Racconti

Franta, s’apre la via, la poesia (2)

di Francesco De Luca

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Incontro una coppia di anziani, Gino e Tina, e insieme facciamo quattro passi e quattro chiacchiere.

Ieri sera lo aveva mandato a comprare qualche pesce: Le barche si ritirano nel pomeriggio ed ora, in inverno, alle 17 è già buio. Gino è andato e invece di comprare i soliti rotondi (rutunne) ha acquistato uno scorfano. L’ha visto bello, rosso, pescato da Gioacchino, che di solito bazzica Palmarola. E’ stata una tentazione alla quale non ha saputo sottrarsi. Uno scorfano, sotto il chilogrammo. Una spesa non abituale. Tina infatti come l’ha visto non ha represso una smorfia di dissenso. Vivono con la sola pensione  di Gino e perciò devono stare attenti. Anche se ormai solo soli, anziani, i figli grandi e indipendenti. Gino ha la pensione di maresciallo di Marina. Niente di che, ma bastevole per una serena vecchiaia.

In verità Tina è stata sempre un po’ sparagnina. Ha tenuto la barra del timone economico con accortezza e infatti hanno fatto studiare un figlio fino alla laurea e ha mantenuto le condizioni familiari su un binario più che dignitoso. Gino gli riconosce questa qualità con gratitudine tanto è vero che la pensione la gestisce lei, Tina, in quasi assoluta autonomia.

Gino, settantenne, talvolta si fa prendere dai desideri di gioventù. Anche lui andava a pesca con le reti (i rezzelle) nei dintorni del porto e gli scorfani che catturava erano piccoli mentre questo è un sovrano dei pesci di scoglio. Lo sa bene anche Tina, nata in una famiglia di pescatori. Il padre era stimato per la sua bravura con la quale ha sostenuto tutta la famiglia. Ed era per questo che i pesci buoni, quelli apprezzati sulle tavole, venivano venduti. In casa si mangiavano quelli di poco conto (‘a munezzaglia). Con qualche eccezione per le feste.

Insomma lo scorfano rosso oramai è lì e bisogna trarne motivo di piacere. Come detta una antica pratica familiare. Bisogna ungere gli ingranaggi della vita insieme e trarre contentezza da una leggera avversità. Detto così sembra una massima, mentre è semplice buon senso.

Per dirla tutta, a Tina quell’acquisto apportava un’ aggiunta di fastidio. Perché in quei casi Gino si prendeva la briga di cucinare lui e, si sa che un marito ai fornelli è una calamità per la moglie. Per quella mattina avrebbe dovuto non vedere né sentire e passare in cucina come un fantasma. Perché deve fare tutto lui. Soprattutto cuocere il pesce nel sugo.

Bisogna prima pulirlo. Gino lo fa sul muretto nel cortile così le squame non si spandono in casa. Sciacquato a dovere lo mette nella pentola. “Mettilo in una più grande” – interviene inaspettato il suggerimento di Tina. Che fa altro, spazza casa, sistema il letto, ma un occhio di traverso lo dà a suo marito, che conosce bene. Ma anche Gino conosce lei e ne apprezza la bravura, così che prende la pentola più grande. “Mettici il pomodoro delle bottiglie nostre… non quello comprato”- è un altro suggerimento. Anche questo accolto perché la donna conosce le preferenze del marito. Non invano hanno trascorso oltre quarant’anni insieme. Nelle difficoltà e nelle gioie, nell’amore e nei contrasti, nelle incomprensioni e nelle soddisfazioni: la casa, i figli, il benessere, gli acquisti, gli ospedali, le perdite dei cari. Quante pagine scritte, quanti giorni trascorsi, quanti sentimenti nati e goduti.

La pentola gorgoglia, il profumo si spande. Gino gironzola nelle vicinanze come un cane da guardia, ne va del suo orgoglio. La fiamma è al minimo perché la cottura nella lentezza insaporisce. “Mettici una manciata di capperi” – da lontano la voce di Tina. Gino ubbidisce.

Dalla cucina esonda nel pianerottolo e da qui per la strada l’odore del sugo di pesce. Sa di casa, di amore, di isola.

Un gatto di passaggio qualcosa deve aver avvertito e si ferma nei paraggi, a vederlo indifferente. Purtroppo non gli toccherà niente perché Tina, da buona isolana, scarnifica la testa dello scorfano in modo esemplare. Retaggio dell’educazione familiare pulisce gli ossi uno per uno, netta gli anfratti della grossa bocca, insomma da quella testona trae l’inverosimile. Lasciando bianca l’ossatura.

E Gino? Gino è contento. Ha gustato la sua porzione, ha intinto il pane nel sugo, è sazio della sua contentezza. Che, come si sa, è breve, ricca di niente, ma fa star bene.

 

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