di Patrizia Maccotta
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Parlavano solo di quello. Le sentivo bisbigliare: “Jack”, “Rose”, “Il cuore dell’oceano”! …E l’aula scintillava di ghiaccio mentre, attraverso i vetri, il cielo si tingeva di scuro. Ma la mia presenza ed i miei gesti rompevano subito l’incanto.
Capii presto che dovevo conoscere quel sortilegio, comprendere la ragione per cui quel preciso film, e non i tanti altri girati sullo stesso argomento, aveva suscitato una tale adesione emotiva.
Era l’inizio del 1998 ed il film di James Cameron, Titanic, era appena uscito in Italia. Una pellicola che avrei voluto ignorare, ma che, visto il suo potere sui miei studenti – a dire il vero sulle ragazze soprattutto! – era doveroso che io vedessi.
Dopo tutto, aveva vinto ben undici Oscar! (ne cito solo alcuni: al miglior regista, al miglior film, alla migliore fotografia, alla migliore colonna sonora, ai migliori effetti speciali). Prodotto dalla 20th Century Fox, dalla Paramount Pictures e dalla Lightstorm Entertaiment, chi ero io per rifiutare di andare a vederlo? Così, in un pomeriggio libero di impegni, mi avviai a dedicare, in un brutto cinema del quartiere africano di Roma, 195 minuti della mia vita alla pellicola…
E fui subito rapita! Riacquistai i miei diciotto anni e la voglia di vivere di una giovanissima Kate Winslet, ovvero Rose de Witt, che in viaggio sul nuovissimo transatlantico Titanic, insieme alla madre ed al fidanzato, si innamora del povero e generoso Jack Dawson, ovvero Leonardo DiCaprio, capace di morire per salvarla. Aprii le braccia con loro sulla prua di fronte all’oceano, naufragai, morii e mi salvai, mi inabissai e galleggiai sulle onde.
Film sentimentale? Sicuramente. E con dei luoghi comuni. Ma film coinvolgente e che offriva tanti punti di riflessione.
E tante metafore. In fondo, il Titanic, con il suo carico di umanità, naviga ancora oggi scontrandosi contro il Sars Cov 2 che ha tagliato il suo scafo. Chi sarà colpito dalla malattia? Chi affonderà? Anche per noi si tratta di una tragedia e forse, in qualche modo, un ruolo l’ha giocato l’arroganza della nostra specie che ha allentato il suo legame con l’ambiente in cui vive.
Il varo del Titanic a Londra. Il 31 maggio 1911
Il Titanic era stato chiamato “L’Inaffondabile”. Era una creatura della tecnica e, soprattutto, della velocità. La cifra della nostra epoca è anch’essa la velocità: velocità delle informazioni, degli spostamenti, dei cambiamenti e dei compiti che siamo chiamati a svolgere, sempre più numerosi e più rapidi.
Il piroscafo della compagnia White Star salpò il 10 aprile del 1912 da Southampton diretto a New York. E’ curioso notare che, nel 1898, lo scrittore Morgan Robertson descrisse il naufragio di un transatlantico di enormi proporzioni che si scontrò contro un iceberg nell’oceano atlantico. Il piroscafo si chiamava… Titan. Il titolo dell’opera era “Vanità” (“Futility” nell’originale). Vanità della presunta onnipotenza dell’uomo sulle leggi dell’universo che il ghiaccio, o un virus, trasforma in un attimo – visto che di velocità si parla – in impotenza. Chi avrebbe mai detto, solo un anno fa, che tutto ciò che davamo per scontato, il nostro modo di vivere, sarebbe stato messo da parte così rapidamente?
Benedetta Cappa-Marinetti detta Beny (1897-1977). Velocità di motoscafo
Per conto suo il Titanic entrò in collisione con un iceberg alle 23.40 della notte del 14 aprile 1912 e si inabissò alle 8.50 del mattino.
Anche in questo caso ci furono, come per la pandemia, degli avvertimenti sottovalutati: una notte senza luna, particolarmente buia e fredda ed alcuni messaggi riguardanti la presenza di ghiacci in mezzo all’oceano. I marconisti di altre navi , che segnalarono la presenza di iceberg alle 9, alle 13.42, alle 13.45 e alle 19.30 del 14 aprile, non furono presi in considerazione.
L’iceberg, che una delle vedette di guardia quella notte sul Titanic avvistò, non era in fondo neppure enorme. Ma la nave sottovalutò il pericolo e la sua base fu tagliata come un lenzuolo dai cristalli di ghiaccio. Ci fu leggerezza nel concepire alcune delle paratie a tenuta non rigorosamente stagna? Erano insufficienti le scialuppe? Quel che è certo è che il “Destino” fu l’unico a scegliere chi tra le 2196 persone (tra passeggeri, personale ed equipaggio) che il piroscafo ospitava si sarebbe salvato.
E’ pur vero che i passeggeri di prima classe (322 persone, tra adulti e bambini) furono i primi ad avere accesso alle scialuppe (troppo scontato osservare che i capi di governo contagiati hanno avuto accesso ai costosi anticorpi monoclonali?).
La prima classe costa mille lire
La seconda cento, la terza dolore e spavento
E puzza di sudore dal boccaporto
E odore di mare morto…”
…canta Francesco de Gregori nel suo ottavo album del 1982, intitolato, per l’appunto, “Titanic”. Per La trilogia del Titanic, sul sito:
L’abbigliamento di un fuochista
La canzone che dà il titolo all’album
I muscoli del capitano
I passeggeri di prima classe avevano cabine di lusso e prendevano i loro pasti in grandi saloni rallegrati dall’orchestra.
Ci furono comunque persone coraggiose ed altruiste tra di loro, come l’imprenditore Isidor Strauss, co-proprietario dei magazzini Macy’s di New York, che si rifiutò di prendere posto su una scialuppa perché c’erano ancora delle donne di seconda e terza classe a bordo. Morì, affondando con la nave, assieme alla moglie, Ida, che si rifiutò di lasciarlo. La signora Margaret Brown, una milionaria, ebbe la forza ed il coraggio di organizzare un gruppo di rematrici nella scialuppa n. 6, per mantenerla a distanza di sicurezza dalla nave che colava a picco. La contessa de Rothes tenne il timone della scialuppa n. 8 per quasi tutta la notte. Una volta in salvo il marinaio Jones staccò il numero della barca e glielo fece avere per esprimerle la sua ammirazione. Da parte sua, la contessa gli inviò i suoi auguri a Natale per tanti anni.
Ma che ne fu dei passeggeri di terza classe che vivevano stipati nelle cuccette (709 persone tra adulti e bambini) e dei fuochisti intrappolati nel ventre delle caldaie allagate? Dei Barrett, Holden, Colley (ventiquattro anni!), May ed altri?
“A me rubano la vita
Quando mi mettono a faticare
Per pochi dollari nelle caldaie
Sotto il livello del mare
In questa nera, nera nave che mi dicono
Che non può affondare”
…avrà pensato il fuochista Robert Hosgood, di 22 anni, mentre la nave avanzava. (Da: “L’abbigliamento di un fuochista”, di F. De Gregori).
Che ne fu dei numerosi migranti irlandesi, svedesi, finlandesi? Delle cameriere, del personale? Lo chef John Collins cercò invano di salvare un bambino che gli fu strappato dal risucchio del mare. Come non pensare alle file di quei poveri corpi gettati nelle fosse comuni di Hart Island a New York o in Brasile?
Il Destino scelse pure tra i passeggeri di seconda classe, meno numerosi ( 277 persone), presi tra due ponti, tra gli ultimi ed i privilegiati, Tra i membri dell’equipaggio che si comportarono tutti con senso del dovere, i marinai e gli ufficiali, Murdoch, Lightoller, Boxhall. Li comandava il capitano Edward John Smith. Fu un buon capitano? I capi di governo, alle prese con i problemi sanitari ed i problemi economici, hanno guidato bene le loro nazioni? Una fotografia ci restituisce l’immagine del comandante Smith con una barba bianca curata e le mani raccolte.
Il capitano Edward J.Smith e il commissario di bordo Herbert Mc Elroy, durante la sosta del Titanic a Queenstown
“Ma capitano non te lo volevo dire
Ma c’è in mezzo al mare una donna bianca
Così enorme, alla luce delle stelle,
Così bella che uno non si stanca”.
(Da: I muscoli del capitano, di F. De Gregori)
Il capitano credeva nel progresso. Si comportò con estrema dignità e affondò con la sua nave inaffondabile che s’impennò ad un tratto, come un cavallo ferito, e colò in verticale trascinando con sé la copia preziosa del “Rubiyat” di Omar Khayyam, “ottocento casse di noci, quindicimila bottiglie di birra, trentamila uova fresche “ e le persone che non erano nelle scialuppe o in mare.
I sopravvissuti raccontarono che l’orchestra suonò finché l’ultima nota non si depose, insieme ai naufraghi, sul fondo del mare.
Il capitano Arthur H. Rostron e gli ufficiali del piroscafo Carpathia che soccorse i naufraghi
E noi pensiamo con i 705 superstiti che “Esiste un punto in cui lo sviluppo smette di essere vero progresso – nel commercio, nello sport, nella mirabile opera delle mani dell’uomo, come pure nelle sue esigenze, ambizioni, aspirazioni di ordine morale e mentale.
“Esiste un punto in cui il progresso, per essere un vero avanzamento, deve variare leggermente la sua linea di direzione” (Joseph Conrad, Il Titanic).
E noi pensiamo con i 705 superstiti che “Esiste un punto in cui lo sviluppo smette di essere vero progresso – nel commercio, nello sport, nella mirabile opera delle mani dell’uomo, come pure nelle sue esigenze, ambizioni, aspirazioni di ordine morale e mentale. Esiste un punto in cui il progresso, per essere un vero avanzamento, deve variare leggermente la sua linea di direzione” (Joseph Conrad, Il Titanic).
Joseph Conrad e il Naufragio del Titanic.pdf
Joseph Conrad. Il Titanic (Passigli Editore; 1999)
Filmografia
– Salvata dal Titanic, Etienne Arnaud, cortometraggio muto prodotto 29 giorni dopo il naufragio, 1912.
– Notte nel ghiaccio, l’affondamento del Titanic, estate 1912.
– Atlantic, Edward André Dupont, 1929.
– La tragedia del Titanic, Herbert Selpin – Werner Klingher, film di propaganda nazista, 1943.
– Titanic, Jean Negulesco, 1953.
– Titanic, latitudine 41 Nord, Roy Ward Baker, 1958.
– SOS Titanic, William Hale, 1979.
– Titanic, film di James Cameron, 1997.
– Titanic n. 2, film di Shane Van Dyke, 2010
– Titanic, la leggenda continua, film di animazione per bambini, Camillo Teli 2010.
Tano Pirrone
18 Gennaio 2021 at 13:43
Ottimo l’articolo sul Titanic: straordinaria progressione di Patrizia, che pur lavorando su sterminate fonti subito disponibili grazie a Wikipedia, le ha assemblate con gusto e logica estetica. Plauso.
A me il film non piacque, mi fece odiare DiCaprio per decenni. Me ne sono appropriato dopo, col tempo, risalendo nella filmografia e scoprendo che la sua bravura non è mai merito dei registi (al massimo comprimari) ma della sua innata, straordinaria abilità mimetica e immedesimativa. Se lavora con Tarantino diventa tarantiniano, con Cameron si adatta e s’inabissa obtorto collo, con Woody è più woodiano di Allen: questo non significa che si adatta e si trascura, ma che ha piena consapevolezza delle sue doti e le usa tutte, criticamente, affinandole ogni volta. Con Nolan è nolaniano e con Scorsese duro e tragico è sempre oltre le righe, in po’ perché c’è e un po’ perché ci fa.
Leo, Martin e Robert (DeNiro), dai cognomi italiani, testimoniano della vitalità e dell’ampio spettro funzionale dei genomi italici. Ma non ditelo a nessuno che si chiami Matteo, nome antico dalla caduca “e”.