Ambiente e Natura

La Foca Monaca, il ’68 e una mia lontana estate in Sardegna

di Tano Pirrone

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Era l’estate del 1968, mi ero appena congedato. I rumori della rivoluzione culturale mi erano lontani: avevo lasciato la caserma deserta per ultimo, con qualche giorno di anticipo rispetto alla data che era stata fissata dal Comando; avevo da scontare, infatti, almeno quindici giorni di CPR (camera di prigione con rigore), che mi ero guadagnato per delle fughe (mancati rientri dalla licenza o allontanamento). La pena più grossa mi era stata inflitta a posto – bontà del Maggiore comandante – della pertinente denuncia per diserzione. Come uccello in voliera, ogni volta che trovavo uno spiraglio fuggivo… Si, era l’estate del ’68 ed io trascorsi buona parte di quell’estate in Sardegna; ci andai direttamente, imbarcandomi da Genova, invece di tornare a casa, giù in Sicilia, dove i miei genitori mi aspettavano. La cosa fece giustamente imbestialire mio padre, che dopo qualche tempo mi inviò un telegramma, in cui, dandomi del “lei”, mi invitava a tornare a casa per “comunicazioni che mi riguardavano”.

Era l’estate del 1968 ed andammo in gita da Tempio Pausania a Cala Gonone [1]. Due cose ricordo di quel giorno lontanissimo: la qualità del pranzo e la visita in barca nella grotta di Cala Gonone, la Grotta del bue marino, ché tale era, nella fantasia popolare la foca monaca [2], piccola residuale foca mediterranea, che fui fortunato a vedere per un solo attimo che lì, in pochi esemplari, ancora per poco avrebbe abitato.

Colonia de focas monje de Cabo Blanco (1945)

Poi è finito, almeno lì, il suo tempo, parlo della Foca Monica, evidentemente: sono arrivate orde di turisti e grosse barche a motore. Non c’erano più per essa le condizioni minime di sopravvivenza in quel punto straordinariamente affascinante della costa orientale sarda. Ma è, fortunatamente, sopravvissuta in altre località mediterranee. Ora la Lipu avverte che bisogna prepararsi a favorire il ritorno di questo rarissimo animale in quei luoghi, meta di passaggio tra la Grecia, la Turchia e l’isola di Madeira di uno dei mammiferi a maggiore pericolo di estinzione. Questo è l’obiettivo principale di “Operazione Foca Monaca”, cui la Lipu Sardegna sta attivamente cooperando insieme con la Cooperativa Diomedea di Villasimius. Il progetto, ideato e organizzato dall’associazione Earth gardeners, è stato presentato il 22 settembre scorso a Sassari, in un incontro nel quale il coordinatore della Lipu Sardegna, Francesco Guillot, ha spiegato come questa iniziativa sia complementare alle attività che la Lipu Sardegna effettua sulle coste dell’isola nei confronti del fratino [3] e di altre specie.

Il progetto “Operazione Foca Monaca” – patrocinato dal Parco Arcipelago della Maddalena, dall’Area marina protetta di Capo Carbonara di Villasimius e dal Comune di Oristano – ha la finalità di educare le nuove generazioni al rispetto e alla tutela della natura attraverso il coinvolgimento delle scuole dell’isola. La ricerca diventerà anche un ebook.

Per far fronte alle spese il progetto si affida ad una campagna di raccolta fondi (www.produzionidalbasso.com/project/operazione-foca-monaca).

[1]Cala Gonone, frazione del Comune di Dorgali, è una piccola località marina in provincia di Nuoro, nota per la meravigliosa costa e i magnifici tour che permettono di esplorare il Golfo di Orosei.

[2] – La foca monaca mediterranea (Monachus monachus Hermann, 1779) è un mammifero pinnipede della famiglia delle foche. È una specie minacciata di estinzione, di cui sopravvivono in natura meno di 700 esemplari.

[3] – Il fratino (Charadrius alexandrinus) è un piccolo limicolo, ovvero una di quelle specie che vivono principalmente in ambienti umidi caratterizzati dall’acqua bassa e si nutrono di insetti e altri animali che trovano nel limo.

30 dicembre 2021

1 Comment

1 Comments

  1. Tano Pirrone

    1 Gennaio 2022 at 10:17

    Oltre al citato Fratino (vds nota 3), particolare preoccupazione desta la Berta (Calonectris diomedea). Essa vola per ore senza sosta, libera sull’acqua. Può rimanere in mare per settimane, persino per mesi senza mai toccare terra. È stato il suo caratteristico richiamo ad ispirare l’antico mito delle sirene. La berta maggiore è uno degli uccelli più straordinari di tutto il Mediterraneo e il suo volo ha bisogno di essere protetto.
    Durante il periodo di nidificazione la berta spicca il volo ogni mattina per andare alla ricerca di cibo e nel suo viaggio instancabile può percorrere centinaia di chilometri di distanza, toccando i 50 km orari di velocità. Per tutta la stagione calda la berta vive sulle più belle scogliere del Mediterraneo mentre in inverno vola sul mare senza quasi mai toccare terra, fino alla primavera successiva in cui tornerà a fare un nuovo nido, ricominciando il prezioso ciclo della vita.
    La berta e le sirene. Al contrario di quanto si pensa, le antiche sirene non erano mostri metà donna e metà pesce, ma erano per metà uccelli. Gli antichi Greci, sapienti navigatori e studiosi del mare, conoscevano molto bene le berte, loro compagne di viaggio, sapevano che le berte durante la nidificazione passano la notte sulle scogliere e con il loro canto notturno simile al pianto di un bambino, affascinano e spaventano. E così le sirene di Ulisse e del viaggio degli Argonauti sono creature simili a uccelli che seducono i marinai spingendoli verso gli scogli. Solo con i bestiari medievali la sirena si trasforma in un animale per metà pesce.
    A Linosa gli uomini hanno da sempre convissuto con la berta maggiore, costruendo un rapporto speciale. In questa splendida isola della Sicilia, a nord di Lampedusa, i marinai si sono nutriti delle uova delle berte per sopravvivere e nutrivano per questo animale una cura speciale. Oggi però l’uomo non è più il “guardiano delle berte”, anzi ha modificato il paesaggio e l’ecosistema in cui la berta viveva, non solo a Linosa, ma in tutto il Mediterraneo. (materiale tratto dal sito ‘lipu.it’)

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