di M. Patrizia Maccotta e Cossirese
Per la prima puntata, leggi qui
Dialogo tra Israele e Palestina
Palestina: M. Patrizia Maccotta
Israele: Cossirese
Palestina – Quanto dolore! Ma lasciamo i tempi passati, sono così lontani. Rivolgiamoci al secolo scorso, così carico per noi di momenti importanti seppur a volte terribili.
Dopo la Prima Guerra Mondiale la Gran Bretagna ha catturato la nostra terra nella sua orbita. La Società delle Nazioni (1) le concedette, nel 1920, il Mandato sulla Palestina.
Palestina. Commissione Peel. Proposta di divisione 1937
Ed in seguito, gli Ebrei della diaspora, a causa del clima ostile che si era creato in Germania e pure, anche se dopo, in Italia, cominciarono ad arrivare sulle nostre sponde. Troppo triste sarebbe ricordare quello che è successo dopo la scoperta dell’olocausto che vi ha decimati ed il rifiuto di ricevere i vostri sopravvissuti, rifiuto di cui la storia della nave Exodus è l’emblema (2).
Vorrei ricordare invece il piano per la creazione di uno stato ebraico che convivesse con uno stato a maggioranza araba che fu presentato nel 1947. Avremmo avuto la coesistenza di due stati distinti e la sacra città di Gerusalemme sarebbe stata posta sotto controllo internazionale.
Mappa del Piano di partizione dell’Onu per la Palestina, adottato il 29 novembre 1947
Una vera immagine della nave Exodus (1947). Foto di Frank Scherschel
Exodus (film del 1960 di Otto Preminger). Locandina; Paul Newman
Era quella un’opportunità da non mancare. Purtroppo non ebbe successo. Abbiamo forse avuto paura di avere poco accesso al Mediterraneo, solo un terzo della costa sarebbe stato nostra. E molti dei nostri villaggi non sarebbero stati inclusi nel nuovo stato. Ricordo che facemmo ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, ma il ricorso fu respinto e l’occasione perduta. Così nacquero, già da allora, numerosi scontri tra i nostri coloni. Me ne rammarico tanto.
Israele – Dispiace pure a me che non sia stato possibile accordarci, ma se ripercorri quegli anni devi riconoscere che sia nel 1948, anno della Creazione dello Stato di Israele, con trentatré paesi a nostro favore, ben ventitré contro e dieci astenuti, sia nel 1967 nella Guerra dei sei giorni e infine sia nel 1973 nella guerra di Yom Kippur sono state coalizioni di paesi arabi ad attaccarci e ad essere sconfitti. Cosa dovevamo fare? Porgere l’altra guancia? Memori di una storia di emarginazione e persecuzione, letteralmente dimezzati durante la Shoah, avevamo amaramente constatato con Herzl (3) che l’assimilazione era un’illusione – lo avevamo già capito d’altronde durante l’Affaire Dreyfus alla fine del secolo precedente (leggi qui). Siamo sempre stati il capro espiatorio di tutti i mali. Ma siamo stati capaci di reazione: abbiamo fondato i kibbutz e siamo diventati un popolo di agricoltori e di soldati, noi che eravamo per secoli stati costretti ad un numero limitato di professioni e rinchiusi in dei ghetti. Perché ora, una parte del mondo progressista ci accusa di essere degli oppressori?
Palestina – Dovremmo tutti, infatti, evitare di trattare dei problemi così complessi in modo schematico. I Britannici avevano già prima del 1947 restituito il loro mandato. Eravamo ambedue un problema troppo grosso per loro. E noi, invece di accordarci, ci siamo subito scontrati. Gerusalemme, la nostra città sacra divisa tra noi due? La nostra terra divisa in due stati? Ci siamo definiti incompatibili. Ma non potevamo, veramente, agire in un modo diverso? Ne siamo sicuri?
Israele – Credo che parte delle responsabilità sia dei nostri governanti. E permettimi di osservare che i paesi arabi hanno sbagliato a dichiararci guerra nel 1948, nel 67 e nel 73; contavano sulla loro superiorità numerica e non consideravano la nostra superiorità strategica. Golda Meir che fu primo ministro dal 1969 al 1974 disse una volta, con una certa ironia, che “noi Ebrei abbiamo un’arma segreta nella nostra lotta contro gli arabi: non abbiamo un posto dove andare”. E lo stesso concetto fu ripreso da Zu en Lai, per lunghi anni il numero due della Cina maoista, quando fece notare ad una delegazione di esponenti politici palestinesi in visita a Pechino che “I francesi, gli inglesi che hanno colonizzato il Medio Oriente se ne sono andati, sono tornati nel loro paese, ma non dovete contare sul fatto che se ne vadano gli israeliani perché non saprebbero dove andare”.
Palestina – Abbiamo combattuto sempre da allora. Ricordo il 1956, il 1967… ogni volta la violenza e la morte. E per noi, quando fuggivamo negli stati arabi vicini, i campi profughi: enormi, squallidi, senza identità e senza futuro. Quante persone sono nate e sono vissute in quei campi! Oppure siamo stati stanziati in una striscia, a Gaza, o in alcuni territori della Cisgiordania, posti che avete occupato dopo la guerra dei sei giorni.
Anche noi, cosa potevamo fare? Ci siamo dovuti difendere. Siamo stati, in un certo senso, costretti al terrorismo. Ma quanto tempo sprecato! Quante morti!
Israele – Costretti al terrorismo? Questa espressione mi rattrista perché non mi sembra che possa genuinamente riflettere il sentimento profondo della gente comune. Altra storia è la politica. E al momento devo riconoscere che per voi la situazione è ancora più difficile, presi come siete tra l’alternativa di Hamas e l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) guidata dall’anziano e screditato Abu Mazen il quale non osa indire le elezioni da quasi sedici anni per paura di perderle. È paradossale, ma in fondo sai che puoi trarre maggiori benefici e vantaggi nel rapporto con noi che con i tuoi “fratelli arabi”.
Palestina – Se guardiamo indietro nel tempo, ci fu un periodo in cui raggiungemmo una sorta di pace. Era l’epoca in cui il nostro leader era Yasser Arafat, un politico di spessore. Tutti lo ricordano con la kefiah, il nostro copricapo a scacchi rossi e nero che sembra un foulard.
Lo portò alla conferenza di Praga, nel 1956, e da allora divenne il suo emblema. Molti studenti, dopo di lui, iniziarono a portarlo nel mondo in segno di solidarietà nei nostri confronti. Arafat ha lavorato per garantirci il riconoscimento del diritto ad avere uno Stato nostro ed ha ricoperto, dal 1996 alla sua morte nel 2004, la carica di Presidente dell’ANP. È stato pure a capo di al-Fath confluita in seguito nell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Ebbene, questo nostro leader, ha cercato di guardarti con i tuoi occhi ed il tuo primo ministro di quei tempi, Yitzhak Rabin , ha fatto lo stesso. Grazie a loro abbiamo ottenuto la pace che in fondo da sempre desideravamo. Dopo tanti anni, nel 1993, i nostri stati si sono reciprocamente riconosciuti. Il 13 settembre del 1993, alla presenza dell’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, nel cortile della Casa Bianca, ci siamo avvicinati come non mai. Ci anche allora la gioia per un premio Nobel per la pace conferito, nel 1994, proprio a loro e a Shimon Perez.
Yāsser ʿArafāt con Yitzhak Rabin e Bill Clinton il 13 settembre 1993 alla Casa Bianca
Israele – Conosco bene queste vicende. Ci sono stati momenti luminosi come la visita del presidente Sadat e il discorso che pronunciò alla Knesset nel novembre del 1977. Ci furono in seguito gli accordi di Camp David e restituimmo il Sinai. Ti ricordo pure che nel 2005 l’attuale Primo ministro Ariel Sharon decise il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, evacuando ottomila coloni. Ma Sadat è stato assassinato dai Fratelli Musulmani nel 1981 e Rabin da un estremista religioso nel 1995.
Carta dei territori sotto il controllo dell’autorità palestinese al 2007 (aree verdi) e degli insediamenti israeliani; la linea tratteggiata si riferisce alla situazione successiva all’armistizio del 1949 (Da Wikipedia. Stato di Palestina)
Palestina – Sì, purtroppo. E sono ricominciati i tempi bui. E oggi c’è perfino chi nega, tra voi, l’esistenza di un mio popolo dotato di una coscienza nazionale. Ci troviamo ancora a combattere. È stato alzato pure un muro nel 2002. Ma cosa pensano di ottenere tutti questi stati che alzano muri o srotolano chilometri di filo spinato? Una barriera di sicurezza l’hanno chiamato. Una barriera di separazione, in realtà, che si snoda per 730 km quasi interamente in Cisgiordania e che costringe la mia gente a vivere situazioni assurde con controlli e file estenuanti. Non ti sembra che ci stiamo allontanando ancora?
Israele – Una volta chiesero al grande storico Bernard Lewis un suo pronostico sul futuro del Medio Oriente. Laconicamente e con un sense of humour tipicamente britannico rispose: “Non posso parlare dell’attualità, non ho informazioni fornitemi dal Pentagono –sono infatti solo uno storico che può fare solo analisi e previsioni sul futuro… ed essendo per di più in pensione la mia sarebbe una previsione forse neppure troppo attuale”.
Il tema della nostra convivenza rimane aperto. Con l’insediamento, il 13 giugno scorso, di un governo di ampia coalizione si è realizzata una novità positiva: la partecipazione di un partito islamico il cui leader, Mansour Abbas, ha fatto una promettente dichiarazione affermando che “L’obiettivo è riuscire a convivere facendo leva su valori comuni condivisi dalle tre fedi monoteistiche”.
Bernard Lewis, Il Medio Oriente – Duemila Anni Di Storia ( Oscar Mondadori 2001)
Palestina – Un messaggio di speranza che dobbiamo cogliere. Cercare i punti che ci uniscono e non quelli che ci dividono. Abbiamo un nemico comune da combattere : il fanatismo, l’estremismo. Si annida nei nostri due campi ed ostacola ogni progresso e comprensione verso la via della convivenza.
Israele – Hai ragione. Dobbiamo trovare una strada non in opposizione ma in contatto e costruire un quotidiano, a tratti duro e certamente non epico come tante vicende del passato che abbiamo forse mitizzato, ma dove ci sia spazio per noi due. Perché questa terra è la nostra terra!
Note (a cura della Redazione)
(1) – Società delle Nazioni. Organizzazione internazionale istituita dalle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale allo scopo di mantenere la pace e sviluppare la cooperazione internazionale in campo economico e sociale. La Società delle Nazioni operò a partire dal 1920.
Per le sue debolezze intrinseche, in particolare dovute alla regola dell’unanimità e al predominio delle grandi potenze, la Società delle Nazioni non seppe fronteggiare le crisi internazionali che negli anni Trenta condussero allo scoppio della Seconda guerra mondiale e si sciolse (1946) dopo l’entrata in vigore dello statuto dell’ONU. [Da: Dizionario di Storia Treccani (2011)]
(2) – L’Exodus fu la nave di maggiori dimensioni a trasportare sfollati ebrei che volevano “forzare” il Mandato britannico di Palestina. La sua vicenda ebbe luogo nell’autunno 1947, quindi poco prima della fine del mandato e della fondazione dello Stato di Israele – leggi qui da Wikipedia.
La storia dell’Exodus 1947 e dei suoi passeggeri venne raccontata, in versione romanzata, nel romanzo Exodus di Leon Uris nel 1958, successivamente adattato nel film Exodus di Otto Preminger nel 1960.
La rotta della nave e l’esito del viaggio nella realtà furono ben diversi da quelli descritti nel film (descrizione derivante da quella del romanzo). La nave partì dal porto italiano di La Spezia con più di 4.500 profughi diretta in Palestina, venne inseguita da navi della marina militare britannica, intercettata al largo della costa palestinese e abbordata poco prima di entrare nelle acque territoriali palestinesi.
I profughi vennero deportati, con altre navi, in Francia, ma il governo francese dichiarò che avrebbe permesso di sbarcare solo i passeggeri che l’avessero fatto volontariamente. I britannici trasportarono quindi i profughi in Germania, li fecero sbarcare ad Amburgo e li portarono in campi di prigionia nella zona di occupazione britannica della Germania.
(3) – Theodor Herzl (1860 –1904) è stato un giornalista, attivista, drammaturgo, scrittore e avvocato ungherese naturalizzato austriaco. Sostenne il diritto degli ebrei di fondare uno stato ebraico, ove possibile in Palestina. Questa patria avrebbe dovuto accogliere gli ebrei che avessero voluto trasferirvisi o non avessero potuto vivere serenamente nel paese in cui abitavano. Nel 1896 pubblicò Der Judenstaat (Lo Stato ebraico) dove proponeva ai governi europei l’idea che si creasse uno stato ebraico (in una qualsiasi colonia delle potenze europee, oppure in Argentina) che sottraesse gli ebrei alle persecuzioni antisemite. Fu poi il fondatore, nel 1897, del movimento politico del sionismo, che si proponeva di far sorgere nei Territori Coloniali del Mandato britannico della Palestina uno Stato Ebraico. Agli inizi del 1900 propose lo Schema Uganda per trovare un nuovo insediamento degli ebrei.
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Appendice del 9 gennaio (cfr. Commento di Sandro Russo)
Exodus main theme: Ernest Gold for violin and piano
Isabelle Durin, violin
Michaël Ertzscheid, piano
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Appendice del 16 gennaio, a seguito dei commenti di Patrizia Angelotti e della risposta di uno degli autori, Patrizia Maccotta (cfr. commento di Sandro Russo)
File in formato .pdf e trailer italiano del film Valzer con Bashir.
Valzer con Bashir. Recensione, appunti e corrispondenza tra Sandro Russo e Gianni Sarro
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Sandro Russo
9 Gennaio 2022 at 08:17
Ho sobbalzato mentre leggevo lo scritto di Patrizia da trasporre sul sito per la pubblicazione. Ma che scrive della nave Exodus? Che non è stata una luminosa epopea!?
Exodus è stato un film formativo della mia adolescenza e ancora ne serbo il ricordo a distanza di quasi sessant’anni! Certamente ricordavo il tema portante [con cui, ho letto ora, il compositore, Ernest Gold, ha vinto l’Oscar per la miglior colonna sonora, nel 1961].
Che si è inventato Patrizia?
Stavo quasi pensando di telefonarle, ma per sicurezza sono andato a controllare – su Wikipedia e dappertutto.
Ha ragione lei. Altro che luminosa epopea! La storia della nave Exodus e il destino dei circa 4500 sfollati ebrei, ciascuno dei quali avrà avuto una storia atroce alle spalle, è stata una delle pagine vergognosa della storia, a disonore degli inglesi (se ce ne fosse ancora bisogno), nell’incertezza di molte altre nazioni. Mistificata e mitizzata in vario modo negli anni successivi.
Mentre chiedo a McPath di approfondire perché il romanzo e il film compirono una tale falsificazione, mi consolo – e propongo a tutti, nell’articolo di base – con la colonna sonora scelta sul web tra tante (per piano e violino), con le immagini del film proiettate (alla buona) sullo sfondo.
Sono sicuro che tanti la ricorderanno!
Exodus main theme: Ernest Gold for violin and piano
Isabelle Durin, violin
Michaël Ertzscheid, piano
Tano Pirrone
9 Gennaio 2022 at 17:01
Ben vengano, sempre!, i colloqui di pace e comprensione, come quello letterario dei due cari amici in merito all’eterno, insanabile conflitto fra palestinesi e israeliani. Fra due popoli, cioè, che abitano gli stessi luoghi da migliaia di anni e che vorrebbero farlo in esclusiva, contro ogni logica politica, storica ed antropologica.
Alternativamente abbiamo parteggiato per l’una parte o per l’altra, ora siamo stanchi, non sopportiamo più i conflitti, tanto più se sono inutili, perché la contraddizione è di massimo grado e non può più prevedere la vittoria dell’uno o dell’altro, ma solo la sconfitta di entrambi, attraverso la distruzione dell’identità più profonda dell’uno e dell’altro.
Eravamo, in illo tempore, sentimentalmente vicini ai pochi superstiti che cercavano di giungere in Palestina, come già da decenni parecchi ebrei avevano fatto, comprando le terre e stanziandovici da coloni. Erano i superstiti della persecuzione ultima, in ordine di tempo, e forse dalle dimensioni più grandi, ma preceduta, da tante cacciate, da numerosi pogrom da vittime innocenti, da sangue che macchia le mani di tutta l’Europa.
Poi ci affascinarono i programmi di socializzazione agricola e chiedemmo di partire per andare a lavorare in un kibbuz per vivere l’esperienza comunista in un territorio nuovo, una delle ormai poche terre di confine che alla mia generazione, nata nella guerra, e vaccinata naturalmente contro di essa si offriva per ospitarci e permetterci di vivere come avevamo imparato dalla storia e dai libri…
Poi, tifammo per le vittorie lampo, segno di strapotere e di intelligenza tattica, oltre che di disperato dolore.
Poi vestimmo la kefiah e la teniamo ancora in un cassetto, dove giacciono cose dismesse, ormai fuori moda, inopportune.
Tutti i problemi umani prima o poi si risolvono, basta che qualcuno smetta di avere sempre ragione ad ogni costo, e qualcuno smorzi il suo lamento inopportuno. I problemi umani… ma quando gli uomini paraculi alzano le loro insegne e in esse c’è scritto Dio, allora tutti i contendenti sono destinati a perdere: quel dio vive del sangue degli innocenti e si nutre di giovani vite unte di terrore e di esaltazione. Bisogna che per questo Gerusalemme diventi città aperta, che nessuno accampi diritti: né ebrei né musulmani né cristiani.
I monoteisti continuano a raccontare storie e volontà divine, ma la gente qua come là vuole pane e lavoro, pace e tranquillità e quel dio unico a tre facce questo non potrà mai garantirlo.
Quando qualcuno (lasciate perdere gli inglesi che sono stati il veleno degli ultimi tre secoli!) ha cercato di sanare il profondo baratro che divide le due opposte (ma simili) ragioni, è stato assassinato.
Le parti si sono radicalizzate ed ora non si vede all’orizzonte un modo per uscirne. Gli americani hanno ultimamente aggravato la situazione con le loro guerre stupide e i loro servi inglesi (Blair che giustifica l’attacco alla farsa dell’Iraq è un’icona che mai dovremmo dimenticare). Gerusalemme dovrebbe essere città aperta, come ho detto, con governo terzo e dovrebbero cominciare a convivere.
Basterebbe mettere i loro dei nel posto che meritano… e tirare lo sciacquone!
Chiudo con quel film assurdo, bugiardo, che ha raccontato una storia falsa. L’elenco delle buggerature è lungo e vi aggiungerei il film di Benigni, che è un film appiccicoso sul rapporto genitori/figli, che quanto ad ebrei e campi di concentramento racconta favolette bugiarde, e rimane lontano l’argomento, una piccola strage di 6,5 milioni di persone all’interno di settanta milioni di morti voluti dalla follia delle due teste di cazzo di Mussolini e di Hitler (di cui 25 milioni furono i Russi, non dimenticarselo mai, e, se oggi possiamo giochicchiare da epigoni tardi e stanchi di una libertà che meritiamo sempre meno, lo dobbiamo prima di tutto al popolo della steppa, al sacrificio di Stalingrado). Questo c’entra, ma non completamente, con il comunismo; impatta soprattutto con la fierezza di quel popolo.
Annalisa Gaudenzi
11 Gennaio 2022 at 10:04
Bellissimo articolo. Piccole mie osservazioni:
1) Al popolo ebraico o a quello palestinese (cito in ordine alfabetico) sarebbe andata meglio se il competitor fosse stato quello italiano? Penso alla questione degli Irredenti dopo la Prima Guerra Mondiale o alla gestione del Sud Tirolo dopo la Seconda;
2) Non mi sembra corretta l’affermazione “Siamo stati sempre il capro espiatorio di tutti i mali” di Cossirese. La storia purtroppo si è tinta di numerosi altri esempi di stragi e genocidi, altrettanto orrendi, atroci, mostruosi;
3) Sottoscrivo Pirrone: non se ne può più. Le soluzioni ci sono, occorre la tempra possente e irriverente di applicarle, in barba in primis alle imposizioni di stampo religioso-estremista (ecco proprio di cosa non se ne può più più più);
4) La faccio facile, mi si risponderà. E a ragione. In effetti io vedo in questo conflitto tra Palestina e Israele la prospettiva del Pianeta. Ossia quando l’insistenza su uno specifico territorio – causa sovrappopolamento – diventerà opprimente, allora cosa ci inventeremo per non farci togliere lo spazio vitale? E siccome non avremo memoria…
Patrizia Angelotti
16 Gennaio 2022 at 10:36
Sono stata indecisa a lungo se scrivere o meno, poi ho optato per il sì.
Ho letto lo scritto su Palestina-Israele e sono rimasta delusa.
Mi è parso un tentativo di barcamenarsi, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte nel tentativo maldestro di essere equanimi.
Personalmente, senza negare le sofferenze del popolo israeliano e i suoi morti, e messo tra parentesi l’unicum della Shoah, non credo che da un certo punto in poi le situazioni dei due popoli si equivalgano.
Non si accenna minimamente – e butto lì come mi vengono -, la strage di Sabra e Chatila nel 1982 per mano della falange libanese supportata dalle forze israeliane; non si menzionano i prigionieri palestinesi in carcere israeliano senza alcuna formulazione di accusa il che impedisce il ricorso a un avvocato (non ne conosco il numero attuale, qualche anno fa erano circa un migliaio con, se non erro, 600 minori, anche bimbi; non si parla dei soldati israeliani che sparavano su bambini (che tiravano pietre) ad altezza giusta per uccidere e/o ferire gravemente. È di pochi anni fa e si è visto chiaramente nelle riprese del Tg3, proprio mentre l’inviato Marrazzo parlava dello scontro in atto tra le parti… Non si dice che nei territori occupati si continua a rendere la vita impossibile ai palestinesi. Se non li si caccia direttamente, gli si chiudono le gallerie che permettono loro di avere l’acqua per bere e per irrigare i campi. Niente acqua, niente coltivazioni. E le lunghe file ai check point per andare e tornare dal lavoro con controlli estenuanti.
L’elenco sarebbe lungo…
Personalmente sono stanca che il senso di colpa che ci portiamo dentro nei confronti degli ebrei non ci permetta oggi di guardare a Israele con occhi sgombri. E non accetto che chi è contro la politica israeliana sia tacciato di antisemitismo. Anche il popolo palestinese è semita. Chissà perché non lo ricorda nessuno.
Mi pare anche riduttivo porre lo scontro Israele-Palestina nell’alveo delle guerre di religione.
Per quanto concerne i palestinesi, la loro radicalizzazione è piuttosto recente. La Palestina, a detta di chi la conosce da vicino e da tempo, era un paese abbastanza laico dove le donne – anche a causa degli uomini in prigione o esuli -, mandavano avanti la società godendo quindi di libertà e ‘potere’.
Esistono per fortuna, mi si dice, diverse situazioni nel popolo in cui palestinesi e israeliani vivono esperienze di scambio e di condivisione.
Ci sono, non so quanti, ragazzi e ragazze israeliani che si rifiutano di prestare il servizio militare proprio per non dover scontrarsi o commettere soprusi nei confronti dei palestinesi. Se non riescono a fuggire (chi li accoglie è il Canada, di altri non so) finiscono in prigione.
Scusate se mi sono dilungata.
Patrizia Maccotta
16 Gennaio 2022 at 12:05
Ho letto. È vero, non ho citato Sabra e Chatila perché il massacro riguarda la storia del Libano.
Delle file che i palestinesi devono fare per andare al lavoro, delle difficoltà quotidiane e anche del fatto che come gli israeliani, sono semiti, è stato detto.
Si è cercato di affrontare il problema nella sua complessità geografica, etnica e sì – perché per lo stato ebraico la religione definisce l’identità pure per chi è laico (è un dato di fatto) -, anche religioso.
In quanto all’impostazione, ebbene qui è il punto: non fare a gara a chi ha sofferto o soffre di più, non cercare di far prevalere le ragioni di un popolo o dell’altro, ma cercare di capire l’altro. Non la polemica – troppo facile! – ma il desiderio (utopico lo riconosco) di dialogare. E non era certo dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Abbiamo tenuto un profilo umile e basso, almeno questa era l’intenzione; non mi arrogo il diritto di dire se riuscita.
Spesso, purtroppo, si tende a difendere invece le parti dell’uno (la sinistra, i palestinesi – la destra, gli israeliani) o dell’altro, senza ascoltare le reciproche voci.
E non mi pare che abbiamo inserito il problema nell’ambito delle guerre di religione.
Comunque sono contenta che il dialogo susciti reazioni. Pensavo anzi ne suscitasse di più.
Grazie.
Sandro Russo
16 Gennaio 2022 at 20:20
Ho dovuto prendere atto che nell’approccio con fatti di cronaca o di politica come pure per tanti eventi del passato recente, sempre più spesso preferisco informarmi attraverso i film che ne trattano. Per vari motivi. Perché per aver stimolato la preparazione di un film dev’essere intercorsa una certa distanza di tempo; poi perché sul film hanno lavorato tante persone, sono state prese in considerazione tante diverse opzioni che il grosso del lavoro è già fatto. In più c’è l’interesse per il punto di vista da cui la storia è raccontata.
Sulla questione della convivenza tra Israele e Palestina sono usciti una quantità di libri e film.
Uno che mi ha segnato, poi sono andato ad approfondire al tempo della sua uscita (2008) e ancora riprendere in mano quando l’abbiamo svolto (nel 2014) al Corso di Cinema con il maestro-amico Gianni Sarro è stato Valzer con Bashir, di cui propongo una recensione, appunti e una stringata corrispondenza tra noi.
Per chi è interessato o ritiene applicabile a sé il mio approccio attraverso i film, allego un file .pdf nell’articolo di base, insieme al trailer del film da YouTube.
P.S. – Non a caso la rubrica che co-firmiamo, Gianni e io, ha per titolo “La storia raccontata dai film”, giunta più o meno al ventesimo articolo (…e continuerà)
Tano Pirrone
17 Gennaio 2022 at 10:40
Non posso dire di essere stato tirato per i capelli ad intervenire una seconda volta, perché manca quasi totalmente la materia prima (i capelli), mentre sopravvive quella grigia (non per l’età). Se ci prendiamo a colpi di strage in faccia non la finiamo più e passiamo dalla ragionevole discussione alla sterile zuffa: se da una parte c’è stata la citata strage in Libano, non possiamo dimenticare quella compiuta dai Palestinesi a Monaco nel 1972; o l’attacco stragista a Fiumicino, o l’attacco alla Sinagoga di Roma ecc. La litania è lunga quanto la scia di sangue che questo antagonismo si porta dietro da un secolo! Già, perché all’origine sta la “perfida albione”, che promosse e favorì al massimo il rientro (sbagliato: l’occupazione!) degli ebrei in Palestina. Qualcuno ricorda l’attentato fatto all’ambasciata inglese di Roma il 31 ottobre 1946, rivendicato dall’organizzazione sionista Irgun Tzvai Leumi (ארגון צבאי לאומי), ebraico per “Organizzazione Militare Nazionale”? La penna lasciata in mano al ricordo potrebbe riempire pagine e pagine. Ma la questione non è più questa. Siamo stufi che si muoia senza senso, per un dio o per un acro di terra. Le sovrastrutture politiche internazionali ci sono e potrebbero benissimo intervenire. Come avrebbero potuto farlo impedendo la carneficina inutile, strumentale dell’Iraq, che portò dietro la Siria, ora l’abbandono dell’Afghanistan dopo vent’anni di stronzate pubblicitarie. Non si può pensare alla pace e al progresso dei popoli se si stampa moneta con scritto il marchio “In God We Trust”.
Dimenticavo: i datteri israeliani sono i migliori del mondo! Ma anche quelli della Tunisia si fanno ben gradire.
Carla Medina
22 Gennaio 2022 at 21:17
Ben costruito l’articolo su Israele e Palestina in Ponzaracconta: equilibrato nel chiarire situazioni e rapporti, ma le relazioni tra i due popoli sono più ostili che amichevoli. Dominerà il più forte… gli ebrei hanno il culto della storia e della memoria, dopo tante persecuzioni non molleranno mai la loro terra.
Patrizia Angelotti
28 Gennaio 2022 at 19:42
Riceviamo in redazione da Patrizia Angelotti, che già aveva partecipato con un commento critico al dibattito sull’articolo in questione, una notizia comparsa sulla stampa spagnola di studenti israeliani che rifiutano la leva.
Patrizia ci invia una sintetica traduzione dell’articolo, qui riportato in link:
https://www.federacionanarquista.net/60-estudiantes-israelies-se-niegan-a-servir-en-el-ejercito-en-protesta-por-la-ocupacion/
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Sessanta israeliani in età da coscrizione hanno firmato una lettera in cui dichiarano il loro rifiuto di prestare servizio nell’esercito a causa dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi
Basandosi su precedenti lettere di questo tipo, i firmatari richiamano il sistema educativo del paese su varie questioni, in primis la promozione dell’arruolamento nelle forze di difesa israeliane e l’enfatizzazione della narrazione ebraica nelle lezioni di Bibbia e storia a scapito di quella palestinese.
In una lettera inviata martedì ai ministeri della difesa e dell’istruzione e al capo di stato maggiore dell’IDF, i ragazzi hanno scritto: “Lo stato richiede che ci arruoliamo in un esercito apparentemente destinato a garantire l’esistenza dello stato. In pratica però le operazioni dell’esercito non mirano principalmente a difendersi dagli eserciti nemici, bensì a soggiogare la popolazione civile…”.
La lettera fa poi riferimento alla “politica dell’apartheid espressa in due sistemi legali separati, uno per i palestinesi e uno per gli ebrei”, all’eredità della Nakba [in arabo “catastrofe”, quando più di 700.000 arabi fuggirono o furono cacciati dal loro case durante la Guerra d’Indipendenza di Israele del 1947-49] ignorata nel piano di studi e all’occupazione che si esprime in “razzismo sociale, discorsi politici incendiari e violenza della polizia”.
Rivendicano il fatto che le attività scolastiche mirate all’arruolamento siano un atto politico al pari del rifiuto di arruolarsi che non si vuole tradurre in uno svincolarsi o allontanarsi dalla società israeliana, bensì nel prendersi la responsabilità delle proprie azioni e delle loro implicazioni.