di Giuseppe Mazzella di Rurillo
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Oggi a Roma il nostro premier Draghi firma con il presidente francese Macron un accordo di cooperazione tra le due nazioni che punta ad una integrazione istituzionale sostanziale non solo formale. Sarà chiamato “Trattato del Quirinale” poiché è questo nostro palazzo il simbolo dello Stato.
Ricalca, questo trattato, quello similare tra Francia e Germania del 1963 detto “Trattato dell’Eliseo” firmato a Parigi tra il presidente francese De Gaulle ed il cancelliere tedesco Adenauer. E’ stato un trattato di enorme importanza. Francia e Germania a meno di 20 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dopo duecento e più anni di odi reciproci testimoniano una amicizia eterna. Un giuramento tra due popoli.
Da circa sessant’anni quel trattato viene rigorosamente rispettato dai francesi e dai tedeschi qualsiasi sia il capo del governo perché è un percorso unitario irreversibile. Il trattato prevede gesti simbolici significativi diventati di costume come ad esempio la visita di stato: appena esser stato eletto il presidente francese – un giorno o due dopo – si reca a Berlino in visita di stato al cancelliere tedesco quasi come una presentazione per confermare l’asse preferenziale. E così fa anche il neo cancelliere tedesco.
Con il Trattato del Quirinale oggi si solennizza un rapporto preferenziale Italo-francese.
C’è una volontà comune di sentirsi “europei” e di rafforzare una “cuginanza” storica fra i francesi e gli italiani con moltissimi tratti comuni che fanno sentire francesi gli italiani e viceversa anche con un sano campanilismo tra i due per chi fa il miglior vino o il miglior formaggio o ha la miglior cucina o la più bella capitale del mondo.
E’ un buon segnale di maturità democratica quello di oggi che da italiano amante della Francia vivo con gioia e speranza.
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Un’altra voce, sulla Francia, da la Repubblica di oggi
Il racconto
Da Napoleone a Leonardo da Vinci l’eterno amore-odio con i vicini d’Oltralpe
di Corrado Augias
– Gli scambi più importanti sono sempre stati quelli culturali. Nel tumulto dei nostri alterni rapporti, anche fasi di acuta crisi
Forse si può riassumere tutto in una famosa battuta di Jean Cocteau che ha un buon fondo di verità: Les français sont des italiens de mauvaise humeur.
I francesi sono degli italiani di cattivo umore. Ne ebbi la prova al mio primo viaggio in Francia subito dopo l’esame di maturità. Autostop, Ostelli della Gioventù. A Marsiglia mi fermai a osservare incantato un venditore ambulante. A una domanda di questi ebbi l’ardire di rispondere. Nel piccolo capannello un tale riconobbe il mio accento italiano e m’aggredì: che cosa hanno fatto gli italiani alla Francia nel 1940? Gridava. Dillo, traditore, vigliacco. Avevo 18 anni, mi eclissai. Credo di ricordare che mentre mi allontanavo qualcuno prese le mie difese: è solo un ragazzo, diceva. Comunque, fu uno shock, il primo rude contatto con la storia bellissima, tremenda, secolare che unisce e divide l’Italia e la Francia.
Volendo ricordarla (sommariamente), non si può che cominciare da Napoleone. Anche se a Roma non è mai arrivato, la città è piena dei suoi ricordi. A cominciare dal palazzo del Quirinale con gli appartamenti preparati per lui che non poté nemmeno vedere. Direttore dei lavori era Antonio Canova, per dire il livello. Roma non l’ha vista ma a suo figlio, l’Aiglon, dette il titolo di Roi de Rome. A Palazzo Bonaparte a piazza Venezia (angolo via del Corso) sua madre Letizia Ramolino, ha abitato fino alla morte (1836). Ancora esiste (visibile dalla strada) il balcone chiuso da una griglia dietro la quale passava i pomeriggi osservando il passaggio delle carrozze. Villa Bonaparte non lontano da Porta Pia, oggi sede dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede, è legata alla memoria di Paolina, sua sorella.
Ma gli scambi non sono stati solo politici, anzi i più importanti sono certamente quelli culturali, tentarne un elenco, anche sommario, è quasi impossibile. La Francia dispone a Roma non solo della più bella sede diplomatica al mondo, palazzo Farnese (conservato in modo impeccabile), ma anche dell’Accademia di villa Medici. Ottenere una borsa per un soggiorno di studio è sempre stato un ambito riconoscimento, un privilegio.
Se si vogliono però citare grandi personalità, l’esempio più illustre è certamente quello di Leonardo. Il sommo genio passò i suoi ultimi anni, probabilmente i più sereni, nel castello di Clòs-Lucé vicino ad Amboise (Valle della Loira). Era arrivato in Francia nel 1517, più che sessantenne, chiamato e protetto da Francesco I, grande amante dell’arte italiana. Ammirandone l’ingegno (non era difficile) gli attribuì il titolo di “Premier peintre, architecte, et mecanicien du roi”, accompagnato da un vitalizio di 5mila scudi. In Francia finì molto probabilmente di dipingere la Gioconda (oggi al Louvre), completò la stesura del Codice Atlantico (oggi all’Ambrosiana, Milano).
In Francia, d’altronde, più precisamente a Parigi passò i suoi ultimi anni anche Gioacchino Rossini. Nel suo caso non furono i più sereni, al contrario, con l’avanzare dell’età aumentò anche la sua ipocondria, ci fu perfino un goffo tentativo di suicidio, per fortuna non riuscito. Le famose, affollatissime serate nella sua villa di Passy dettero a lungo un tono alla capitale francese. In questa sommaria rassegna rientra anche la figura tragica di Amedeo Modigliani. Aveva scelto anche lui Parigi che nei primissimi anni del Novecento era la capitale artistica del mondo.
Non ebbe fortuna, nei circoli dove Pablo Picasso dominava col suo talento e la sua intraprendenza, il giovane ebreo livornese spesso ubriaco, minacciato dalla tisi, non godeva di grande considerazione. La sua fortuna cominciò possiamo dire durante i funerali. Lui morto di stenti all’ospedale della Carità, la sua compagna Jeanne Hébuterne, incinta, morta di dolore, gettandosi dalla finestra. Mentre il corteo procedeva verso il cimitero del Père-Lachaise, i prezzi dei suoi dipinti cominciarono a lievitare. Non hanno ancora smesso.
Nel tumulto di questi alterni rapporti ci sono stati anche fasi di acuta crisi, non solo l’assalto a tradimento ordinato da Mussolini nel 1940 contro una Francia già vinta dalle armate del Terzo Reich. Il caso opposto è l’assalto alla Repubblica romana del 1849. Luigi Napoleone (poi Napoleone III) aveva passato l’adolescenza a Roma, palazzo Ruspoli, esplorato le antiche rovine, imparato l’italiano. Nel 1849 però, in una importante vigilia elettorale, doveva rendersi grato al risentito Pio IX, spogliato dei suoi domini.
Mandò un corpo di spedizione per abbattere la Repubblica laica e democratica capeggiata dai triumviri Mazzini, Armellini, Saffi. Convinti tutti che i romani si sarebbero arresi senza combattere. Non fu così. La resistenza fu anzi eroica, pesanti le perdite da entrambe le parti. Su alcune ville del Gianicolo ci sono ancora i buchi delle cannonate.
L’eroismo dei volontari accorsi da tutta Italia, guidati dal generale Garibaldi, nulla poté contro le artiglierie e i moderni moschetti francesi. Morì tra gli altri un giovane poeta genovese, Goffredo Mameli.
Chiudo con un episodio personale. La Francia mi ha onorato con il riconoscimento (napoleonico) della Legion d’Onore. L’ho restituita non per astio ma per amore dopo che analoga insegna era stata concessa (un po’ di soppiatto) al dittatore egiziano Al Sisi.
Considero la Francia la mia seconda patria, mi piace pensarla sempre all’altezza della sua grandiosa letteratura anche se mi rendo conto che non sempre è possibile. Come fu nel 1849, la politica e gli affari hanno leggi che poco hanno da spartire con la grandezza letteraria.
La Redazione
26 Novembre 2021 at 10:39
Un’altra voce, sulla Francia, da la Repubblica di oggi
Il racconto
Da Napoleone a Leonardo da Vinci l’eterno amore-odio con i vicini d’Oltralpe
di Corrado Augias
Nell’articolo di base