Ambiente e Natura

Gli alberi

di Pasquale Scarpati

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Gli alberi danno fastidio. A chi? Non si sa. Comunque danno fastidio.

Il saggio olivo secolare di Sant’Emiliano in Umbria, che ne ha viste tante, così mi dice: – Sono gli uomini che ci danno fastidio. Ma non tutti. Quattro sono principalmente le categorie a cui molti di essi si possono ascrivere.
Nella prima si possono inserire quelli a cui piace il… nudo. Essi, infatti, ci tagliano in modo insensato anzi ci spogliano del tutto.
A seguire ci sono i reazionari. Appartengono, infatti, alla schiera di Torquemada inquisitore o al buio medioevo. Costoro infatti, ritenendo per certo che in mezzo a noi si nascondono eretici e streghe, non esitano a mandarci letteralmente… al rogo.
Simili a loro sono quelli che, come gli Amish, rifiutano qualsiasi forma di civilizzazione. Pertanto, per comunicare non usano marchingegni moderni (telefoni, internet, ecc.) ma fanno salire al cielo dalle pendici dei monti i famosi… segnali di fumo.
Infine ci sono quelli che si annoiano di un paesaggio verde ma sostanzialmente monotono per cui ci sradicano per far posto ad uno più variegato: costruzioni cementizie di forme e colori diversi.
Eppure, a volte, basterebbe un piccolo compenso: imporre, a chi di noi fa scempio, la messa a dimora di un congruo numero di nostri figli e nipoti.

Noi, infatti, abbiamo radici che assorbono l’acqua, gli uomini costruiscono fondamenta che non trattengono l’acqua. Noi abbiamo chiome e tronchi che rallentano la caduta e la corsa dell’acqua, gli uomini hanno tetti e terrazzi dove transitano tonnellate d’acqua dilavanti che o scivolano sul terreno spaccato oppure vanno a confluire nelle maleodoranti e inadeguate fogne che ruttano, vomitano acqua immonda provocando smottamenti e frane, danni di cui poi ci si lamenta a torto.

Ma, a causa delle famose bisacce di Giove, gli uomini non danno mai la colpa a loro stessi ma l’addossano totalmente ad altro: ai cambiamenti climatici, alle bombe d’acqua, a i cod’ ì’ zéfere (tornado), antichi eventi che tu fin dalla tua fanciullezza (anni ’50 del secolo scorso), già osservavi dai vetri del balcone di casa tua.

Zi’ ‘Maculatina, donna tutta casa e chiesa che raramente ha messo piede fuori dal paese dice: – Gli alberi sono i veri residenti e resilienti. Essi, infatti, non solo mettono radici dove nascono o vengono piantati ma tutelano anche, ovviamente per il loro interesse (chi non lo fa? Sanno bene che ne va della loro vita), tutto ciò che li circonda. Resistono, infatti, ad ogni elemento avverso; come dire “hic manebimus optime (qui stiamo benissimo)” La zia conosce il latino forse perché frequenta assiduamente la chiesa. Conclude saggiamente: ”E’ dovere, imperativo categorico, tutelare ciò che il Creatore ci ha donato e dato in custodia. Custodire ha un significato più profondo: vuol dire sentire in fondo all’animo perché è nostro, siamo noi. Questo vuol dire voler veramente bene al proprio Paese”. Accidenti com’è colta la zia!

A questo punto non può non intervenire un altro che “sa di latino”: don Casimiro, prete di strada, che addirittura si spinge oltre: – Gli alberi si possono paragonare alla SS. Trinità. In un tronco, infatti, c’è riposto: ombra, casa (per noi e per altre creature viventi) e soprattutto ossigeno. Ci fate caso? Tutto a nostro vantaggio senza chiedere quasi nulla in cambio! Perché nessuno li ascolta?

Immediatamente non si è fatta attendere la pronta risposta di Giuvànn’, la voce di colui che grida… nel deserto: ”Per forza nessuno li sente! Essi infatti mormorano, sussurrano, stormiscono, non gridano e non sanno gridare. La loro flebile voce viene sommersa da frastuoni di motori di pale meccaniche, seghe che digrignano i denti come i dannati dell’inferno dantesco”.

Un certo Guido a sentir nominare l’amico Dante, cita: “Allora bisogna far intervenire chi ha le chiavi di serrare e disserrare” – dice.
– “E’ na’ parola! – dicono all’unisono i convenuti – il Creatore per farci sentire e per farci vedere meglio ci ha dato due orecchi e due occhi. Per cui se si sente o si vede solo con l’orecchio e l’occhio destro o viceversa soltanto con l’orecchio e l’occhio sinistro, l’ascolto e la visione diventano molto parziali. Ci vorrebbe che si aprissero e soprattutto funzionassero tutte e due insieme”.
– Macché! – dice intervenendo il solito buontemponeEssi, ferventi cristiani, si attengono scrupolosamente a ciò che disse Gesù:“Non far sapere alla sinistra ciò che fa la destra” (Matteo: 6,1- 6.16 -18) per cui ognuno va per fatti propri, così non concludono mai nulla, anzi..!
Poi, guardandoli fisso negli occhi, aggiunge: “Ma che si dice, in merito sull’Isola?”.
Quelli, presi dalla foga, come coro d’orchestra parlano all’unisono e senza ritegno: – Eh, lì è un altro discorso e, come sempre, è un poco più complicato perché quello è un paese complicato – dicono – E’, infatti, oltretutto molto ventoso, non a caso c’è una località chiamata Trebbiente (tre venti). Le conseguenze sono disastrose. La prima: il vento ululante fischia nelle orecchie e non fa sentire quasi nulla, neppure chi parla ad alta voce. Figuriamoci se ascoltano gli alberi che sussurrano! La seconda è quella che, per proteggere gli occhi, bisogna camminare con il viso di traverso, piegato da una parte o dall’altra. Ma così facendo la realtà circostante è falsata: non riesci bene a distinguere le cose neppure gli alberi che pure sono alti. Anzi, poiché essi si agitano molto a causa del vento, a te che li guardi con occhio bieco e di sbieco fanno talmente paura che non resta altro che eliminarli. Ma forse sono loro, poverini, ad essere agitati per la paura!

Anche qui, a ben guardare, la causa dello scempio sta al di fuori dell’uomo. Questa volta è il… Vento che si veste da mostro e che, tra l’altro, ha il potere di disperdere tutto anche e soprattutto le facili e belle parole perché non sono altro che… aria che esce dalla bocca. Poi uno di loro, sicuramente quello più “concreto” che non va molto per il sottile si chiede e chiede: – Che ci fanno, poi, con il legno?
– Forse ci fanno semplicemente una… panchina! -risponde uno che ogni tanto passa di là.

Io ho tanta nostalgia degli alberi che esistevano dove ho vissuto la mia fanciullezza ed adolescenza. Di questa nostalgia non ne ho vergogna! Se qualcuno ne ha, lo dica a chiare lettere! C’è piuttosto da vergognarsi quando se ne fa strage, direi e dico macello!
Essi, però, poverini non possono scappare o tentare di fuggire come facevano le povere “vaccine” che scalpitavano correndo per corso Carlo Pisacane e su, su per gli scalini della Dragonara.
Inorriditi, senza poter reagire, guardano quelli che, insensatamente, tolgono loro la vita.  A voi piacerebbe essere messi a morte senza aver nessuna speranza di salvezza?
Purtroppo, però, a me non resta altro che mestamente e malinconicamente parafrasare il pensiero di Lucia: “Addio Alberi…” Ma sono letteralmente adirato anzi arrabbiato, molto arrabbiato. Nel contempo mi chiedo e chiedo: quale soluzione?

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