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Non solo perché domani è l’8 marzo, giornata internazionale della donna, ma anche per questo, voglio segnalare il libro più recente di Michela Murgia “Stai zitta”: sottotitolo, anzi completamento del titolo “e altre nove frasi che non vogliamo sentire più” uscito proprio in questi giorni.
Nel testo, pubblicato da Super ET Opera Viva, l’autrice vuole evidenziare il legame esistente tra le ingiustizie di genere e le parole che permeano il linguaggio. Non a caso in quarta di copertina è riportata una frase lapidaria: “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”. Illustrazione di copertina e vignette contenute nel libro sono di Anarkikka, autrice femminista (facebook.com/anarkikka).
Vediamo prima di tutto quali sono queste nove frasi “insopportabili” e a ciascuna delle quali Murgia dedica un capitolo: oltre a “Stai zitta” esse sono: “Ormai siete dappertutto”, “Come hai detto che ti chiami?”, “Brava e pure mamma!”, “Spaventi gli uomini”, “Le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne”, “Io non sono maschilista”, “Sei una donna con le palle”, “Adesso ti spiego”, “Era solo un complimento”.
“Se si è donna, in Italia si muore anche di parole. E’ una morte civile, ma non per questo fa meno male – afferma l’autrice. E’ con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni… Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti ‘dovremmo dire anche farmacisto’… Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome se non con un articolo davanti… Questo libro è uno strumento che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Ha un’ambizione – sottolinea Michela Murgia -: che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandolo su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno”.
E nell’ultimo capitolo, quello conclusivo che viene dopo le nove frasi più una, sintetizza il senso del suo testo: “Nel momento stesso in cui ho deciso di scrivere questo libro sapevo che ci sarebbe stato qualcuno pronto a dire che non sono queste le battaglie che contano e che, con tutto quello per cui occorre ancora lottare, è quantomeno laterale andare a fare le pulci proprio al linguaggio. La penso esattamente all’opposto. Sottovalutare i nomi delle cose è l’errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto vive quella semantica, che è una tragedia etica… “.
Michela Murgia, nata nel 1972 a Cabras (Cagliari) ha pubblicato nel 2006 “Il mondo deve sapere” che ha ispirato il film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti”.
Per Einaudi ha scritto nel 2009 il suo libro più famoso, “Accabadora”, Premio Campiello e SuperMondello; mentre è del 2011 “Ave Mary”; vive polemiche ha suscitato nel 2018 “Istruzioni per diventare fascisti”. Ha pubblicato anche “L’inferno è una buona memoria” (Marsilio, 2018). Collabora con la Repubblica, l’Espresso, Robinson.
Stefania Anarkikka Spanò, più semplicemente Anarkikka, autrice, vignettista, copywriter, illustratrice grafica, graphic journalist, esperta di comunicazione, da tempo ha intrapreso un percorso di denuncia sociale. I suoi lavori nascono proprio da questo impegno: in particolare si occupa di violenza su donne e bambini, di diritti umani negati. Le sue tavole di Unchildren, E’ nata donna, Non chiamatelo raptus, Violenza assistita, vengono esposte in mostre itineranti durante tutto l’anno.
All’anagrafe si definisce “non più giovanissima, napoletana”.