Archivio

‘Million dollar baby’ è di Torre Annunziata

Proposto da Sandro Russo e Gianni Sarro

 

Il solito Michele Serra entra da par suo nella kermesse e tra i personaggi delle Olimpiadi di Tokio.
Eccolo nell’Amaca di oggi (30 luglio 2021)

Il ring che è dietro l’angolo
– di Michele Serra

Una che si tatua “panta rei” sull’avambraccio, per il mio personale metro di giudizio, ha già nove punti su dieci. Con il merito aggiuntivo di esserci arrivata senza niente sapere di Eraclito. Se poi vi è capitato di vederla in tivù, anche se del pugilato femminile e delle Olimpiadi ve ne importa zero, la faccia di Irma Testa vi è sicuramente rimasta impressa: bellissima faccia sudista, faccia di popolo, faccia di donna tosta, che a ventitré anni già contiene tanta vita quanta i quattro quinti dei ragazzi benestanti nemmeno si sognano.

Leggetevi, per piacere, l’intervista che Cosimo Cito ha fatto a Irma. Non c’è una parola inutile, una frase scontata, tutto è dolore e speranza, fragilità e potenza, caduta e bellezza. Panta rei, tutto scorre, la vita è lunga come un fiume e la sua acqua cambia sempre. “La paura di non essere abbastanza”, parole sue, è il motore del racconto di Irma, e potrebbe essere un bel titolo per un romanzo. Salirà sul podio olimpico, da Torre Annunziata la sua faccia arriverà al mondo, seppure per un lampo.

Lo sport – e la boxe, piaccia o non piaccia, dello sport è una delle quintessenze – è un magnifico riassunto della vita. Questa ragazza che tira pugni per rinascere, per essere abbastanza, tocca il cuore di un problema che è di tutti: dimostrare bravura, essere apprezzati, infine essere amati. Ognuno avrebbe il suo ring, lo cerca, non sempre lo trova. Irma Testa lo ha trovato, la fortuna e la forza sono state con lei, il resto è stata tenacia, talento e un maestro capace: i bravi allenatori sono, dietro le quinte, artefici di bellezza come pochi al mondo.
Sogno, o mi illudo, che tanti ragazzi stanchi, sfiduciati, vinti, vedendo Irma Testa cerchino il loro ring, che magari è dietro l’angolo.

L’articolo su Irma Testa, da la Repubblica di ieri.
Irma Testa: “Ho preso a pugni anche la paura di essere sbagliata”
dall’inviato di Repubblica Cosimo Cito, pubblicato il 28 luglio 2021

Quel che so della boxe femminile lo devo a Clint Eastwood
di Gianni Sarro

Million Dollar Baby è un film del 2004, diretto e prodotto da Clint Eastwood e interpretato dallo stesso Eastwood insieme a Hilary Swank e Morgan Freeman. È dedicato al mondo della boxe e il soggetto è tratto da un racconto della raccolta Rope Burns di F.X. Toole.
Million Dollar Baby si è aggiudicato quattro premi Oscar: miglior film e miglior regia a Eastwood, miglior attrice protagonista a Hilary Swank e miglior attore non protagonista a Morgan Freeman.
Il budget del film è stato di 30 milioni di dollari con un incasso totale di 216.800.000 di dollari (notizie di base da Wikipedia)

La trama essenziale
Frankie Dunn (Clint Eastwood) è un vecchio allenatore di pugili che possiede una palestra, ma ormai ha perso ogni slancio verso il suo lavoro. Con lui collabora Eddie (Martin Freeman, Scrap-iron, rottame di ferro)), un ex pugile altrettanto disilluso. La vita dei due viene travolta dall’arrivo di Maggie (Hilary Swank), una donna non più giovanissima che però è ben decisa a diventare una pugile professionista. Dopo un iniziale rifiuto, e soprattutto per l’insistenza di Maggie, Frankie inizia ad allenarla e anche a farla combattere in veri incontri, in cui Maggie dimostra una grinta e una forza inaspettate. Frankie si affeziona a lei come alla figlia che non vede da anni.
La progressione delle vittorie di Maggie sembra inarrestabile, tanto che Frankie, le organizza un incontro con la campionessa del mondo dei pesi Welter. Ma durante l’incontro qualcosa cambierà per sempre la vita di tutti loro.

Il cinema di Clint Eastwood è andato progressivamente affermandosi come cinema d’autore, ricevendo ad ogni nuovo film consensi sempre più unanimi. In più egli appare un regista circondato da un’aura atemporale di evergreen, che sbrigativamente abbiamo definito “classico”.
Siamo di fronte a un regista che ha saputo complicare l’idea di un cinema lineare e semplice, adottando una ridefinizione e un ripensamento delle forme della retorica classica. Ad esempio la contaminazione dei generi, stravolgendo uno stile classico di racconto, con una morale che risulta aperta, discutibile, tutt’altro che classica.

In Million Dollar Baby Clint Eastwood rispetta i principi della messa in scena del cinema classico (leggibilità – gerarchizzazione – drammatizzazione – continuità narrativa – trasparenza del linguaggio cinematografico – spazio continuo e prospettico – tempo lineare e perfettamente comprensibile), ma non quelli della struttura del racconto (posizione – trasgressione/pericolo/minaccia – ripristino dell’ordine e della minaccia).
D’altro canto la non adesione alla struttura del racconto è evidenziata dalle figure dei protagonisti di Million Dollar Baby dove tutti, chi più chi meno, sono dei derelitti, destinati ad un’esistenza sullo sfondo, lontani dal successo. Nasce, quasi spontanea, un’alleanza tra outsider (prima quella tra Frank e Eddie, poi di loro due con Maggie), che preso atto della sconfitta decidono di non rassegnarsi.

Possiamo allora affermare che nel cinema di Clint Eastwood è presente la figura del “non sconfitto” (Maggie in Million Dollar Baby; Walt Kowalski in Gran Torino), l’invictus, ossia colui che s’incammina lungo un percorso esistenziale durissimo, alla fine del quale non c’è happy end (assente nel cinema di Clint) ma la capacità di operare una scelta e attivare una precisa volontà, fino alle estreme conseguenze. Degli irriducibili che non si rassegnano alla sconfitta disonorevole e cercano una dignità.

Un altro canone che Clint Eastwood è uso disarticolare, è quello del presupposto che un film imperniato sulla boxe mostri la strenua, sofferta battaglia sportiva dell’eroe e alla fine abbiamo un responso chiaro (anche nei Rocky che termina con un pareggio o in Toro scatenato dove l’incontro è truccato). In Million Dollar Baby tutto questo non c’è. Gli incontri di Maggie durano pochi secondi, a parte l’incontro clou, che all’inizio sembra rispettare il canone (inizio con l’eroe in difficoltà, ribaltamento della situazione) ma poi sul più bello ecco piombare l’errore, il fato, la disattenzione. Cala il buio, a Clint Eastwood non interessa farci sapere chi avrebbe vinto, se Blu Bear verrà squalificata, tutto ciò non è rilevante.
Proprio così irrilevante? Forse no. Prima che l’incontro di Maggie per il titolo abbia luogo, in un altro spazio – la palestra di Frank -, si combatte e il protagonista è Eddie, corso in aiuto di un novellino, brutalizzato sul ring da uno più esperto (Shawrelle). Lo sguardo dello spettatore viene premiato, nel momento in cui Eddie mette ko il bullo, la macchina da presa (mdp) ci privilegia di una visione soggettiva (quasi soggettiva) che ci gratifica, abbiamo partecipato anche noi all’abbattimento del gradasso. Non solo, Eddie (almeno lui) corona il suo piccolo – grande sogno, ha combattuto (e vinto) il suo 110° incontro.

Chi si relazione con chi in Million Dollar Baby? Quasi tutto il film propone dialoghi in cui sono presenti i tre principali personaggi: Frank, Maggie e Eddie. In Toro scatenato, ad esempio, in alcune scene che mostrano combattimenti di boxe, oltre ai dialoghi all’angolo di La Motta/De Niro, ascoltiamo quelli all’angolo del suo avversario. In Million Dollar Baby questo non avviene, neanche nel momento più drammatico, quello del tragico KO, ci viene fornito un dettaglio, un’emozione di chi è fuori dal cerchio magico dei protagonisti.

“Per contenuti costi di realizzazione ed un uso sobrio della macchina da presa, senza “effettacci” o frenetico montaggio, ci verrebbe voglia di usare l’aggettivo “europeo”. Ma la nazione di contorno narrata in Million Dollar Baby altra non può essere che l’America, la terra che da un po’ di tempo a questa parte ha cessato di essere quella delle “possibilità”. Se il sogno era quello di riuscire, grazie al capitalismo, ad assicurare una possibile ricchezza e rivalsa sociale per tutti, non ve ne è traccia in questa pellicola. Dove l’emancipazione e il guadagno vengono raggiunti esclusivamente attraverso lo sport. E, dati i presupposti, sembra di assistere alla realtà romanzesca di certi indigenti immigrati o a quella “affamata” dei giovani dell’est Europa. Solo dopo aver imparato a prendere, e qualche volta a darle, su quel grande ring che è la vita Maggie, la protagonista del film, riuscirà ad accettarsi ed accettare il mondo in cui vive e dal quale sogna di evadere a suon di pugni.
Dimenticate il patetico dramma a buon mercato del primo Rocky (1976), le poetiche figure dei boxeur squattrinati ma affascinanti. Eastwood ha girato un film sulla rabbia della rivalsa sociale, una storia fatta di vecchi perdenti che paradossalmente sono i soli a offrire un’opportunità a chi faceva da sguattera in un caffè della provincia fin dalla prima adolescenza.
E Maggie, vittima di un mondo che non la vuole, che la vomita quotidianamente come un cibo indigesto, vede nel vecchio Frankie e nel suo compare Eddie i suoi maestri e nella cadente palestra Hit Pit la sua scuola. La sua è una scalata fatta di piccoli passi, di entusiasmi e ferite, con l’unica certezza del non ritorno [spunti critici da Armando As. Chianese (da www.cinecriticaweb.it del gennaio 2010)].

Che tipo di rapporto intercorre tra Frank e Maggie? Clint Eastwood nelle interviste si diverte ad usare la definizione di storia d’amore. Lo è, probabilmente più nella direzione di rapporto di padre – figlio adottivo (come anche in Un mondo perfetto, Gran Torino, solo per fare due esempi di film che conosciamo bene).
Qual è il rapporto con il tempo? Il tempo non passa invano, i segni restano sempre visibili, come la lontananza dalla figlia per Clint e l’occhio cieco per Freeman.

Million Dollar Baby (e in genere il cinema di Clint Eastwood) è cinema moderno (o postmoderno, o quello che preferite) perché arriva ad una sintesi, ad una contaminazione tra la struttura della messa in scena del cinema classico, la struttura del racconto del cinema della “nuova Hollywood” e tematiche contemporanee, come l’eutanasia, la sofferenza delle classi meno agiate, e la difficoltà (se non l’impossibilità) di pensare ad un happy end.

1 Comment

1 Comments

  1. La Redazione

    3 Agosto 2021 at 20:28

    Per completezza d’informazione forniamo anche il seguito delle notizie riportate nell’articolo.

    Irma Testa battuta ai punti: “Resta il podio, ora lo sento mio”
    L’atleta di Torre Annunziata sconfitta in semifinale dalla filippina Petecio. La sua medaglia di bronzo è la seicentesima della storia olimpica italiana.

    Articolo dell’inviato di la Repubblica, Cosimo Cito, del 31 luglio 2021
    Al link:
    https://www.repubblica.it/dossier/sport/olimpiadi-tokyo-2020/2021/07/31/news/olimpiadi_boxe_irma_testa_bronzo_petecio-312525461/

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top