di Gino Usai
La nostalgia è un sentimento nobilissimo e delicatissimo che fa bene al cuore e alla mente, di cui spesso poeticamente mi nutro. Cionondimeno non amo essere messo nel Pantheon dei Nostalgici (non so se fosse questa l’intenzione di Vincenzo Ambrosino e di Sandro Russo, ma il tono dei loro scritti sull’argomento lo lasciava intendere). Intanto perché quando ero più giovane il termine “nostalgico” veniva affibbiato agli estimatori del Regime, e poi perché non sono affatto nostalgico, come pure ho avuto modo di affermare in un altro scritto su Ponza Racconta non molto tempo fa. Nell’uso corrente questo aggettivo ha un’accezione ampiamente spregiativa. Però fuori dalla vulgata modernista il termine nostalgia ha una sua straordinaria nobiltà.
Scrive Pietro Ingrao: “Nostalgia è una cosa profonda. Non c’è vita senza nostalgia, cioè senza memoria e senza lo struggimento dinanzi a una sconfitta… esseri umani senza memoria non hanno un futuro: non possono nemmeno pensarlo”
Chi è appartenuto alla mia generazione immancabilmente ha vissuto lo struggimento della sconfitta dei propri sogni; quando volevamo costruire un mondo più giusto e una Ponza migliore.
La simpatica parodia che ha fatto Vincenzo Ambrosino della mia “Pasqua” è stata molto divertente e ne ha giustamente dissacrato la retorica, ma Vincenzo avrebbe fatto meglio a cogliere e riflettere il significato profondo e drammatico di quella poesia che più che retorica operazione nostalgica (come sembra sostenere lo stesso Sandro Russo) mirava a denunciare un vero e proprio depauperamento culturale che i tempi moderni hanno perpetrato sul corpo vivo della comunità ponzese. Infatti in quei versi denuncio la perdita dell’anima e dell’identità del nostro popolo, che è la più grave delle perdite che possa accadere ad un consorzio umano. A Ponza si è registrato negli ultimi decenni un impoverimento culturale e sociale che ha avuto come esito finale l’abbandono in massa dell’isola, ridotta sempre più a disarticolato villaggio turistico.
Ecco perché è improprio liquidare quella poesia come nostalgica. In quella poesia io denuncio la perdita di innocenza di una comunità che con fatica aveva acquistato una sua identità ed una sua preziosissima cultura, figlia di due secoli di enormi sacrifici e inenarrabili fatiche.
A chi, con un filo di sarcasmo, vuole ironizzare sulle dolcezze e le delizie che Ponza offriva un tempo non invidio il cinico pragmatismo modernista, contrabbandato per capacità di comprendere e cavalcare i tempi moderni, la società globalizzata, le dinamiche e le logiche imprenditorial-turistiche e ambientaliste del territorio. Rassegnarsi al presente è operazione facile che si compie confortati e sostenuti dalla pubblica opinione (ahimè!); ma è operazione devastante e sterile. Farsi trascinare pigramente dall’onda degli eventi e della storia, senza nemmeno tentare un progetto di sviluppo alternativo è esattamente ciò che ha portato Ponza nel baratro. Tutti assuefatti al contingente e al pensiero positivista dominante e unico: fiducia nel turismo e nel progresso. O meglio: in questo turismo e in questo progresso. Guai a chi dissente!
Chi non accetta questo elementare e diffuso teorema, sembra non avere diritto di cittadinanza nell’Isola di Roma (sempre più di Roma, anche nell’idioma e negli accenti!).
Nessuno nega i progressi civili e sociali che Ponza ha fatto dal 1975 ad oggi, in tutti i campi: nella sanità, nei trasporti, nella scuola, nei servizi, nella portualità. E’ ancora poco, e tanto è rimasto da fare. Ma non possiamo nascondere i mali devastanti che parallelamente hanno travolto Ponza, soprattutto nel campo della vivibilità e della coesione sociale e dunque nella qualità della vita. Lo spopolamento in atto è il risultato più evidente di tutto ciò. Come non rimpiangere allora quella Ponza piena di gente (nonostante la forte emigrazione in America) e di vita; piena di bambini che affollavano le aule della scuola le piazze e i chiassosi cortili, con la gioventù sana e pulita organizzata intorno alla chiesa; con un’isola gentile e ospitale, dove l’unica droga che si conosceva era l’infuso della nonna chiamato papagno per addormentare i bambini; quando S. Silverio era una festa squisitamente religiosa e non un’opportunità turistica?
La nostalgia, il rimpianto di cui parlo, non è figlia quindi dell’età matura (come in tanti semplicisticamente sostengono, quasi fosse un fenomeno legato alla senilità), piuttosto del buon senso.
Si tratta insomma di una visione politica dello sviluppo sociale. E il buon senso mi porta a dire che un’altra Ponza sarebbe stata possibile. Purtroppo è mancata sul territorio una classe dirigente capace di coniugare il flusso turistico con le esigenze di rispetto della cultura, dell’ambiente e del tessuto sociale isolani. Invece ci siamo lasciati travolgere e devastare dell’ondata turistica, irrispettosa del nostro delicatissimo equilibrio. Sperare ancora in una Ponza pulita e sana, ricostruire un tessuto sociale coeso e solidale, capace di difendere la propria cultura e la propria storia significa essere nostalgici? Se è così allora sono un gran nostalgico!
Ora, se si volesse uscire da questa discussione che corre il rischio di essere tutta rivolta al passato e parlare del presente, bisognerebbe provare a rispondere alla seguente domanda: è ancora possibile a Ponza coniugare sviluppo e progresso? E’ possibile uscire dalla nostalgia del tempo che fu, ricomporre la nostra comunità e riavviarla su nuove prospettive, più umane e più rispettose della cultura e dell’ambiente senza scivolare nel fanatismo ambientalista?
***
Nel 1983 il regista sovietico Tarkovskij venne in Italia a girare il film “Nostalghia”, da cui ho tratto il titolo di queste mie riflessioni. Si fece aiutare nello scrivere la sceneggiatura dal grande Tonino Guerra che ci ha lasciati da poco. Nel film compare anche, con un bel primo piano, il nostro carissimo Silverio Lattanzi. Scrive il critico letterario Gianfranco Massetti:
“Una sintesi complessiva del significato del film di Tarkovskij può essere probabilmente individuata nella visita di Gorciakov (il protagonista, esule russo in Italia, nostalgico della sua terra) alla casa di Domenico (ritenuto pazzo). Le cifre della scritta a carboncino sull’intonaco della parete (1+1= 1) alludono in modo neppure troppo ermetico a una concezione olistica della conoscenza. Una concezione secondo cui una goccia di olio più un’altra goccia, come fa dire il regista a Domenico, non fanno due gocce, ma una sola goccia più grande. Bisogna, cioè, superare la dualità e cercare l’Uno, in tutte le cose. Fare come gli alchimisti del Rinascimento. Superare il dualismo. Ritornare al punto dove l’umanità si è persa “imboccando la via sbagliata”. Trovare una sintesi tra materia e spirito”
Potremmo quindi dire, in ultima analisi, che la nostalgia è il frutto della mancata sintesi tra il mondo di ieri e il mondo di oggi.
Ecco, forse anche noi a Ponza dovremmo imparare a superare questa dualità, ritornando al punto in cui ci eravamo persi e imboccare una nuova strada; trovare cioè quella sintesi tra materia e spirito, tra passato e presente che sola ci può salvare. E questo è compito della politica, ma anche di tutti noi, di ognuno di noi. Ed è impresa titanica.
Gino Usai
Vincenzo Ambrosino
22 Maggio 2012 at 18:53
Vincenzo Ambrosino
Caro Gino, colgo finalmente l’occasione di dirti che io avevo capito l’intento della poesia e proprio per questo ho ritenuto giusto sottolineare, con il mio “controcanto”, gli aspetti di un’altra isola, che una falsa modernità aveva distrutto. Se la poesia rimaneva quella che era, se come ha detto Gennaro: “non interveniva l’insensibile”, la poesia rimaneva sentimento, nostalgia appunto, non messaggio politico.
La poesia era chiaramente politica: metteva in luce la perdita d’identità, dell’isola fattoria, che, contaminata da una cultura familista, che è sempre esistita – e qui vado oltre – non è riuscita tutt’ora a trovare la classe dirigente che la traghettasse verso l’isola giardino.
Quando alla fine io dico: – Gino che fai, malgrado tutto, vieni o non vieni a Ponza? – voglio dire: – “Che facciamo ci rassegniamo o tentiamo con una azione politico-culturale, almeno di formare una classe dirigente che può non farci rimpiangere il tempo perduto?
martina
22 Maggio 2012 at 21:46
Egregio sig. Ambrosino, anche io ho letto la sua parodia fatta alla splendida poesia di Gino, se in quell’occasione non ho risposto è stato solo perché già ci aveva pensato Gennaro, cmq non mi fu gradita. Continua a fare domande, ma non a dare risposte, bene, ora ci penso io:
cosa vuole esprimere realmente?? Propone immensi testi con sfilze di domande, ma prende lezioni da Marzullo? Nei suoi scritti parla di politica, ma nella vita pratica cosa fa??? Lei è professore sarebbe suo compito educare e impiantare nei giovani senso civico, spronarli a produrre, creare ed agire; di tutto ciò non vedo nulla! Voglio esser ancora più diretta e sincera: signor Ambrosino cosa fa lei per Ponza, oltre a criticare, devastare e distruggere tutto e tutti?? Io come molti altri penso che è tempo che Lei inizi a dare qualche risposta, perché del suo disfattismo ne abbiamo piene le orecchie.
Cordiali saluti,
Martina.
Vincenzo Ambrosino
23 Maggio 2012 at 20:34
Finalmente qualcuno che si arrabbia seriamente! Sono contento di questo; sapevo di questo sottile astio, di questa sopportazione, ma non penso che io debba giustificarmi con una giovane di grandi speranze, come sei tu, Martina. Il Mondo è dei Giovani! Io l’ho detto a chiare lettere che è dai 25 ai 35 anni che si cambia il mondo: CORAGGIO SEI NELL’ETA’ GIUSTA!