di Rosanna Conte
per la prima parte (leggi qui)
Lina (Emanuela Maria Angela), nata nel 1917, apparteneva ad una agiata famiglia sanremese e avrebbe potuto condurre una vita spensierata, dedita al divertimento e ai rapporti sociali gratificanti come fecero molte ragazze borghesi degli anni trenta, senza chiedersi cosa stesse succedendo intorno a lei. Invece Lina aveva uno spessore culturale, morale e politico che le chiedeva impellentemente di agire contro la barbarie nazi-fascista che stava dilagando in tutta Europa.
Lina Meiffret
Parlava correntemente inglese, tedesco e francese, amava la poesia, la filosofia, la natura e aveva frequentazioni non di poco conto, come Italo Calvino, il prof. Amoretti, espulso dal liceo di Imperia per aver rifiutato la tessera fascista, ed altri antifascisti come Aurora Ughes e Dino Giacometti, i nonni del marito di Sarah Clark. Nel giro di case che frequentava è probabile che incontrasse anche il giovane Eugenio Scalfari che andava a lezione da Amoretti.
La sua decisione di agire è da collegare all’invasione nazista della Francia nel 1940. Lina, che era a Parigi perché studiava alla Sorbona, fu costretta a scappare e, tornata a Sanremo, entrò in contatto con i gruppi antifascisti legati alla locale sezione del PCI, a cui lei, convinta marxista, era iscritta.
Iniziò così la sua attività clandestina di partigiana durante la quale agì insieme a Renato Brunati, un giovane scrittore poeta e filosofo, che aveva svolto già in precedenza attività politica recandosi in Spagna per il “Soccorso rosso” (organizzazione internazionale a fini umanitari che forniva assistenza a coloro che, durante le rivolte operaie, erano imprigionati per il loro ruolo nella ribellione, organizzando anche campagne per l’amnistia ai prigionieri condannati a morte)
Renato Brunati
Da Mela, Aspettando aprile cit., p.36
I due giovani, accomunati dalla passione politica, artistica e letteraria, si legarono anche affettivamente e all’indomani dell’8 settembre si attivarono per cercare basi in cui organizzare la resistenza. Lina mise a disposizione la sua villa di Baiardo, distante dieci chilometri da Sanremo, dove venivano raccolte le armi che si riuscivano a reperire e trovavano riparo i fuggiaschi. Fu con questa organizzazione che salvarono anche due ufficiali inglesi sbandati..
Quando furono arrestati, il 14 febbraio del ’44, furono condotti prima ad Imperia dove per diciassette giorni furono torturati dagli aguzzini fascisti ben noti ai partigiani. Lina non scorderà mai né riuscirà mai a far tacere nella sua mente le urla di Renato durante gli interrogatori. Portati poi al carcere di Marassi a Genova, furono separati per sempre.
Renato ne uscì a maggio per essere fucilato, nella zona del passo del Turchino, insieme ad altri 59 prigionieri politici come rappresaglia per l’uccisione di cinque militari tedeschi.
Lina, il 13 aprile, fu mandata in un campo di lavoro in Germania. L’inferno di Marassi, dopo le torture subite ad Imperia, aveva contributo a debilitarne il fisico per la fame (il rancio giornaliero era costituito da acqua calda, un cucchiaio di pasta nera e quattro pezzi di rape) e gli estenuanti interrogatori a cui era sottoposta.
Nel campo di Bietigheim, dove c’erano internati politici, ma anche intere famiglie ucraine deportate, fu assegnata a una fabbrica di cuscinetti a sfera di Stoccarda e la sua salute peggiorava giorno dopo giorno. Il vitto giornaliero, di sette patate cotte e una minestra lunga, forniva ben poche energie per dodici ore di lavoro con soli 20 minuti di pausa. Ed era anche un trattamento di riguardo per i prigionieri italiani, perché i russi e i polacchi, che lavoravano al loro fianco e vivevano nello stesso campo, ricevevano molto spesso una sola patata al giorno e non avevano nemmeno la gavetta in cui raccogliere la minestra né le posate: dovevano cercare nelle immondizie qualche lattina vuota.
Lina fece anche l’esperienza di un campo di disciplina a Oberndorf, nella Foresta Nera. Sveglia alle tre del mattino, appello e quattro giri di campo di corsa, poi al lavoro in una fabbrica di fucili. Rientro a mezzogiorno nel campo dove il povero rancio – acqua, poca pasta e cinque patate – diventava una tortura perché doveva essere ingerito in due minuti ed era bollentissimo. Chi non ce la faceva era accusato di sabotaggio, veniva picchiato e messo in prigione. Si tornava al lavoro per altre sei ore e, quindi un nuovo rancio bollente. Alle sette di sera il silenzio doveva essere assoluto fino alle tre del mattino, pronti per ricominciare. La domenica, giorno in cui la fabbrica era chiusa, venivano mandati ad aiutare i contadini nei campi. Era il giorno in cui potevano mangiare qualcosa in più.
Tutto questo mentre i campi venivano bombardati e nonostante i tentativi di evasione falliti di cui era riuscita, probabilmente, ad informare la famiglia vista la preparazione nel dicembre del 1944 di un documento falso con la sua foto
Documento falso rilasciato dal Commissario Prefettizio del Comune di Ospedaletti
a Lina Meiffret, qui chiamata Emanuela Signorelli
Per gentile concessione di Emilia Giacometti Loiacono
Lina aveva la salute sempre più malferma: le fustigazioni ricevute ad Imperia ne avevano minato il corpo. Dopo l’ennesima visita medica fu tolta dal lavoro di fabbrica e incaricata della pulizia, senza avere acqua a disposizione, dei gabinetti del campo, un campo che ospitava tremila persone.
Come riuscì a salvarsi?
[La gattara di Frontone (seconda parte ) – continua]
Nota della Redazione. Le immagini sono prese dall’articolo di Sarah Clarke “Lina Meiffret: storia di una partigiana sanremese deportata nei lager nazisti e dei suoi documenti” pubblicato nel 2019 sulla rivista Per leggere n. 36.
Polina Ambrosino da facebook
18 Marzo 2021 at 07:52
Ricordo benissimo la signora Scudieri. Era amica di mio zio Tommaso, che veniva a trovare spesso mentre era a Ponza, ed era per me una signora misteriosa. Ero piccola e vederla con il suo fazzoletto – turbante in testa, i grandi occhiali scuri, magra e vestita in maniera così inusuale per una signora in quegli anni, me la faceva sembrare quasi la figura di un romanzo. Non sapevo di questo suo passato, mio zio non ce ne parlo’ mai, almeno a noi nipoti più piccoli. E adesso vorrei tanto averla conosciuta meglio…
Se Ponza avesse conservato quel tipo di frequentazioni, sarebbe potuta diventare una piccola Cambridge italiana…
Fausto Balzano da facebook
18 Marzo 2021 at 07:53
Grazie a tuo zio Tommaso, a cui ero legato da profonda e sincera amicizia, ho avuto modo di conoscere la Signora Scudieri e suo marito che andavamo a trovare a Frontone, sempre via mare perché Tommaso, pur essendo un instancabile camminatore, non amava affrontare, specie in estate, la salita di Frontone. Entrambi i coniugi oltre ad essere persone oltremodo gentili, erano due persone amanti di tutte le cose “belle” e dotati di una profonda cultura che spaziava su tutti i campi del “sapere”. Lui il dottore, medico affermato, non disdegnava di affrontare argomenti quali la astronomia, la botanica, e altre discipline. Così anche la Signora che pur essendo molto preparata in letteratura, non solo italiana, della quale parlava sempre con Tommaso, affrontava senza difficoltà alcuna argomenti come storia dell’arte, quindi pittura, scultura e così via. Dopo la scomparsa del marito la Signora Lina, cominciò ad allontanarsi un po’ di più dalla casa di Frontone e più di una volta, nelle sue passeggiate si allungava fino a casa mia dove, oltre a godere per ore del panorama che definiva meraviglioso, si fermava a parlare con mia madre delle antiche usanze casalinghe e più di una volta ha accettato di buon grado di fermarsi a pranzo e a cena da noi.
La signora Scudieri, quale segno dell’amicizia che ci legava, non mancava mai al suo ritorno da Roma di inviarmi tramite Pierluigi Mazzella, fratello di Gerardo, che lavorava con me in Comune, dei libri che ho sempre tanto gradito e che oggi, alla luce di questo doveroso ricordo, assumono un immenso valore affettivo che rendono ancora attuale nella mia vita la presenza di due persone che, pur nella loro apparente solitudine, non hanno mai vissuto da sole ma si sono sapute accompagnare a valori ben più alti della effervescente mondanità.
Sandro Russo
18 Marzo 2021 at 08:10
Ho letto la bella ricostruzione del personaggio Lina Scudieri fatta da Rosanna e la sua drammatica storia (aspettiamo con ansia di sapere come sfuggì al lager).
Ho letto la storia, dicevo, mentre ero intento a preparare il mio pezzo sulla Bellezza (4). E l’associazione è stata immediata: quale significato di antidoto possono aver rappresentato Ponza e il suo mare, i gatti, la libertà dell’isola per una persona con quel passato! Di quanta Bellezza avrà avuto bisogno, per contrastare quelle cose orrende!?