di Gabriella Nardacci
“Troneggiava, nudo e diritto, scintillando, bianco e nero e si vedevano già le onde che si frangevano in bianche schegge come frammenti di vetro sugli scogli…”
(Virginia Woolf da “Gita al faro”; 1927)
Mi è capitato di leggere un periodo di un brano e anche di ricordare qualcosa legato a un film di qualche tempo fa… e ancora, una serie di puntate trasmesse in tempi remoti, relative appunto ad un faro e al suo guardiano. Sono arrivate anche le sensazioni che le immagini hanno suscitato in me sia nelle lettura che nella visione del film e del teleromanzo.
Di sicuro, ricordo che mi suscitarono desiderio di capire come un uomo riusciva a vivere in totale solitudine contro il rumore del mare nella notte, contro la furia delle onde che s’infrangevano sulle pareti del faro durante le tempeste e senza la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con un amico nelle sere fredde e senza stelle.
Il film, tratto dal romanzo di Giulio Verne “Le phare du bout du monde” con Yul Brinner e Kirk Douglas in cui si narra la storia di eroici guardiani del faro contro feroci pirati, ancor più mi ripropose il tema della solitudine e dei misteri.
Ricordo lo sguardo impaurito del protagonista e il chiaroscuro, più scuro che chiaro, della pellicola che riuscivano a incutermi paura più della solitudine stessa. Non ho ricordi netti del film, ma i due elementi di cui sopra, hanno avuto un primario interesse più che la trama del film stesso. Ora, lo rivedrei con occhi diversi questo film e forse, qualcuno più esperto di me in materia di cinema, potrebbe dare informazioni più esaustive relative alla pellicola.
I pensieri spesso, allorquando si trattava di fari e di guardiani, ricorrevano sempre a immagini particolari, al limite della paura. Lo scricchiolio del legno delle scale a chiocciola, il sibilo del vento che cercava di penetrare negli interstizi delle finestre, il rumore del mare e delle onde… facevano pensare a strane presenze che a volte erano fantasmi e altre volte pirati o malintenzionati venutisi a impossessare della torre dopo aver ucciso il guardiano.
Quando poi i fari erano abitati anche dalla famiglia del guardiano, allora non mi veniva da pensare al lato romantico della cosa, quanto piuttosto alla miriade di pensieri vestiti di paure del loro piccolo bambino intento a scrutare una barca che veniva ogni tanto a rifornirli di viveri, guidata da un pescatore magari con il figlioletto con cui poter condividere insieme un momento di gioco e di parola, laddove il faro fosse posizionato al centro del mare su scogli isolati.
Ricordo anche una storia di follia capitata ad un guardiano di un faro del nord Atlantico, intorno alla metà del 1800, di nome George e di sua moglie Gladys, da poco sposi, giunti sull’isola dove George aveva il suo primo incarico di guardiano del faro.
Si racconta che in quel faro c’era anche un vecchio pianoforte che Gladys ogni tanto suonava. Pare che un giorno, Gladys cominciò a suonare sempre e in maniera ossessiva lo stesso motivetto.
Si racconta che George prese un’ascia e uccise prima la moglie e dopo, resosi conto di quel che aveva fatto, si suicidò con la stessa ascia.
Il fantasma di George abitò per sempre in quel faro divertendosi a giocare scherzi ai nuovi guardiani facendo sparire le loro cose e facendole riapparire al loro posto dopo che questi le avevano cercate dappertutto. Qualcuno racconta di averlo visto , altri raccontano di aver sentito il pianoforte suonare o di aver sentito George, lamentarsi.
Se ne parlava così tanto di questo fantasma, che la guardia costiera decise di automatizzare la lanterna e di smantellare la stazione perché nessuno voleva più andarci, tanta era la paura di imbattersi nel fantasma di Gorge.
Il responsabile del gruppo, raccontò che durante la notte, George gli apparve pregandolo di non togliere i suoi mobili; ma alla mattina, il sogno venne dimenticata . Accadde che durante l’operazione di calare i mobili sullo scivolo con una corda, questa si ruppe e tutti i mobili caddero in mare, perdendosi. Non si riuscì a capire come fosse potuto accadere che una corda funzionante da anni e in perfette condizioni, si fosse rotta. Tutti pensarono fosse stato il fantasma George a tagliarla per non far trasportare in altro posto i mobili del faro.
Su quell’isoletta del faro, non ci va più nessuno; solo qualche raro pescatore o marinaio, che racconta di note di un pianoforte… e di lamenti, confusi tra il rumore del mare e del vento, che si sentono durante la notte.
Misteri, magia, presenze… Dubbi.
Ma di sicuro, quel fascio di luce che gira intorno a un mare nero come la pece, parla al marinaio e lo avverte di un pericolo salvandogli la vita.
Eric Tabarly, grande navigatore solitario, ricorda una frase di un suo professore della Scuola Navale: “Può darsi che le vostre fonti vi abbiano detto che i fari erano là per rischiarare il mare: non credeteci, essi sono là per dire ai marinai dove essi sono”.
Gabriella Nardacci
[A guardia del mare (1) – Continua qui]
Luisa Guarino
11 Aprile 2012 at 17:19
Ho letto con grande interesse la prima parte di ‘A guardia del mare’ di Gabriella Nardacci su un argomento che da qualche anno a questa parte esercita su di me un fascino assoluto, i fari. Così come ho trovato emozionante quanto sullo stesso argomento ha già scritto lo scorso anno Enzo Di Fazio, con il quale mi sono felicitata personalmente, ringraziandolo e invitandolo a proseguire, tanto più che raccontava di esperienze di vita vissuta, a Ponza e Zannone. Certo, la presenza di questa ‘sentinella’ per chi come me è nata e vissuta a Ponza è un elemento determinante e imprescindibile. Il resto, devo dire la verità, pur avendo visto in passato molti altri film ambientati in un faro (uno per tutti, “Analisi finale” con Richard Gere, Kim Basinger e Uma Thurman), ha preso le mosse più di recente da una pellicola italiana di genere sentimentale ispirata a un libro di Federico Moccia, se non sbaglio “Scusa ma ti chiamo amore”. Da allora ho la fissa dei fari. Che dite: devo andare dallo psicanalista? Intanto grazie e buon proseguimento