Ambiente e Natura

Le cale raccontano (2). Capo Bianco

di Francesco De Luca

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Io? Chi sono io? Sono quello che, insieme a zi’ Tore, ha lasciato Chiaiadiluna per Capo Bianco. Oggi quella punta non è più raggiungibile via terra. Il sentiero dalla strada stradale scendeva per la cava, e diveniva striminzito sulla cresta da dove ruzzolava sulla punta. Qui, dopo che le acque s’erano intrugliate a dismisura nei giorni precedenti e ora ribollivano sotto la superficie, si andava a pescare con la cannella. Occhiate e saraghi, presi col favore del torbido che ferveva nel represso impeto con la costa.

Capo Bianco

È una caratteristica propria di tutte le punte rocciose dell’isola. Sono spuntoni avanzati sul mare per pescare i padroni illustri di quei fondali. Ma oggi, col traffico di barche, gommoni, motoscafi che gironzolano intorno al periplo dell’isola, intorno ai faraglioni, in cerca di cale e calette, quel punto proteso nel mare è tormentato da cavalloni in modo perenne. Senza pausa passano barche. Come è normale che sia, ma con tutto quel trambusto è impossibile fare il bagno in sicurezza, così come è fastidioso prendere il sole. Anche se, il biancore accecante della roccia e il suo abbraccio asfissiante sono impagabili.
Perché vi sto propinando questo preambolo? Perché su Capo Bianco voglio che conosciate un raccontino. Ma, non ve lo narro io perché non ne sono né il protagonista né un testimone. Lo farà un mio amico. Che ho portato qui. È vicino a me e si chiama Andrea. Andrea ‘u sfizziuso lo chiamiamo noi. Poi si chiariranno le ragioni di questo soprannome.
“Io sono Andrea. Questo accaduto che riporto l’ho detto all’amico qui accanto e… non l’avessi mai fatto. ‘Lo devi pubblicare, lo devi far conoscere…!’ Ed eccomi qui”.

Allora, è da una decina di anni che mi guadagno da vivere portando in estate i villeggianti in giro per l’isola. Ho una barca, 14 metri, con cabina, cucina, water, prendisole. Parto dal molo Musco ogni mattina, alle ore 11. Di solito con 25 turisti. Programma: giro dell’isola, con sosta nelle cale più belle per il bagno, pranzo a bordo. Un tragitto confortevole, ai faraglioni, alle grotte, con accenni di commenti storici, con battute. Un vero bijou, ve lo posso assicurare, e se venite a Ponza, non perdetevelo.
Col mio simpatico carico lascio il porto e giro a destra, verso i faraglioni della Madonna. Gli ospiti si mettono comodi, prendono il sole, fanno amicizia, ascoltano attenti le mie note sul Murenaio di Ponzio Pilato. Doppio punta Madonna, anche Calzone Muto, poi il faro della Guardia. Lo scafo scivola sereno, la costa mi suggerisce aneddoti e storielle.

Lo faccio anche per dare un senso al soprannome che i paesani mi hanno affibbiato: ‘sfizziuso, ovvero lo sfizioso, quello che rende piacevole la traversata. In verità il soprannome allude anche a certe mie propensioni verso le belle donne, ma… quello si fa e non si dice.
Ordunque all’approssimarci al costone di Capo Bianco, sulla piana c’è una donna che agita le braccia e grida: “Fermatevi… fermatevi…” Sono stupito ma… fermo la barca, accosto e aiuto la donna a salire. È agitata, anzi, è furiosa. Si accomoda con gli altri villeggianti, vedo che inizia a colloquiare e ritorno attento alla ruota del timone.

Voi volete sapere cosa le era capitato. E pure io. Infatti nella sosta a Lucia Rosa, nel divertimento di chi si tuffava dalla prua, chi raggiungeva la spiaggia e chi si attardava in acqua, mi sono avvicinato e lei, dopo avermi ringraziato mi ha confessato che era uscita in compagnia di un amico. Nei pressi di capo Bianco lei ha chiesto di sperimentare il passaggio sotto la grotta di CapoBianco, come suggerisce la guida. L’amico, insicuro al timone e poco pratico di mare, non voleva. Le parole, anche pesanti, non sono servite, e lei si è tuffata: l’amico, urtato abbastanza, s’era allontanato col gommone.

E lei? Lei, più che mai decisa, aveva imboccato l’arco della grotta e calma aveva percorso tutto il tratto che, dalla parte di Chiaiadiluna, porta all’altra parte. Una meraviglia..! Perché l’acqua, attraversata dalla luce dal fondo, con la complicità del biancore della roccia, prendeva il colore del verde cobalto, che è un verde misto all’azzurro. Eppoi… l’antro non è minuscolo, avrà la lunghezza di 25 metri, ed è alto otto-nove metri. Dentro ci si sente come un animale marino, come una foca. Per il senso di libertà misto al godimento di fare qualcosa di eccezionale.
Una volta fuori raggiunse la piana con cui termina la punta e cercava qualche passaggio occasionale per il ritorno in porto. Senza borsa e senza vestiti. Senza soldi e senza documenti.

Ritornammo in porto, come di consueto. Giulia, questo il suo nome, mi ringraziò di nuovo e, credo, sia ritornata a casa. In seguito seppi che aveva affittato casa sul Corridoio, dove divise la sua stanza da quella dell’amico. Lo so perché l’indomani venne all’attracco e si imbarcò di nuovo per il giro dell’isola. E fu più che d’aiuto nel cucinare la ‘pasta al tonno’, nel servire, nel pulire, nell’intrattenere gli ospiti. Una vera manna dal cielo per me, a cui prima toccava accudire ad ogni cosa. E puntuale, premurosa e perfino amorosa.
E questo durò per un po’ di giorni. Poi… venni interrogato da mia moglie. La prese da lontano e infine giunse a chiedere i particolari e… allora… dovetti dare un taglio. Quel che immaginate è successo. Tutto come vi suggerisce il vostro acume.

Oggi per me ogni volta:
Cape Ianco
‘u core avvampa

Disegni schematici della costa di Capo Bianco (cliccare per ingrandire)

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