di Silveria Aroma
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Caterina preparava con cura la valigia. La casa era perfettamente in ordine. Il frigo svuotato e aperto. Accostava gli scuri, chiudeva la porta e prendeva le scale. Arrivata in fondo bussava alla porta della signora Rina e le affidava chiavi e casa da custodire. Non sarebbe tornata prima di tre mesi, giugno era appena iniziato. Sua cognata Lina la seguiva con gli occhi dal balcone di fronte. La sua assenza avrebbe riecheggiato per tutto il rione.
– Lina, ni vidimu, salutava accompagnando le parole con la mano, come dovesse tornare subito dopo la messa o dopo una preghiera a li santi medici. Pochi passi e il piccolo borgo era scomparso, anche il lungomare di Catanzaro sarebbe svanito dai suoi occhi nel giro di qualche minuto.
In treno avrebbe risalito la penisola con le sue calze fine tenute ferme alle cosce da due elastici. Una vedova sola in treno con un coltello nel reggicalze, la prendevano in giro i nipoti anni dopo quei viaggi. Lei non se ne curava, ma sorrideva.
Nella borsa portava una boccetta di vetro rivestita da una patina ruvida e scura con una piccola foto di un fiore al centro, la zagara.
Dal mare passato attraverso il finestrino al mare sul traghetto, silenziosa e composta come era sua costumanza. Una volta sbarcata sull’isola tirava fuori dalla valigia la provola silana legata con la rafia, la salsiccia piccante, la pagnotta gialla di mais e i torroncini di Bagnara: una piccola felicità di sapori.
Come ultimo dono da offrire, prelevava dalla borsetta la preziosa colonia di zagara e la donava a Silvia. La pozione veniva ricevuta dalle mani alle mani, come fosse un rito e da una casa vicino al mare posata in un’altra casa a pochi metri dalla spiaggia, sistemata fra due vecchi lumi sul comò della camera da letto.
Le due donne non si parlavano mai direttamente, in cucina godevano di un notevole affiatamento privo di parole. Non si capivano a verbi. Ciascuna usava il suo duro dialetto denso di grandi immagini racchiuse in brevi suoni. La bimba che le univa fra loro comprendeva la lingua di entrambe e traduceva in caso di necessità. Nei pomeriggi estivi, monete alla mano, andava a prendere un cornetto ciascuna, 350 lire a gelato. Le piaceva restare a guardare le sue nonne sorbire quel morso fresco di riposo comodamente sistemate nelle poltrone di vimini, all’ombra e mute, ma pronte ad alzarsi e a riprendere il lavoro in perfetta sinergia.
A settembre Caterina – Eu?! Ah, focu meo! – tornava al suo mare, nella sua casa marinota. La bottiglietta di zagara restava testimone del suo passaggio estivo.
Silvia non usava la colonia su di sé, la teneva in borsa quando usciva, insieme ad un fazzoletto bianco e fresco di bucato. La nipotina che si portava dietro nelle sue rare uscite soffriva tutti gli odori forti, ed era subito pronta al conato. E lei era pronta a stordirla con un fazzoletto bianco imbevuto di colonia sotto il naso. E si superava così il mare grosso con l’odore di gasolio e vomito, e si superava qualsiasi altro puzzo… con una nota amorevole di profumo.
Nonna Caterina (Titina, Mirarchi Aroma) e nonna Silveria (Silvia, Feola Mazzella), in questa foto già bisnonne.
Sono trascorsi molti anni, la colonia di zagara non riempie più la boccetta vestita di nero, anche trovarla non è più così agevole, ma quel vetro occupa sempre una porzione della mensola verde nel mio bagno, e in alcuni giorni (solo alcuni) esco con due gocce di passato sui polsi.
Maddy
21 Febbraio 2021 at 21:46
Ho lavorato tanti anni nella Pensione di nonna Silvia, la grande nonna Silvia d’u maest’ ‘i Fruntòne. Una donna tutta di un pezzo, la classica matrona in un regno di sole donne.
Bei ricordi di quando la mattina scendevo per servire le colazioni e lei, già di una veneranda età, era sempre la prima ad arrivare: alle 7 in punto. E sempre e solo lei riempiva le grandi caffettiere da 12 tazze per preparare il caffè. Subito dopo già pronta con il suo grembiule bianco a posizionarsi davanti alla grande vasca dove puliva il pesce per la cena degli ospiti della Pensione e per quelli “di passaggio”. Lavoro che faceva solo e rigorosamente lei. E poi le sue frittate… preparate con una maestria unica.
Io e il mio collega Massimo ci incantavamo mentre lei, con l’aiuto di due forchette e l’abilità di un prestigiatore ma senza trucco, girava la frittata senza farla rompere. La sera poi andava a dormire solo quando l’ultima gustosa pietanza era stata servita e non prima di essersi assicurata che il suo staff avesse cenato abbondantemente.
Di nonna Caterina ricordo con affetto il tono di voce con questo forte accento calabrese e la sua grande ospitalità. Per capirla dovevi impegnarti parecchio… il suo dialetto era bellissimo, autentico ma incomprensibile. Bastava guardarla nei suoi occhioni dolci e farsi catturare dal suo sorriso unico e allora anche il dialetto calabrese diventava la tua lingua madre.
Due grandi donne che ricorderò per sempre con immenso affetto e che sono sicura ci guardano sempre da lassù.
Grazie Silveria…