone

    4 Febbraio 2022 at 12:50

    Bel richiamo all’ordine, mio caro Sandro, al senso trascendentale che acquisisce la lettura quando il rapporto con essa è maturo e disinteressato; che significa, che non ti aspetti nulla da essa, non hai tornaconti: maggior sapere, maggiori notizie, informazioni, spunti; nulla. E’ un bagno tanto per farlo per starsene nell’acqua, in quell’acqua mai uguale, sempre diversa, corrente, stagnante, trasparente, scura, verdastra, odorosa, puzzolente, inodore… è un bagno che non serve a lavarsi, non serve a scaldarsi o a raffreddare la carne rovente: è un bagno di fiducia, di traslazione, di affidamento. Un bagno fra le parole, antiche, recenti, nuove, in forma di prosa e o di poesia, con i morti dentro o i vivi o i pirati, Napoleone, e gli uccelli che tornano a primavera e balene e orche, nascoste sotto il tappeto. Provo spesso lo stesso piacere di abbandono, di fiducia incondizionata alla parola, per la musica che è, per il vaso che contiene tutto quello che in un vaso ideale può infilarvisi; provo lo stesso senso quando mi abbandono all’enigmistica e cerco le parole, me le segno, cerco di riusarle, nel senso proprio o in modo nuovo, più appropriato a quello di cui ho bisogno per esprimere un concetto, che magari non ho ancora chiaro e cercando le parole capisco meglio il concetto o ne trovo altri comunque collegati.
    Il comune amico da te citato in apertura è pittato come l’hai descritto, ma ha un brutto carattere e poi si perde per gli universi mondi, accoglie tempi e cadenze non trattabili, tira fuori fantasmi e mostri dai tanti cappelli che colleziona. Ma è un bravo figliolo, in fondo, molto in fondo…

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