Ambiente e Natura

Io sono il Rosso (prima parte)

di Patrizia Maccotta

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Il colore rosso non passa certo inosservato! È così franco, così caldo e luminoso! Non è possibile non notarlo: si afferma con prepotenza, carico di simboli.

Si diversifica inoltre in infinite sfumature: le varietà del rosso sono infatti superate, in numero, solo dalle varietà del verde.
A volere fare un elenco esistono il rosso corallo, cadmio chiaro e scuro, angelico, rubino e uccello; il rosso lacca di garanza – “Mi chiamo Garanza, è il nome di un fiore” –, dice Arletty nel meraviglioso film “Les Enfants du Paradis” di Marcel Carné -, e il rosso lacca di garanza scuro e di garanza cremisi; il vermiglione, lo scarlatto, il carminio, il bordeaux e la porpora… la sontuosa porpora! Senza dimenticare il rosso cinabro.

Il rosso garanza è un pigmento di origine organica e vegetale, che deriva dalla rubia (Rubia Tinctorum).

Questa tonalità di rosso, in uso nel medioevo, si otteneva con il solfuro di mercurio ed era, pertanto, velenosa. Un’altra tonalità, come il rosso di Robbia, si otteneva grazie a delle radici, mentre il rosso cremisi, il quermez persiano, era il frutto della essicazione di un insetto, la cocciniglia, ed era anche noto alle civiltà precolombiane.

Fin dall’antichità i popoli fecero largo uso di questo colore. I Romani lo sceglievano come sfondo per le pareti delle case aristocratiche.


Nella Villa dei Misteri, a Pompei, fu reso più resistente grazie ad uno strato di cera ed è pervenuto vivido a noi. Anche le pareti della casa di Augusto, sul Palatino, sono ricoperte da questa tinta così come le pareti delle abitazioni di altri imperatori. I romani, d’altronde, sceglievano il rosso – un rosso particolare chiamato porpora – anche per tingere le loro stoffe; la porpora si ricavava dalla secrezione di un mollusco che un altro popolo mediterraneo, il popolo fenicio, faceva macerare più o meno a lungo in acqua marina in base all’intensità del colore – dallo scarlatto al violaceo – che si voleva ottenere. La porpora fu così importante nel commercio dei Fenici che dette il suo nome, “Phòinix”, a questo popolo. A quei tempi il rosso era associato alla regalità e alla sacralità. In effetti, il rosso ha, più di ogni altro colore, un significato simbolico molto forte e, soprattutto, molto vario.

Nel Medioevo fu scelto, a causa la sua lucentezza, per le lettere rubricate e per le righe musicali. Ma si attribuiva anche a quel colore una valenza negativa: annunciava il tradimento o il disordine. Nelle miniature Giuda è spesso vestito di rosso e le streghe hanno, quasi sempre, i capelli rossi. Il rosso divenne, presto, il colore della stregoneria. D’altronde i capelli rossi, per tanti secoli, furono il simbolo della cattiveria, della malvagità.
Rosso Malpelo ha i capelli di quel colore perché “era un ragazzo malizioso e cattivo” ed il suo gemello francese, Poil de Carotte, nell’omonimo romanzo di Jules Renard, è vessato dalla madre e dal fratello per il colore dei suoi capelli. Egli diventerà così quello che si crede di lui ingiustamente: cattivo e bugiardo.

Oltre al simbolo della malvagità e del tradimento, il rosso assunse presto il simbolo del sangue, della violenza e – insieme al nero – della morte. E non solo in Europa.
In Giappone, per esempio, il militare Tokugawa Ieyasu, che fondò, all’inizio del XVII secolo, lo shogunato che portò il suo nome, scelse come emblema il rosso e chiamò il suo esercito “La Brigata dei demoni rossi “. Come non pensare alle Brigate Rosse del 1970 nel nostro paese.

Il rosso segnala comunque, da sempre, il pericolo. Le ambulanze esibiscono una croce o una mezza luna rossa; rosse sono definite le zone dove il contagio per Covid 19 è più forte; rosso è il semaforo quando non si può passare; il segnale stradale che indica un senso unico ha come sfondo il rosso.

Il rosso segnala pure la colpa e l’errore. Chi non si ricorda i segni rossi sugli elaborati scolastici? In un interessante saggio intitolato “Les couleurs de nos souvenirs” lo storico Michel Pastoureau ci racconta un curioso episodio avvenuto nel suo liceo nel 1960. Fu vietato, una mattina, l’ingresso nello stabilimento a due allieve che portavano dei pantaloni rossi. Il rosso non era ammesso nelle istituzioni scolastiche a quei tempi – figuriamoci su dei pantaloni! – probabilmente perché persisteva nell’immaginario collettivo la sua valenza di colore trasgressivo e provocatorio.

Come non pensare a due film quasi contemporanei tratti da due opere letterarie?
Il primo si ispira a un dramma di Owen Davis ( 1933) e porta il suo stesso titolo in inglese “Jezebel”, mentre in italiano si scelse di chiamarlo “La figlia del vento”. Uscì nelle sale nel 1938. Vinse due Oscar.
Il secondo è il famosissimo “Via col vento” (Gone with the wind, per la regia di Victor Fleming), tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchel del 1936. Uscì nel 1939 e vinse cinque Oscar. Li accomunano il periodo in cui si svolge l’intreccio – la guerra di secessione in America – il carattere delle protagoniste e un vestito… rosso.

Nel primo film, la ragazza alla quale l’attrice Bette Davis dà il suo volto si chiama Jezebel, come il personaggio della Bibbia che è simbolo di lussuria. È una fanciulla del Sud, viziata ed egocentrica (si redime nella seconda parte del film!), che alla vigilia della guerra di secessione sfida la mentalità della società in cui vive presentandosi al ballo delle debuttanti con un audace vestito rosso. Il colore da lei scelto, contrario alla morale, provocherà la rottura del suo fidanzamento con l’uomo che ama. Nello stesso periodo e nella stessa società evolve il personaggio di Scarlett O’Hara incarnato dall’attrice Vivien Leigh. Troppo nota è la storia per riassumerla.

Ma ricorderemo l’episodio in cui il terzo marito di Scarlett, Rhett Buttler, l’affascinante Clark Gable, la costringe ad indossare un vestito rosso molto vistoso per recarsi al compleanno del marito di Melania, Ashley, del quale è da sempre innamorata e che circuisce. In questi due film il colore rosso del vestito è un colore di perdizione e di offesa alla morale. Una valenza trasgressiva, ma che è mantenuta sotto controllo perché nascosta in un indumento intimo che non si vede, ha il colore rosso di una sottoveste che lo stesso Rhett regala a Mamie, la tata afroamericana di Scarlett.
In un film molto più recente, 1984, “La Signora in rosso” di Gene Wilder, il vestito rosso ha sempre un valore di seduzione ma spogliato, se così si può dire, del suo valore di colpa.

Locandina del film… Che dire del rossetto, allora!

Immagine di copertina. Begonia rex a fiore rosso, dalle mie piante

[Io sono il Rosso (prima parte) – Continua]

2 Comments

2 Comments

  1. Luisa Guarino

    5 Novembre 2021 at 22:15

    Leggo sempre con piacere gli scritti di Patrizia, interessanti, ricchi di notizie e spunti, colti senza mai essere pedanti. E ho apprezzato particolarmente il suo articolo in due parti sul colore rosso, per i motivi di cui sopra, nonché per l’originalità dello spunto. Vorrei solo aggiungere alla gamma infinita di questo magnifico colore un’ulteriore citazione: il ‘Rosso relativo’ di Tiziano Ferro. Non solo perché Tiziano è di Latina, la città in cui vivo; ma perché citando questo suo brano famosissimo ‘il colore rosso’ mi sembra ancora più bello e splendente.

  2. Patrizia Maccotta

    6 Novembre 2021 at 16:03

    Grazie Luisa, per quello che ha scritto.
    Ponzaracconta è una rivista di qualità. Mi ha accolta molto generosamente

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