di Luciana Castellina, segnalato dalla Redazione
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Questo intervento di Luciana Castellina è tratto dall’ultimo numero di “Infiniti Mondi”, la rivista diretta da Gianfranco Nappi e Massimiliano Amato.
Io appartengo a una generazione comunista abituata ad affrontare le grandi questioni storiche, perché così ci aveva educato il PCI. E fra queste, in particolare – per il rilievo che aveva sullo stesso terreno politico della nostra iniziativa pratica – la questione cattolica: un problema centrale, ci aveva fatto capire Gramsci, e con cui molto aveva dovuto ragionare Togliatti nel definire la sua “via italiana al socialismo”. Ed è proprio fra il finire degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, che, con un altro fantastico Papa, Giovanni XXIII, e la radicale svolta impressa al cattolicesimo dal suo Concilio Vaticano II, cominciammo anche a leggere le Encicliche; e persino a seguire una rivistina chiamata Concilium che ci offriva il meglio del pensiero dei teologi di tutto il mondo. Ed è quello il periodo, infatti, che, anche per la spinta portata nel partito da molti giovani credenti entrati nel PCI, che nelle Tesi per il IX Congresso fu inserito uno storico capoverso in cui si riconosceva che “una sofferta coscienza religiosa poteva rappresentare un “contributo alla battaglia anticapitalista”.
Non si trattava più, insomma, soltanto di una vicinanza sociale con le masse cattoliche per lo più contadine, alleato potenzialmente assai più sicuro che non i ceti medi laico-liberali, ma di una consonanza con la loro religione .
Questa lunga premessa per dire che ero da tempo preparata ad accogliere con interesse le parole di un papa. E però non mi sarei mai aspettata che da un signore pur sempre vestito con quegli assurdi paramenti colorati sarebbero venute parole e concetti a me così prossimi come quelli che in questi ultimi anni ho visto in bocca a Bergoglio. Concetti e parole, ho detto, perché contano certamente soprattutto i primi, ma è altra cosa se per esprimerli si usano parole come queste, dette per spiegare cosa vuol dire accostarsi al “vicino diverso”: occorre, dice Bergoglio, “un dialogo paziente e fiducioso”, un’esortazione che molto brevemente prende in conto che siamo esseri umani pieni di difetti – perché è così vero che ci spazientiamo quando abbiamo a che fare con qualcuno che non ti capisce subito, perché è abituato ad altri valori e comportamenti; e però tu devi invece avere fiducia, vale a dire accettare un tempo più lungo per capirlo, ma poi lo capirai. O, ancora, la “libertà non è il diritto ad averla”, una sentenza semplice e straordinaria per denunciare l’ipocrisia su cui si fonda tutto l’Occidente.
Parlando recentemente dei discorsi di papa Francesco, Niki Vendola, cresciuto allievo di don Tonino Bello, il grande vescovo di Molfetta, dice che papa Bergoglio gli somiglia perché ambedue “hanno cura delle parole”; e aggiunge: “perché sono le parole che costruiscono le relazioni del mondo”. Potrebbe esser presa per un’ovvietà, e invece lo è tanto poco che da quando ho letto quel passaggio indago quello cui rivolgo la parola, e ognuno mi appare più persona, il nostro scambio ha preso il peso di una relazione che se non ci fosse non ci sarebbe neppure l’umanità.
Debbo dire che per via delle Encicliche recenti ho cominciato ad apprezzarne una già al tempo di papa Ratzinger che pure, quando fu nominato, ci era apparso così lontano, tant’è vero che, per sottolinearne l‘estraneità, il Manifesto intitolò “il pastore tedesco”.
Fu per caso che scoprii che era un umano ironico e spregiudicato. È accaduto perché dovevo scrivere una delle “dieci lezioni sull’amore”, un libro collettivo edito da Nottetempo, che poi recitammo addirittura in teatro, prima a Roma e poi a Milano (fra noi anche una eccezionale Franca Valeri): ad ognuno era stata affidata una parola attinente a questo sentimento: gelosia, tradimento, passione, ecc. A me era toccata proprio quest’ultima, passione. Cercando ispirazione nella navigazione in rete mi imbattei così nella parola “amore” riferita a una recentissima Enciclica di Ratzinger, che proprio questa parola aveva come titolo. Vi scoprii una assai interessante disquisizione sull’eros (non sto a raccontarvela perché è molto lunga) che contiene la smentita che la Chiesa l’abbia condannato, giacché l’amore fra uomo e donna, archetipo per eccellenza di questo sentimento, si fonda sull’idea che corpo ed anima concorrano inscindibilmente; e che, anzi, l’umano sia tale solo se i due aspetti sono compresenti. E poi Ratzinger diventa addirittura spiritoso e ironizza sulla vulgata che vorrebbe i cristiani ascetici, l’epicureo Gassendi che incontra Cartesio e gli dice “ciao anima” e questi gli risponde “ciao corpo”.
Non ho mai più approfondito il pensiero del papa tedesco, ma quando ho recentemente visto il film “I due papi” ho capito che Ratzinger non era affatto estraneo alla scelta del suo successore: un regalo fantastico.
Diffidavo, all’inizio, di questo nuovo papa argentino. Per colpa dei miei amici di sinistra di quel paese. Temevano fosse stato scelto per imbrogliare le carte e affossare la Teologia della Liberazione dell’ala rivoluzionaria della Chiesa latinoamericana, con la quale Bergoglio non aveva effettivamente mai avuto rapporto. Fui subito rassicurata da Adolfo Perez d’Esquivel, premio Nobel per la pace e amico di Bergoglio, con il quale avevo un lungo rapporto di amicizia e collaborazione essendo lui stato presidente e io la sua vice nella Lega per i diritti dei popoli, uno degli organismi della“triade”fondata da Lelio Basso. Avevo piena fiducia in lui e gli credetti, in seguito non ebbi che esaltanti conferme.
La prima fu la lettura dei suoi discorsi ai movimenti popolari, radunati quasi ogni anno: quasi gli stessi con i quali noi ci eravamo incontrati a Porto Alegre, all’epoca dei Forum sociali mondiali. Il più importante fra questi i Sem terra, con il loro capo, Joao Pedro Stedile. Mi colpì in particolare l’ultimo, pronunciato all’assemblea tenuta a Roma, in cui il papa disse una cosa che rappresenta un salto qualitativo rispetto a quanto detto precedentemente da ogni suo pur avanzatissimo predecessore.
Parlando dei poveri, osservò che il problema non era fare una politica “per” i poveri, ma “dei” poveri. Affermava cioè un concetto politico molto avanzato, e fra quelli oggi più dimenticati: non basta la carità, i poveri devono acquisire soggettività, diventare protagonisti di una loro politica. Poco dopo, a scanso di equivoci, aveva ripetuto il concetto in forma più diretta dicendo: ragazzi, la carità è una bellissima cosa, ma ci vuole la politica! Una frase che da allora ripeto sempre perché negli ultimi tempi c’è stato anche da noi un grande slancio solidaristico e un parallelo distacco, se non rifiuto, della politica.
È proprio in questa sua ultima Enciclica, “Fratelli tutti”, che Francesco prende di petto la politica in forma diretta; e, in un modo, che a me non credente, e persino comunista, me lo fa sentire davvero fratello. Perché con acutezza avverte che “il modo migliore per dominare è creare sfiducia”. È un modo straordinario di dire quello che nel nostro gergo “di globalizzati ma non vicini” traduciamo con T.i.n.a, il famoso “there is no alternative “, il motto micidiale, perché paralizzante, usato dai potenti per scoraggiare ogni rivolta.
E’ in effetti papa Francesco che ha riportato all’attenzione, in questo nostro così’ desolante tempo di oscuramento del suo ruolo, la politica intesa come fare dei soggetti che ne hanno più bisogno. Attento a condannare con decisione la sua deriva populista, contro cui mette subito in guardia, innanzitutto – scrive – non solo perché passivizza il popolo, ma ”perché strumentalizza la cultura del popolo inducendola a porsi al servizio della propria permanenza al potere”.
Se in “Laudato si’” è fortissima la denuncia contro il dissesto della terra che, senza giri di parole, il papa imputa al dominio del mercato, al profitto, in “Fratelli tutti” insiste sempre più sulla soggettivazione degli sfruttati: ”Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano – scrive – sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazione. Dobbiamo essere parte attiva della rivitalizzazione e nel sostegno della società ferita. È possibile cominciare dal basso e caso per caso lottare per ciò che è concreto e locale.” E però, ben più avvertito di tanti nostri compagni sedotti dal comunitarismo al punto di denunciare non solo ogni sovranità più estesa del Comune, non solo l’Europa ma finanche lo stato nazionale, subito aggiunge: e però ”attenti al locale, potrebbe farci cadere nella meschinità.” ” Fra localizzazione e globalizzazione deve esserci sempre una tensione, si tratta di due poli inesorabili ”. Perché “ bisogna farsi interpellare dall’altrove” e, del resto, oggi “nessuno stato nazionale sarebbe in grado di provvedere a sé.”
Coerentemente con questo richiamo al mondo, contro il revival delle chiusure comunitarie, se la prende giustamente contro l’esaltazione delle differenze culturali, un diritto di ciascuno reclamare la propria, ma non per chiudervisi dentro, perché, al contrario, bisogna cercare l’innesto, la contaminazione: le culture non sono come le piante che in nome della biodiversità vanno preservate come sono, debbono confrontarsi positivamente, perché quella dell’altro – come diceva il grande intellettuale palestinese Edward Said – “è una risorsa critica di se stesso”, e senza questo esercizio perderebbero la loro funzione antropologica.
La sua conclusione è fondamentale: l’universalismo non è un male in sé, dobbiamo anzi lottare per costruirlo, perché oggi non c’è, quello che viene spacciato per tale è solo quello definito dall’”occidente”, che forgia arbitrariamente concetti e valori, grazie al monopolio della comunicazione.
Io non so dire oggi cosa potrà produrre la predicazione di Papa Francesco nella storia terrena, la sola che io conosca. Credo che il suo evangelio sia una fortissima sollecitazione a riprendere il coraggio di tornare ad osare immaginare l’alternativa, a riaprire l’orizzonte del possibile. C’è il rischio che la lotta di classe, il conflitto, che nella nostra cultura abbiamo considerato giustamente motore della storia, vengano affogati in un amore disarmato e disarmante? Non lo credo. Conflitto non è odio neppure per noi, e la lotta di classe è essenziale per debellare l’arrogante primato del “terribile diritto di proprietà” che papa Francesco considera “ diritto quasi secondario”, quasi un furto, come diceva Proudhon, per chi crede come lui che i beni della terra siano comuni, e l’eventuale elemosina una restituzione. ”Non bisogna tranquillizzare i poveri – scrive nel finale di “Fratelli tutti” – con strategie di contenimento che rendono i poveri addomesticati e inoffensivi”. Sono parole che danno indicazioni non lontane dalle nostre.
Se oggi è possibile trovare una tale consonanza con il capo supremo di una Chiesa che per secoli ha preso le parti dei potenti, è perché il mondo è diventato così ingiusto e diseguale da aver scosso anche il Vaticano; e a me piace pensare di avere un Pontefice che “lotta assieme a noi”.
vincenzo
26 Marzo 2021 at 12:10
La comunista scopre il papa Bergoglio, il quale lancia messaggi ecumenici, la pace tra i popoli, la fratellanza tra gli uomini di buona volontà.
”Non bisogna tranquillizzare i poveri – scrive il papa nel finale di “Fratelli tutti” – con strategie di contenimento che rendono i poveri addomesticati e inoffensivi”.
Ma a chi li rivolge questi messaggi, ai cristiani di tutto il mondo: unitevi in nome di Dio? Ma per fare che cosa? Cercare di esseri migliori. Migliorare se stessi per migliorare il mondo? Oppure per fare la rivoluzione contro il potere che ci sta annichilendo?
Vedete in giro preti rivoluzionari?
Termina Luciana Castellina: “A me piace pensare di avere un Pontefice che ‘lotta assieme a noi'”.
Io speravo che una anziana signora che si definisce comunista dicesse: “Dove sono andate a finire le nostre lotte, per la giustizia e la libertà. Dove sono finiti i diritti dei lavoratori, che un tempo avevano una dignità riconosciuta dai nostri ideali e dalle nostre lotte? Gli uomini sono tutti uguali”. Mi sarebbe piaciuto sentire che “i nostri politici, quelli che ritenevamo essere i nostri rappresentanti hanno tradito, si sono votati al nemico, hanno tradito la Costituzione. Quella Costituzione che era un progetto di vita anche spirituale per gli italiani e per l’umanità”.
Il papa indica i mali ma non il male. Non indica il diavolo ma solo le diavolerie.
Il diavolo è il denaro, e questo mondo ne ha fatto il suo idolo. Mosè, se scendesse di nuovo dalla montagna, troverebbe miliardi di uomini a venerare il Dio denaro.
Il Papa non dice: “Abbiamo dimenticato Dio in nome del Denaro. E il denaro è manovrato da una élite per rendervi schiavi e asserviti al loro potere”.
Il papa dice belle parole, ma da una comunista mi aspettavo che dicesse: “La lotta di classe l’hanno vinta i capitalisti. Rispettiamo il papa, perché parla di pace e fratellanza, ma rileggiamo Marx che rimane il nostro profeta”.
Sandro Russo
26 Marzo 2021 at 23:50
Appena mi capita l’occasione, per una pur lasca attinenza con il tema trattato, infilo sempre qualche “perla” del Serra-pensiero… Qui a proposito del potere in Russia, dall’Amaca del 18 marzo scorso
L’amico Putin e la democrazia
di Michele Serra
Che Vladimir Putin, ex iscritto al Pcus, ex dirigente dei servizi segreti sovietici, sia tra i leader più acclamati della destra mondiale, fautore attivo dell’ascesa di Trump, idolo dei sovranisti d’Europa, “amico Putin” del Berlusca, ora del Salvini, è cosa che fa molto riflettere: specie noi nati nei ruggenti Cinquanta, nel pieno della Guerra Fredda, quando il braccio di ferro tra America e Russia incarnava lo scontro titanico tra capitalismo e socialismo. Con il suono dell’Internazionale nelle orecchie, mai avremmo potuto pensare che la Russia si sarebbe contrapposta all’America, di lì a breve, nel nome del nazionalismo; e per conto della destra mondiale riorganizzata su basi autocratiche, antieuropee, tradizionaliste, religiose (nel senso confessionale del termine), plutocratiche. Invece è proprio così che è successo. E i pessimi rapporti tra Biden e Putin dicono che niente come un democratico alla Casa Bianca può dispiacere a Mosca, e che l’ostilità è ricambiata.
Il dubbio, non trascurabile, è che il ribaltamento ideologico sia, tutto sommato, abbastanza relativo. Che la carica virale antidemocratica del comunismo sovietico fosse così alta da sopravvivere facilmente alla morte del comunismo stesso, lasciando profonde tracce nelle società dell’Est. Radicalmente mutato l’assetto di potere, dall’oligarchia del partito unico alle oligarchie economiche, che si sono messe in tasca in un baleno l’immenso patrimonio dell’ex Unione Sovietica, affamando gli espropriati come e peggio che nell’epoca zarista, quello che non è cambiato è il nemico: che è la democrazia.
Questo, ovviamente, ce la rende ancora più preziosa.
vincenzo
27 Marzo 2021 at 12:30
Parlavamo del nostro Papa Francesco chiamato in causa da una comunista, Luciana Castellina.
Luciana ha scritto che il papa lotta in mezzo a noi!
Io mi sono chiesto: “A noi chi? Noi pensionati? Noi radical chic?
Noi ultimi della terra? Noi deportati? Noi emigranti? Noi vaccinati? Noi No vax? Noi operai di multinazionali? Noi disoccupati? Noi sottoccupati?
Quanti noi ci sono in questo mondo post-umano?
Sandro sottoscrive un commento non so se indirizzato a me o alla comunista Castellina con il suo solito Serra, che parla di Putin.
Non ho capito: Putin è comunista?
Oppure si vuole dire: “Vi lamentate della nostra democrazia: perché non guardate ad est, dove c’è di nuovo lo zar?”.
Saranno problemi dei russi se Putin non è democratico: noi abbiamo problemi in Italia, dove la marea dei poveri, degli scontenti e degli incazzati si sta ingrossando.
Roma, la Città del Papa, ma anche la capitale d’Italia, è l’emblema di una Italia che non sa più che santo pregare.
Ci sono tanti video di tassisti che girano in rete.
Tassisti che giocano a pallone in Piazza di Spagna deserta.
Negozi chiusi, gente che furtivamente circola con la mascherina, posti di blocco. Si vedono solo farmacie aperte.
Un tassista alle 12 interrogato da un collega dice: “Da stamane ho fatto solo 9 euri: la colpa è dei communisti”.
No amico tassista, i “communisti” non ci sono più dal 1989 in Italia, oggi a “commanna’” c’è Draghi, un ex banchiere sostenuto dai maggiori partiti che vanno dal Pd alla Lega, compresi Cinque Stelle e Forza Italia.
Caro amico tassista, Berlusconi è ritornato al potere e ha detto che questo di Draghi è “un governo di solidarietà nazionale”.
Con chi ce la vogliamo prendere? Ma sì, diamo la colpa a Putin.