di Gabriella Nardacci
Il fatto è che a volte mi capita di non ricordare bene le cose e certi particolari li sento sfuggiti dalla memoria, o forse all’epoca ero talmente presa e distratta dai sentimenti nuovi verso gli amici e dalla curiosità di sperimentare quella minima libertà concessa, da non ritenere importante approfondire altri aspetti. Sì, era l’urgenza di vivere a perdifiato quei momenti che mi distoglievano dalle analisi più dettagliate dei luoghi che mi vedevano protagonista insieme alle mie amichette.
Così, dopo aver fatto i compiti e aver aiutato la mamma nelle piccole faccende di casa, il premio era “la strada” e allora correvamo lungo i vicoli cercando gli amici nelle loro case. Conoscevamo ogni vicolo e ogni abitazione. Da due si diventava tre e poi quattro e poi cinque …per arrivare fino a dieci e dodici. Tutti a correre, a rincorrerci cantando, urlando, ridendo in ogni vicolo. Anche in quelli adatti all’incoscienza dell’infanzia. Conoscevamo case, persone, ogni angolo di strada. Maenza era il paese dove volevamo vivere e ci sembrava fosse fatto a nostra misura.
Poi si cresce e si comincia ad alzare lo sguardo. Si oltrepassano le siepi e i muretti e si scoprono altre meraviglie non a portata di mano. E’ necessario spingersi oltre per toccarle con mano. La conoscenza è un desiderio che cresce con l’età e stava crescendo con me.
Ormai si camminava senza più correre, durante l’adolescenza, e si faceva il giro della Circonvallazione. E’ lì, che oltre la piana si delineava il promontorio del Circeo e a malapena si vedeva l’isola di Ponza. Credevo si vedesse solo da lì e mi capitava di andarci di proposito. Un’isola a portata di… sguardo! Isola per me lontana, isola dorata dove approdare, isola come simbolo di libertà.
Cominciavo a dar voce anche a certe cose che erano cresciute con me. Era il periodo in cui mi stavo dirigendo verso una scelta importante. Cosa avrei fatto dopo le scuole medie?
Mia madre diceva che potevo imparare a fare la sarta o la ricamatrice. Io guardavo sui libri i capolavori di Caravaggio, di Monet, le ballerine di Lautrec e leggevo i racconti sulle antologie dei miei fratelli, scrivevo poesie e fogli interi di diario dove appuntavo le mie paure, i miei sogni, i miei desideri e le mie tristezze.
Mi venne concesso di proseguire gli studi, però avrei fatto le magistrali in collegio.
Non c’era altra scelta. Pur di studiare, accettai. La città e il collegio mi diedero l’opportunità di conoscere nuove idee, di relazionarmi con altre persone, di conoscere cose, senza però mai cessare di amare il mio paese, e quando ci tornavo per le vacanze o per le festività, sempre ne ripercorrevo le strade.
Così è capitato di vedere che da qualche angolo, guardando lontano, si vedeva quella lingua di mare. E’ stata una meravigliosa scoperta e mi sentivo connessa con l’isola o meglio… sentivo il mio paese far parte di questa connessione a tal punto che ne ho scritto un romanzo che ho voluto intitolare “A malapena si vede l’isola di Ponza” dove ne decanto la bellezza unita a quella di Maenza e di altre città che conosco.
Il fatto strano è stato che, durante la presentazione a Maenza del mio romanzo, molte persone erano piacevolmente sorprese di quanto l’isola di Ponza fosse anche nei loro cuori e in molti mi hanno inviato foto della veduta.
Quando non c’è foschia, Ponza si vede da tutto il Belvedere di via della Circonvallazione, anche se l’ingombrante promontorio del Circeo la nasconde in diverse foto
Da via del Colle si vedono anche le sagome di Palmarola e Zannone
Da via Nazario Sauro
Dalla Loggia dei Mercanti (un tempo Piazza coperta)
Ma le isole – sempre a malapena – si vedono anche da un affaccio del Cimitero, proprio dov’è la tomba di mio padre e da altre parti.
Ora la conosco quest’isola. Mi regalarono tre giorni a Ponza in occasione di un mio compleanno e proprio nel periodo in cui scrivevo il romanzo. Per amare davvero una cosa, occorre conoscerla, prima o poi. Quando si tratta di persone, può succedere che conoscendole non si amino più, ma l’isola di Ponza non mi ha delusa affatto.
Sicuramente ci sono altri angoli da dove a malapena si vede l’isola e forse li scorgerò. Di certo è un’isola che c’è e che posso raggiungere, ma la cosa che più m’intenerisce è sapere che il sogno di quest’isola dorata m’inseguiva già in quelle corse strillate che facevo da bambina con le mie amichette nei vicoli di Maenza.
Foto di Alessandro Pucci, Giovanni Colorito e Mauro Francesconi.
Nota della Redazione:
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