di Francesco De Luca
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Meno male che c’è il vento a scorrere fra i nostri vicoli sporchi d’incuria e di spossatezza. Nessuno li pulisce e nessuno li abbellisce di sorrisi. Giacciono, ai venti.
E sentono vanterie di politici in disuso, malignità di vecchi arroganti, sproloqui di giovani rampanti in vena di ruberie.
Questo vento, umidiccio e sapido, in compagnia di centraualle (upupa), ruscigniuole (usignoli), cucciarde (allodole), si intrufola nelle strettoie, rosica la muffa, smuove i riposti miasmi. Risveglia l’istinto nella gatta sureciara (cacciatrice di topi) che ghermisce i corpicini stanchi di quei batuffoli di penne, sull’isola in cerca del primo ristoro dopo la traversata del mediterraneo. Trascina via il vecchio dell’inverno, questo vento, i malumori della sofferta pandemia, le sciocche pretese e gli insulsi chiacchiericci.
Ci sarebbe bisogno di una iniezione di allegria. Ma il sociale è avvilito dal battibecco stantìo delle parti contrapposte, incapaci di sentire in questo momento di tristezza sociale il bisogno di aprirsi alla solidarietà. Con l’incipiente primavera che mitiga il freddo, riscalda i tetti, invita ad aprire porte e finestre; con l’ilarità dei fanciulli, più arditi nei giochi; con la delicatezza degli adolescenti.
Ne ho visti due, mano nella mano, giù la banchina. Lei, minuta e graziosa, lui, grosso e protettivo. Una garzetta bianca, spaesata nello scalo a mare, attirava l’attenzione ma la bellezza, pudica e composta, la davano loro. Una bellezza, allegra, malinconica e fugace.
Ascolta: Alleria di Pino Daniele