Segnalato da Sandro Russo
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Finite le Olimpiadi è tempo di consuntivi e di analisi. Propongo questo ottimo articolo di Miguel Gotor da la Repubblica, che spiega le ragioni del successo e indica alcune strade per il futuro. Con un link alle più belle foto (da Elle).
I ragazzi della staffetta 4×100 avvolti nel tricolore dopo l’incredibile oro, il quinto nell’atletica e il decimo del medagliere
Commenti – Costruire sul successo olimpico
La mission del Coni dopo Tokyo
di Miguel Gotor da la Repubblica del 9 agosto 2021
Le Olimpiadi hanno portato l’Italia sul tetto del mondo: nessuno salta in alto, corre veloce e marcia meglio di noi. Un simile successo è la conferma di un modello sportivo in cui la mano pubblica svolge da sempre un ruolo predominante. Anche in Giappone, infatti, la stragrande maggioranza delle medaglie proviene dai gruppi sportivi della Polizia, della Guardia di finanza, dei Carabinieri e dell’Esercito che hanno arruolato gli atleti quando erano giovani promesse, investendo sul talento di ognuno e mettendo a disposizione strutture e professionalità per i loro allenamenti. In questo modo lo Stato, potendo offrire un posto di lavoro fisso, è riuscito a garantire ai suoi sportivi una sicurezza esistenziale anche dopo la fine dell’attività agonistica che un modello esclusivamente privatistico evidentemente non è in grado di offrire, se non a un manipolo di supercampioni.
Tuttavia quest’esplosione di gloria — l’Italia in queste Olimpiadi ha battuto il record di medaglie conquistate dal 1896 a oggi — deve basarsi anche su altre ragioni che le improvvise e imprevedibili condizioni emergenziali imposte dall’epidemia hanno contribuito a valorizzare.
Ruggero Tita e Caterina Banti vincono l’oro con la categoria Nacra 17 della vela
Certo, come ha dichiarato il presidente del Coni Giovanni Malagò queste vittorie sono il simbolo di un Italia multietnica e super integrata, ma è probabile che la formula segreta del record sia scaturita anche dall’incrocio virtuoso tra il consueto modello sportivo di matrice militare e uno privato di tipo famigliare, messo alla prova dal lockdown, con la sua proverbiale arte di arrangiarsi.
Ne sono una riprova i filmati dei luoghi e delle modalità di allenamento dei tanti vincitori che hanno consentito di entrare nel backstage di ogni singola impresa, rinviando una sorprendente realtà casareccia, artigianale e fai da te: Marcell Jacobs, l’uomo più veloce del mondo, durante l’epidemia, si è allenato in una pista privata messa a disposizione da un amico della madre che l’ha fatta costruire nel giardino della propria villa e, secondo i suoi compagni di allenamento romani, a occhio e croce tutti atleti amatoriali, ha perfezionato la partenza grazie alla disponibilità di qualcuno di loro che si è seduto sui blocchi per tenerli fermi col proprio peso; l’altro velocista Filippo Tortu ha raccontato di essersi tenuto in forma nel parco vicino casa; il marciatore Massimo Stano ha compiuto vorticosi giri nell’area verde del quartiere di Ostia dove abita suscitando la comprensibile curiosità dei suoi vicini che non sapevano che stesse preparando le Olimpiadi; la ginnasta Vanessa Ferrari ha ripreso a volteggiare nel garage della sua abitazione; il karateka Luigi Busà ha colpito a ripetizione un artigianale “fiammifero”, vale a dire un manico di scopa alla cui estremità era fissato un guantone rosso; la marciatrice Antonella Palmisano ha svolto i quotidiani esercizi nel cortile di casa, stretta tra una macchina parcheggiata e la ringhiera cui attaccare l’elastico per le flessioni e i vicini pensavano che volesse fare l’esibizionista.
Linda Cerruti e Costanza Ferro alla finale di nuoto sincronizzato
In alcuni casi sono stati gli stessi padri a diventare gli allenatori dei propri figli all’inseguimento di una gloria a loro sfuggita che li ha spinti a trasformare la trappola della frustrazione in una molla di riscossa tra le generazioni: così Tamberi senior, ex primatista italiano di salto in alto, ha forgiato il Tamberi junior; il karateka Busà ancora si ricorda la volta in cui suo padre Sebastiano, ex campione italiano che lo allenava, gli strinse la mano e gli disse «Vuoi diventare il numero uno?», promettendogli un sogno ora divenuto realtà a partire da una cucina di Avola («allora ero un bambino obeso e solo mio padre credeva in me»).
Dietro altre storie di vittoria, invece, ci sono padri assenti e madri modello come quelle di Jacobs e Fausto Desalu, che hanno cresciuto da sole e controcorrente i rispettivi figli, insegnando loro il valore del sacrificio e del riscatto che ha trovato nella sfida a correre più veloci di tutti un’irresistibile valvola di sfogo.
La possibile origine di questi ori italiani rivela però anche l’altra faccia della medaglia che lascia sorgere una domanda spontanea: se siamo arrivati così in alto proprio grazie a questo modello ibrido e flessibile, in cui la dimensione familiare, con le sue intricate dinamiche psicologiche motivazionali, e quella statale, con le sue rassicurazioni lavorative per il dopo, si sono mescolate tra loro moltiplicando i propri benefici effetti, cosa potrebbe fare l’Italia se fosse in grado di organizzare un sistema sportivo all’altezza di questi incredibili successi individuali? Con maggiori investimenti economici nel settore, con la costruzione di impianti di allenamento più moderni e diffusi sul territorio, con lo sviluppo di una cultura sportiva capillare a partire dalla scuola dell’obbligo?
La prossima sfida per il Coni è proprio questa: fare di più e meglio per trasformare il trionfo di Tokyo in un’occasione di crescita sportiva per l’intero sistema Paese.
La XXXII edizione dei Giochi Olimpici è terminata. Arigato (significa ‘Grazie’, in giapponese)
Le immagine sono tratte da Elle, periodico francese, in edizione italiana dal 1987: Le foto più belle delle Olimpiadi di Tokyo 2021 e i momenti più emozionanti da rivivere in questi scatti
Sandro Russo
11 Agosto 2021 at 12:15
Non seguo la televisione, ma immagino che siano stati tanti i commenti di osanna per il successo degli italiani alle Olimpiadi di Tokio.
Però dal mio limitato osservatorio dei giornali cartacei e on line non ho letto grandi servizi o commenti di congratulazione ai giapponesi per aver organizzato una Olimpiade (quasi perfetta, anche se senza pubblico) partita in salita, con i peggiori auspici e “gufata” da tutti che alla fine si è dimostrata un successo sportivo e di immagine, né è successo alcuno degli sfracelli previsti.
Una bella lezione per i “malpensanti” o haters, nostrani e di tutto il mondo!
Sandro Russo
12 Agosto 2021 at 07:15
Sono contento che al mio commento di ieri, espresso a titolo personale, sia seguito un longform su la Repubblica on-line di oggi, 12 agosto 2021, un trionfalistico servizio delle Olimpiadi di Tokio; non solo sulle vittorie italiane, ma proprio sulle Olimpiadi nella loro globalità (ragioni politiche, organizzazione, retroscena, storie umane).
Giochi di parole: sette storie da Tokyo 2020. Una Olimpiade indimenticabile
di Francesco Saverio Intorcia (coordinamento editoriale e testo), Mattia Chiusano, Cosimo Cito, Maurizio Crosetti, Ettore Livini, Alessandra Retico, Fabio Tonacci, Giampaolo Visetti. Coordinamento multimediale di Simona Bolognesi. Produzione Gedi Visual
Riporto solo l’inizio dell’ampio articolo:
“I Giochi scandiscono il tempo della nostra vita. L’edizione di Tokyo racconterà a lungo le nostre vite fuori tempo. Un’Olimpiade è un intervallo certo, descrive quattro anni di programmazione, sacrifici, ambizioni. Questi invece sono stati Giochi consumati in data sbilenca per la prima volta: rinviati quando il mondo si è fermato per il virus, hanno rischiato di sparire definitivamente: lo auspicava la maggioranza dei giapponesi nei sondaggi. Viaggiando in direzione ostinata e contraria al comune sentire, fra stadi vuoti, protocolli cervellotici, rinunce eccellenti, l’imbarazzo degli sponsor che hanno preferito nascondersi e l’impossibilità acclarata di sanare le perdite dei costi aggravati dalla pandemia, Tokyo ha voluto celebrarli lo stesso, anche per sfuggire alla maledizione del 1940 e delle Olimpiadi saltate per la seconda guerra sino-giapponese.
Abbiamo scelto sette parole chiave dei nostri inviati per il racconto conclusivo di Tokyo 2020. L’Italia ricorderà, certo, il suo record di medaglie totali, 40, e le imprese di atleti arrivati dove mai un azzurro si era spinto. Ma al di là dei riflessi dei metalli al collo, quest’edizione ha raccontato storie di resistenza e di redenzione, di valori familiari da custodire o ricercare, e di demoni interiori con cui fare i conti nella solitudine dell’ultimo esercizio, senza mai firmare la resa.
Erano i Giochi del silenzio. Si sono conclusi con un urlo prepotente di ritorno alla vita”.
Sette parole chiave: i titoli dei rispettivi articoli.
Arigato
Limite
Covid
Mente
Famiglia
Fede
Addio