di Silverio Lamonica
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Bellissimo il ricordo d’infanzia riportato da Franco De Luca della barchetta, realizzata dal nostro amico comune Silverio De Luca.
A pensarci bene, si trattava di una “bagnarola ante litteram”, la cui gara si svolge a Sant’Antonio nell’ultima settimana di maggio (digita “gara delle bagnarole” in “Cerca nel Sito”).
Anche mio fratello Francesco ed io (si era agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso) cercammo di realizzarne una… ma in ferro! ’
A varca ’i fierre.
Costruivamo spesso dei modellini di barchette in latta: toglievamo con l’apriscatole i due coperchi del barattolo e poi, con un coltello, aprivamo il cilindro, ricavando così il foglio di latta rettangolare. Logicamente usavamo anche un martello con cui colpivamo il coltello a lama spessa, che pian piano si faceva strada, sezionando la lamiera.
Una volta ricavata la latta rettangolare, la piegavamo in due, facendo combaciare le basi maggiori tra loro, ripiegavamo su se stessi i bordi laterali, quindi allargavamo il manufatto ed ecco realizzata la “barchetta” che poi affidavamo alle acque del torrente che scorreva nella Padura, proprio davanti casa, dove noi abitavamo.
Giunse l’estate del 1951. Mio fratello ed io pensammo di realizzarne una molto più grande per “solcare i mari”. Approfittammo dell’amicizia di Silvestro Feola, figlio di Frank Feola, allora proprietario della centrale elettrica e della “ascendenza” di nostro padre Fausto, che allora svolgeva le mansioni di ragioniere della Società Elettrica Ponzese. Riuscimmo in tal modo ad ottenere un vecchio fusto di nafta, logicamente vuoto ( allora la nafta veniva portata in centrale in grossi bidoni di ferro).
Così, seguendo lo stesso procedimento dei barattoli di latta, cominciammo l’opera, usando un martello e un robusto scalpello in ferro. I colpi si sentivano per tutta la vallata. Papà e mamma (soprattutto) ci lasciavano fare, preferendo udire quel fragore, piuttosto che vederci andar via per giocare chissà dove. Ma ad un certo punto Silvestro intervenne, non riuscendo a schiacciare il pisolino pomeridiano (abitava nei pressi, nell’appartamento al primo piano, sopra l’attuale negozio di frutta e verdura di Marcone). Per fortuna eravamo alla fine dell’opera.
Però la cosa più difficile era piegare quella spessa lamiera di ferro, di per sé incurvata; era un lavoro improbo far combaciare le basi maggiori, come per la latta dei barattoli di cui sopra ed era poi impossibile ripiegarne i bordi laterali, per consentire un minimo di impermeabilità.
Ecco l’idea: chiedemmo a nostro fratello Peppino, ottimo carpentiere, di fornirci due assi di legno, da sistemare ai due lati per rendere impermeabile lo scafo.
Ma Peppino – che attualmente vive in Corsica, dove il mese scorso ha raggiunto il secolo di vita – ci dissuase: non si poteva garantire l’impermeabilità a quello strano natante. Piuttosto ci assicurò che aveva intenzione di costruire una barca vera, ne aveva già parlato con nostro fratello Tommaso. Infatti, dopo qualche mese, proprio in una delle stanze di casa nostra, mise “in cantiere” una barca in legno che fu poi varata l’estate successiva e alla quale Tommaso diede il nome “Lete”, il fiume dantesco dell’oblio.
Con ciò, archiviammo nel dimenticatoio ’a varca ’i fierre.