di Francesco De Luca
Novembre inoltrato, sull’isola spira, come disgrazia, il levante. Con intensità varia ma ognora presente. Il levante, ‘u viento ‘a terra, che nel golfo di Gaeta prende corpo e da lì agita il tratto di mare che arriva all’isola, la merletta di bianco, e nel porto si evidenzia tanto da ostacolare ogni operazione a mare.
Viento ‘a terra che porta materiale strappato dal Garigliano all’entroterra e riversato sui nostri lidi. Insieme alla sabbia, che ostacola gli incontri sui piazzali di Sant’Antonio e di Giancos. Già sono pochi quelli che non lasciano l’isola, nonostante i richiami che provengono dal continente. Dove si è avvolti da una socialità indotta, che sull’isola si sperde ogni anno di più.
La socialità… cosa la sostanzia… come si esprime… dove si esprime? Domande che trovano risposte teoriche, ma non trovano realizzazioni.
La sostanza della socialità risiede nel nostro essere geneticamente portati a stare con gli altri, a condividere, a confliggere con gli altri, per affermare un posto all’interno del gruppo.
La socialità si esprime nel condividere fedi, privilegi, posizioni, simpatie. Si sente un piacere intimo nella compartecipazione. Anche delle sofferenze.
Non sto trattando questi temi esclusivamente per riempire questo foglio di carta, perché basta andare in chiesa per percepire fra i momenti di falsa coralità e di menzognera fratellanza, un bisogno vivo della gente di unirsi al vicino nella preghiera, di trovare negli altri accanto una forza corale che metta le ali alla cedevole umanità per anelare l’infinito.
E al supermercato? Gli spazi angusti offrono contatti visivi e, da questi, parole sui prodotti, battute da sorriso coi commessi.
E per strada, con la borsa della spesa, ci si sofferma vicino al fruttivendolo ambulante. Le castagne… le prime arance, la vecchia con la badante che chiede dei clementini… Cristoforo che lamenta la chiusura dei fari.
Ai bar, pochi anziani, e stressati… dal non far niente, nemmeno la partitina a carte è più praticata ma… sempre rigoglioso è il chiacchiericcio sui fatti più banali, sugli accadimenti pruriginosi e su quelli inventati pur di dire qualcosa.
Il porto, o meglio l’attracco delle navi, è un luogo dove incontrare qualcuno che può suggerire la notizia con la quale dialogare a pranzo. E si sta lì, il crocchio sparla, calma l’animarsi quando la pioggerellina incombe.
U levante ha purtato pure ll’acqua ‘i cielo… che priatorio ‘sta iurmata!
Il Purgatorio… è un concetto quasi dimenticato. Nella catechesi si cerca di non evocarlo perché è concetto fumoso. E poi, oggi i peccati veniali… quelli da scontare in purgatorio, non si commettono più. Disastri, efferatezze o niente… l’indifferenza perdona tutto. Il presente nella sua sanguigna realtà si impone nelle coscienze come dotata, essa stessa, di una forza morale che supera il giudizio ideologico. Dovrebbe… dovrebbe superare… ma chi ha il potere e ne fa scempio, nega i diritti civili, li restringe perché vuole asserire il suo potere sugli altri.
U viento ‘a terra porta echi di queste scelte politiche nazionali. L’isola protegge con la lontananza fisica, l’acquazzenella invita a rintanarsi, e la socialità si contorce, costretta com’è ad implodere nella sua dimensione individuale.
Novembre si inoltra, flaccido e tiepido, un tuono lontano… le bacche del corbezzolo brigano per tingersi di rosso… Speriamo che venga l’inverno.
Potrebbe trovare l’incombente inverno un ulteriore sfogo alla socialità repressa? Sarebbe una conquista civile poter disporre di un luogo dove potersi vedere per leggere, recitare, cantare, visionare un dvd, suonare una chitarra…
Spero che orecchie sensibili ascoltino l’appello.
NdR: tutte le foto a corredo dell’articolo sono di Silveria Aroma