a cura della Redazione. Di Antonio De Luca, con autorizzazione dell’autore.
L’occhio della balena ci guarda. Achab siamo noi. Ismaele è fuggito
di Antonio De Luca
Considerazione surrealista di un poeta sulla venuta di una importante balena grigia nel mare di Ponza, dopo aver girato quasi tutta la terra.
Già dal suo primo apparire, nelle immagini inviatemi da un amico, sono stato preso da una infelice incoscienza, che col trascorrere delle ore si è tramutata in una riflessione felice, perché letteraria e poetica.
Io amo i cetacei a cui ho dedicato viaggi, poesie e letteratura.
Si sa che i cetacei hanno una particolare intelligenza, molto simile a quella degli umani. A riguardo la scienza illumina e manifesta.
La letteratura ha scritto e sviluppato di questa intelligenza, facendo opere di importanza strategica per il pensiero umano. Pensiamo al capolavoro letterario di Herman Melville, Moby Dick, oppure alla trasposizione cinematografica de Il faro delle orche, storia di uomini, orche e bambini.
Oppure ancora I segreti delle balene, dove il regista ambientalista James Cameron in circa 4 anni di studio e riprese negli oceani del mondo, ci porta nel meraviglioso mondo delle balene, nella loro vita.
I segreti delle balene racconta una realtà ancora a noi inimmaginabile e sconosciuta, che molto deve far riflettere.
Le balene come gli umani hanno capacità di stringere amicizie per tutta la vita. Insegnano ai loro piccoli l’eredità del clan e le tradizioni, come noi ai figli, all’interno delle nostre famiglie. Esse hanno una grandissima capacità di comunicare tra di loro.
E inoltre è dimostrata la sofferenza profonda per la perdita dei loro cari.
Le balene amano per tutta la vita, tutte queste opere sono storie realmente accadute e veritiere, con una documentazione storica scientifica e letteraria.
Melville attinge dai racconti orali dei superstiti della baleniera Essex.
La storia viene poi descritta dettagliatamente dal primo ufficiale della Essex, Owen Chase, nel libro Il naufragio della baleniera Essex, praticamente un diario di bordo.
Chase fu tra i pochi a sopravvivere all’immane avventura.
Così anche per Il faro delle orche, la storia si basa su fatti realmente accaduti.
La balena bianca, nel diario di Chase, cioè un capodoglio albino, dimostra un’intelligenza straordinaria nei suoi atteggiamenti e soprattutto nella sua ragione.
Egli vendica l’uccisione da parte della baleniera Essex di un branco di capodogli, di cui egli faceva parte, esattamente una decina di femmine e cuccioli, al largo delle isole Encantadas, divenute poi le Isole Galapagos.
Il capodoglio studia attentamente come effettuare la sua vendetta, oppure possiamo pensare, come continuare a vivere nel suo destino.
E fino alla fine egli assiste al succedersi dei fatti tragici.
Sta lì, nuota intorno alla baleniera, intorno agli uomini ormai naufraghi.
Sta a controllare che tutto accada secondo la sua volontà, secondo il fato a cui quegli uomini sono destinati.
Ma non solo guarda spietato e lucido, dove dimostra una intelligenza pensante, gli accadimenti fino all’affondamento della baleniera, e gli uomini sulle lance.
Egli ricompare, e si fa notare volutamente, anche dopo giorni, quando gli uomini sono alla deriva, e già presi da panico e disperazione, con una morte annunciata all’orizzonte.
Ma questa volta il capodoglio non interviene, interagisce con gli uomini solo attraverso la presenza.
Ed escono gli occhi dall’oceano del capodoglio a farsi vedere, come racconta Chase, da quegli uomini preganti e disperati.
Egli impassibile, come il peggiore dei destini, assiste al dolore, alle imprecazioni, alle preghiere, alla tragedia imminente che l’uomo stesso dell’Essex si è procurato.
Gli occhi del futuro Moby Dick letterario, gli occhi di quegli uomini disperati che il destino darà ad una sorte drammatica finale, si incrociano, si spiano, si guardano in mille pensieri.
Non sarà felice neanche la sorte di quei pochi che riescono a salvarsi.
Uomini e il leviatano si guardano, e il loro pensiero si incrocia sull’accaduto, e su quel divenire del pensiero di entrambi, durante il corso del destino che sta per compiersi.
La storia nel Faro delle orche, non assume un carattere drammaticamente melvilliano finale.
E’ la storia di un uomo che in un incidente aereo perde la famiglia, ma lui viene salvato da un’orca che lo trascina sopra una spiaggia nella penisola di Valdez, nella Patagonia centrale.
Nel 2008 feci un viaggio in questi luoghi, vidi le orche che mangiavano le foche sulla spiaggia vicino al faro, ma non vidi passare balene, non era la stagione.
Ma al ritorno a casa, dopo pochi giorni, due balenottere comuni, nuotarono a lungo sotto la mia casa sulla scogliera.
Che strano destino pensai. Esiste un dio delle balene.
Le balene vivono in società molto vicino agli umani, con legami di famiglia e una cultura condivisa. Esse hanno radici ancestrali.
Ritornando alla storia delle orche del faro, in futuro, quell’uomo e l’orca sarebbero diventati amici. Si frequentano e interagiscono tra di loro, fino alla fine della loro vita.
L’orca e l’uomo si cercheranno ogni giorno, nuoteranno insieme in un dialogo che va oltre una semplice sceneggiatura cinematografica.
L’orca cerca la presenza dell’uomo che ha salvato, lo attende e ogni volta gli manifesta il suo interesse, la gioia di rivederlo.
Per l’orca quell’uomo appartiene al suo mondo. Queste storie sono estremamente vere.
Melville intorno al racconto del primo ufficiale della Essex, imbastisce il suo capolavoro, la sua Odissea omerica, dando a noi lettori, non un vangelo ma un trattato di spiritualità, di metafisica, un’anteprima dell’esistenzialismo sartriano.
Melville pare vuole suggerire qualcosa ogni volta che lo rileggiamo, e lo fa con acuta scaltrezza, rimandando sempre ad un dopo che bisogna capire.
Non bisogna mai capire il tutto, perché non si finisce mai di capire.
Un’opera che fa riflettere continuamente sulle condizioni dell’ uomo di sempre.
La sua esistenza scaturita dagli atteggiamenti e dal pensiero evoluto nel divenire della vita.
Uomini e balene uniti da un identico destino in una natura non più benevole ma nemica.
L’uomo sulla lancia, in balia dell’oceano e del suo ignoto, non è più l’eroe di Dio che lo ha giustificato e continua a perdonare, ma si fa antieroe per sopravvivere, diventa il Nessuno omerico in un certo qual modo.
Si annulla perché vuole vivere, ma anche perché sa che deve morire.
Un marinaio sulla lancia preferisce uccidersi.
L’uomo naufrago, che sia l’Ulisse omerico, o il Leopold Bloom, nell’Ulisse di James Joyce, non ha più nessuna natura o cosa da assoggettare, ma egli stesso diventa un semplice oggetto, una cosa seppur pensante, di una natura che può sterminare il tutto e farlo scomparire.
E nulla rimarrà più di esso, se non una memoria pavesiana.
Consideriamo che Cesare Pavese fu il primo a tradurre in italiano Moby Dick.
La balena bianca, sia quella vera di Chase, che quella letteraria metafisica di Melville, ammoniscono e predicano il destino dell’uomo nella natura dove egli stesso si crede padrone assoluto e immortale, protagonista a cui tutto è concesso.
Quale Dio predica che ogni cosa da lui creata è al solo servizio dell’essere umano, e che l’uomo può assoggettare a proprio piacimento senza a nessuno dar conto. E che di questo miracolo creativo, l’uomo può fare tutto ciò che la sua mente perversa lo autorizza.
Che nome ha questo Dio che autorizza l’uomo ad asservire la terra e tutte le sue creature, alla sua volontà?
Ismaele, l’unico scampato nel Moby Dick di Melville, predica e denuncia tutto ciò, e mette in guardia questo essere vivente chiamato solamente uomo.
Ismaele oggi è un uomo uscito dalla scuola di filosofia di Francoforte, che denuncia le storture del pensiero di quest’uomo moderno e non solo, fagocitato da una falsa modernità.
Un pensiero che così avvia l’essere a comportamenti che lo portano ad una inevitabile tragedia. Forse è un percorso annunciato di una fine lenta e inesorabile.
Proprio come i marinai della Essex, che per circa due mesi sono in balia di un destino, che preferiscono la morte alla vita, quello che si prospetta a noi oggi? Forse ci salverà Albert Camus? Moby Dick, come Camus e Sartre, mette l’uomo davanti all’ignoto, e gli pone delle domande.
Il suo tragico destino è il suo essere libero? Uomo dove vuoi andare, qual è questa strada che tu stai cercando?
Ebbene, tornando a questi giorni, a queste ore di gioia ed emozioni, una balena grigia attraversa tutti gli oceani, passa per capo Horn e poi il difficile stretto di Gibilterra, congestionato di navi, e poi scansa tutte le reti dei pescatori mediterranei o funi e plastica abbandonate galleggianti, e arriva a pochi metri da una spiaggia famosa.
E’ l’antica spiaggia libera dei ponzesi.
Qui si ferma, nuota a riva, poi va sotto le case dell’antico villaggio dei pescatori di inizio secolo, si mostra per un lungo tempo, il suo corpo si divinizza allo sguardo di chi la vede muoversi solitaria nell’acqua, leggera, elegante, danzatrice di oceani.
Il suo respiro sale nel cielo, potente come solo una creatura illibata di dio può fare. Essa non conosce il male.
Un tempo, il suo, in questo mare di Ponza, che in poesia si fa immortale, e diventa destino, parola, pensiero, suono primordiale, quindi mito.
Poi questa balena prosegue il suo viaggio vagabondo. Arriva nelle acque campane di Baia, si avvicina ad una barca, mostra per intero il suo corpo, chiede di comunicare, facendosi accarezzare lungamente da una donna, come se fosse una bambina, le due si guardano con profonde espressioni e lanciando i loro sentimenti.
La voce dolce della donna, sembra commuovere la balena che continua a cercare il contatto fisico con la mano della donna sulla barca.
Ebbene questa balena, che è vagabonda per i mari della terra, io la chiamo Moby Dick, e con lei mi ritorna tutto ciò che Melville vuole dire.
E Melville come i grandi della letteratura, non smette mai di dire.
E’ scritto nelle profondità e negli abissi dove vivono le balene il destino dell’uomo.
Un nostos omerico, la presenza della balena grigia, dalle acque della California al Mediterraneo.
Perché Moby Dick è immortale.
Invece, di quest’uomo moderno ultimo, così evoluto mi nascono seri dubbi.
L’abisso su cui viaggia la balena grigia di Frontone è lì in attesa, immobile.
Il suo occhio ci scruta, sembra dire qualcosa. Le balene non parlano ma dicono.
Oggi Moby Dick non trascina Achab con sé negli abissi, ma lo guarda nel suo misero esistere, perché Achab può andarci da solo nella notte finale.
Oggi le balene ci guardano. Hanno pietà di quest’uomo.
Tocca al lettore di Melville o Joyce capire il significato. Quello ultimo.
Di Antonio De Luca. In condivisione con www.h24notizie.com del 20 aprile 2021