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La letteratura religiosa, specie quella biblica, deborda di allocuzioni profetiche e, di conseguenza, i profeti hanno molteplici menzioni.
Sempre apodittiche, inscalfibili alla critica, le profezie nella forma sono dure come roccia, nella realtà sono acqua che scorre. Per dire che sono espressioni tanto tonanti quanto vacue, all’apparenza illuminanti ma inconcludenti nei fatti.
I fatti. Sono proprio i fatti a dimostrare l’inconsistenza degli aforismi profetici. E chi li profferisce ha della realtà dei fatti una conoscenza distorta. Chi sono costoro? Sono i professori. Logorroici, sensazionalisti, sanno tutto, disquisiscono su tutto, anzi più l’argomento è intrigato più dispiegano teorie chiarificatrici. Di nulla perché manca loro l’esperienza dei fatti, come verifica di quanto argomentato.
Li chiamo professori, con una espressione comprensiva e non perché siano tutti uomini di scuola. Sono professori perché tali appaiono: possessori dello scibile.
Ma non è neanche questo il tratto più deprecabile e oggetto di scherno. Quello che li caratterizza ulteriormente è la refrattarietà che mostrano verso la critica. Vogliono apparire come uomini dalla scienza infusa, come si diceva da piccoli.
Inoltre la permalosità caratteriale li rende socialmente individualisti. O si conviene con loro o si offendono e abbandonano il campo.
Stanno infatti sempre al margine, non condividono l’arena. Intervengono come risolutori. Non ricevano il consenso sperato e si allontanano mugugnando. La loro analisi è tanto spietata quanto non piantata sulla situazione di fatto. Per cui appare rigorosa ed è semplicemente inefficace, perché inattuabile.
I professori sono rompiballe. Sempre a tagliare il capello e mai inclini alla mediazione. A meno che non scenda in campo l’interesse proprio. Allora gli argomenti si flettono, divengono malleabili, perfino ribaltabili. All’asciutto rigidi, a mollo nell’interesse si piegano, si scappellano, si vendono.
Io, che a questa categoria sono affine, ne conosco uno che sembra una roccia, ma frana davanti a chi gli concede l’autorizzazione; grida coerenza e si vende per un riconoscimento pubblico. E’ cane che abbaia. Dunque non morde. In più rimane cane.