P. M.
Buona giornata della memoria
di Lorenzo Spizzichino et Al.
“Era il febbraio del 1944, Umberto aveva 26 anni era bellissimo e paraculo come solo i giovani romani sanno esserlo. Umberto è il primo di cinque figli di una famiglia ebrea, proprietaria di un negozio di abbigliamento in via Alessandria; le leggi razziali del 1938 promulgate dal fascismo, l’occupazione di Roma dei tedeschi, i raid al ghetto di Roma costringono la famiglia a dividersi per evitare le persecuzioni. Umberto decide di fuggire in Svizzera. Il fratello Leonardo di un anno più piccolo viveva nascosto con la moglie Gemma in casa della suocera Anita in via Reggio Emilia, da poco avevano avuto un figlio Settimio detto “il baroncino” che allora aveva 8 mesi.
Intorno agli anni ‘30 Umberto frequenta le elementari all’istituto Pestalozzi, in Via Montebello , tra i suoi compagni di classe vi è Luciano, i due giovani diventano ben presto amici e finiti gli studi in comune, continuano a frequentarsi anche perché si trovano ad abitare nello stesso quartiere.
A lui Umberto si rivolge per essere aiutato ad espatriare, Luciano gli fissa un appuntamento all’incrocio tra viale Manzoni e via Emanuele Filiberto. Pieno di speranza Umberto si reca puntualmente all’incontro, ma al posto dell’amico trova gli agenti delle SS che lo arrestano e lo portano in via Tasso.
Da quel giorno inizia l’odissea di Umberto, da via Tasso finisce al carcere di Regina Coeli dove riesce a scrivere una lettera alla suocera (che non essendo ebrea non correva rischi), Gemma, la cognata, corre al carcere ma era già troppo tardi.
Umberto era stato trasferito, così, senza soldi e con i vestiti che aveva indosso al momento dell’arresto, a Fossoli vicino Carpi in provincia di Modena dove la Repubblica di Salò aveva allestito un campo di concentramento.
Da Fossoli Umberto scrive a Roma ad amici e parenti per far sapere dove si trova e per chiedere, con molta vergogna, soldi, vestiti e cibo; nelle lettere oltre a scusarsi per le richieste, cerca di rassicurare tutti sulla sua condizione di salute e di morale, conclude sempre con un abbraccio al “baroncino”.
Solo il 19 marzo riesce a ricevere la prima lettera dalla famiglia che, da allora, cerca di mandargli anche soldi attraverso dei vaglia postali (500 lire per volta) e pacchi di vestiti e cibo, tutte cose che non gli arriveranno mai.
Da Fossoli Umberto scrive “…la vita scorre tranquillamente, forse anche troppo, ma meglio così che altrimenti…”, il 3 aprile scrive che gli hanno appena comunicato che deve partire “…per ignota destinazione…” e in quella lettera cerca di nuovo di tranquillizzare la famiglia “…non preoccupatevi per me, che non è il caso, cercate di stare bene voi tutti, che questo pensiero è quello che mi fa stare più tranquillo…”.
L’ultime notizie sono 5 righe scritte a matita di fretta su un fogliettino con data 5 aprile 1944: “Cara Gemma, ti scrivo nell’ora della partenza, sperando che questa mia ti pervenga. Tanti baci a tutti voi e niente paura. Umberto”
Da quel giorno non si è più avuta notizia di Umberto.
Luciano, invece, che di cognome fa Luberti ha fatto “carriera”. Durante l’occupazione si è meritato il soprannome di Boia di Albenga, con la liberazione è stato condannato a morte, ma la condanna è stata tramutata in ergastolo e poi, con l’amnistia, a 7 anni di carcere militare. Uscito dal carcere è stato accusato di aver ospitato gli esecutori della strage di piazza Fontana (il 12 dicembre 1969 a Milano) e degli attentati dinamitardi che nello stesso giorno erano stati compiuti a Roma; la sua compagna Carla Gruber che aveva deciso di confessare è stata uccisa e il suo cadavere tenuto nascosto per tre mesi.
Luberti, militante del Fronte Nazionale, viene ritenuto incapace di intendere e di volere dal criminologo Aldo Semerari (morto decapitato e noto per le sue perizie psichiatriche a fascisti e malavitosi della banda della Magliana), condannato all’internamento per due anni nel manicomio di Aversa, fa perdere le sue tracce e muore, di vecchiaia e in libertà, il 10 dicembre 2002.
Il fratello di Umberto, Leonardo, ha gestito il negozio di famiglia in via Alessandria insieme al fratello Angelo e alla moglie Gemma, è morto nel 1984 e gli eredi sono diventati i loro figli, tra cui Settimio, il “baroncino”. Nel 1999 hanno bisogno per motivi fiscali di sapere ufficialmente che fine avesse fatto Umberto e dopo qualche ricerca da Milano tramite la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (C.D.E.C) arriva il documento che certifica che Umberto è arrivato il 15 aprile 1944 ad Auschwitz e lì “marchiato” con il numero 180110 è morto il 28 agosto del 1944.
Umberto di cognome faceva Spizzichino e il “Baroncino” nient’altri era che mio padre.”
Lorenzo Spizzichino – Silvia Spizzica – Daniele Spizzichino – Marta Spizzichino
Giorno Memoria: le lettere di Spizzichino donate a Fossoli
L’ebreo romano assassinato ad Auschwitz le scrisse dal Campo
(ANSA) – Carpi, 26 genn – Sono state donate alla Fondazione Fossoli le lettere di Umberto Spizzichino – ebreo romano vittima della persecuzione razziale, assassinato ad Auschwitz nel 1944 – scritte dal Campo di concentramento di Fossoli (Modena).
L’erede Gemma Moroni ha deciso, insieme ai figli, di donare alla Fondazione il carteggio perché sia conservato e messo a disposizione degli studiosi.
Grande la soddisfazione della Fondazione che, in concomitanza con i cantieri di riqualificazione e conservazione del Campo, ha lanciato la campagna internazionale ‘Salva una storia’, con lo scopo di raccogliere materiale documentale come lettere, diari, documenti e missive risalenti al periodo della Seconda guerra mondiale.
Una campagna che, a partire dalla donazione del carteggio di Bruno De Benedetti, altro internato al Campo, è proseguita con molti contributi che hanno arricchito e accresciuto il patrimonio documentario e testimoniale del Centro studi e documentazione Primo Levi della Fondazione.
Umberto Spizzichino, nato a Roma il 25 maggio 1918, fu arrestato dalle SS nel gennaio 1944, a 25 anni, poi deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, ‘marchiato’ con il numero 180110 e assassinato nello stesso anno. Dopo la detenzione in via Tasso e nel carcere di Regina Coeli, la prima tappa nel viaggio della deportazione fu il Campo di concentramento di Fossoli, a Carpi, in cui furono raccolti, per poi essere inviati ai lager nazisti, molti degli ebrei catturati in Italia. Da qui Umberto scrisse diverse lettere a parenti e amici per chiedere, con molta vergogna, denaro, vestiti e cibo; nelle missive il tentativo di rassicurare tutti sulla propria salute, concludendo sempre con un abbraccio al nipote Settimio, chiamato affettuosamente “il baroncino”.
Le ultime notizie sono condensate in poche righe, scritte in fretta a matita, su un foglietto datato 5 aprile 1944: – Cara Gemma – la cognata, che non avendo origini ebraiche non rischiava l’arresto – ti scrivo nell’ora della partenza, sperando che questa mia ti pervenga. Tanti baci a tutti voi e niente paura. Umberto.
Da allora si persero le sue tracce.
vincenzo
28 Gennaio 2022 at 10:14
Questa è una storia che ci fa pensare: due amici nella stessa classe, due bambini che giocano insieme, studiano insieme, respirano la stessa speranza per un futuro di libertà; le loro famiglie si frequentano e si rispettano. I bambini crescono ma nel frattempo cambia l’ambiente intorno a loro; cambia il clima politico, arriva la dittatura a imporre i suoi comportamenti sociali, politici e religiosi. Per vivere in questa nuova società bisogna adattarsi, obbedire e combattere. Per far carriera in questa nuova società, non solo bisogna conformarsi alle regole imposte con il terrore ma addirittura diventare complici e direttamente o indirettamente carnefici.
Umberto e Luciano erano amici da bambini. Luciano diventa fascista e non ha alcuna vergogna di denunciare Umberto il suo vecchio amico di giorni spensierati. Umberto finisce nei campi di concentramento. Luciano al contrario fa carriera e dopo la guerra – nel mondo liberato dalla barbarie fascista – tra un amnistiE e processi aggiustati, sempre fedele e fascista – muore di vecchiaia nel 2002.
Quanti lupi travestiti da pecora troviamo nelle istituzioni in tutto il mondo. Questa è una riflessione che dovremmo fare tutti per rispettare veramente quei morti innocenti.