di Tea Ranno
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Tea scrive a Tano (leggi qui), menzionando i personaggi dei suoi romanzi che le hanno fatto compagnia e – grazie alla scrittura e alla condivisione -, la fanno anche a noi.
Ormai per il dialetto siciliano quasi non abbiamo più bisogno di ‘aiutini’, per la comprensione. Quasi.
Con la risposta di Tano
Sandro Russo
A me i Morti hanno portato quello con cui mi hanno cresciuta: libri, dolci, favole e cunti.
Stanotte mi sono appostata e li ho visti: ma quanti erano?
C’erano tutte le femmine mie, Ianciulina Ornamento con libri di poesie e amurusanze a mai finire, Pietra con una cuddura di pane appena sfornato che mandava un odore da svenimento, Stella con le scorzette d’arancia candita, Viola Fòscari con Cusuzza in braccio e una pupidda di zucchero (“Per farti la bocca dolce quando l’amaro ti sopravanza, signora”), Vincenzina Sparviero, risolente al braccio di Filippo e una melagrana in mano (“Ogni chicco un cunto, signora”), donna Iolanda Cutò e don Alfonso il farmacista, entrambi carichi di rimedi per i dolori del corpo e, principalmente, dell’anima (che assai mi conoscono e sanno di che cosa ho bisogno), e poi don Ciccino e donna Annettina, quest’ultima con un cunto di briganti che ho appena finito di leggere, zia Olga con i suoi appunti sull’estetica crociana che le chiesi tempo fa, Teresina Cianci, che – mano nella mano con Andrea – ha portato i totò di cui molto la ringrazio perché i totò di cioccolato (profumati con chiodo di garofano e cannella) sono tra le golosità di cui confesso la dipendenza, e poi Mattiuzza, coi suoi ricci e le sue buccole alle orecchie e scorze di cannoli appena fritte (“La ricotta per il ripieno la devi cunzare un’ora prima, Tiuzza, così che si piglia di sapore”), don Michele con un vassoio di ‘ncanniddati e un sorriso compiaciuto (in un sussurro mi dice che Agata La Tabbacchera molto gli piace), donna Stèfana la terribile, che posa sul tavolo i torroni e i fichi secchi (“Bene mi trovo nel mondo in cui mi ha traghettato, signora”). E poi gli altri e le altre che sfilano e mi fanno una carezza e io m’accoccolo sulla poltrona e mi quieto: fino a quando i morti miei e i vivi miei mi riempiranno d’amurusanza, mai smetterò di raccontarli, perché è l’amurusanza che accende dentro di me il fuoco vivo del cunto.
Amica mia che ti frastorni come mi frastorno io, uno si stanca a portare piso assai, l’ossa si scuzzuliano (1), i pedi s’allargono come scarpi vecchi, la carina (2) si torce e dole, la testa sempre chiù stanca si cala e nun si susi. I piccididdi dintro di noi non finisciunu mai e lu spazio s’allarga, ma arriva genti e s’allinchi (3) ancora… è ‘na pena ma anche ‘na cuntintizza senza fini…
Glossario
1. Frantumano
2. La schiena
3. Si riempie