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Chistu “Natale” fète ’e scarrafone

di Tano Pirrone

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Dopo lungo elaborato battage, il 22 dicembre è giunto su Rai 1 “Natale in casa Cupiello”, trasposizione filmica dell’intramontabile opera teatrale di Eduardo De Filippo, in commemorazione dei 120 anni della nascita del grande drammaturgo. Responsabile della regia Edoardo De Angelis.


Il personaggio stralunato di Lucariello era interpretato da Sergio Castellitto (che sembrava il ritratto della salute) e quello di Concetta dall’altrettanto florida Marina Confalone. La compagnia era completata da Adriano Pantaleo, un Tommasino più cattivo che leso; da un magnifico Tony Laudadio, nei panni (almeno per quelli che Tommasino gli lasciava) di Pasquale, fratello convivente di Lucariello; da Pina Turco, florida e imbarazzata Ninuccia; da Alessio Lapice, ventinovenne nelle vesti di Vittorio Elia, terzo incomodo e mina vagante, competitor del lì presente Nicola Percuoco, personaggio che ha goduto della volenterosa interpretazione di Antonio Millo.

Set del film “Natale in casa Cupiello” di Edoardo De Angelis. Foto di Gianni Fiorito

Devo confessare che per principio non sono contrario alla rivisitazioni in genere delle opere del passato, e quindi anche dell’opera tragicomica di Eduardo: il teatro non è materia inerte ferma nel tempo, ma creta docile nelle mani di interpreti capaci.
Mi ero anche esposto in tal senso, scrivendone: «…non ho avuto la fortuna di vedere Eduardo a teatro, ma credo di aver visto tutto o quasi registrato. Certo non è la stessa cosa, ma bisogna tenere il passo e rendersi conto di come si evolve lo spettacolo, con quali mezzi e con quali capacità, in contesti, fra l’altro, assai diversi. Io stasera vedrò il film tv (che di questo si tratta) […] Chi conosce il teatro di Eduardo sa che non è replicabile, se non reinventandolo. Farne un film, che viene mandato in Tv: una scommessa fatta con buoni e ottimi attori e un giovane regista, che sembra conoscere il suo mestiere».

La Rai, dopo gli spifferi di tramontana che entravano da tutti i pertugi del film, ha riparato prontissimamente riproponendo su Rai 5, proprio l’altro ieri 26, Santo Stefano, Natale in casa Cupiello, con Eduardo De Filippo.
Si tratta della versione più conosciuta dal pubblico, registrata nel ’76, e andata in onda in TV nel ’77, con un cast eccellente, in particolare stato di grazia, a cominciare da Eduardo, certo, ma non solo: una straordinaria Pupella Maggio veste i panni di Concetta, mentre in quelli di Nennillo troviamo proprio il figlio di Eduardo, Luca De Filippo. L’esordiente Lina Sastri interpreta Ninuccia, mentre Marzio Honorato, volto amato della serie infinita di Rai Tre, Un posto al sole, dà vita a Vittorio, amante di Ninuccia. Un parterre inarrivabile, cui partecipavano in piccoli ruoli marginali le due giovanissime coetanee Marisa Laurito e Marina Confalone.
Quest’opera forse più di ogni altra ci fa rendere conto che il diabolico Eduardo ha creato teatro tagliandolo a sua misura e cucendoselo addosso, quasi per impedire che altri mai potesse replicarlo. La discussione ci porterebbe lontano, e già sento il frusciar nervoso del lenzuolo del Grande Maestro.

A voler essere rigorosi e distaccati, l’opera forse più famosa di Eduardo risente della costruzione avvenuta in tre periodi diversi: la parte originaria, infatti, è il blocco del secondo atto, che si svolge interamente nella sala da pranzo dell’abitazione dei Cupiello, elaborata nel 1931. Ad esso si aggiunge, nel 1932 o 1933, la struttura del primo atto (la sveglia); il terzo (la benedizione e la fine) viene aggregato in data non certa (forse nel 1934 o forse, più verosimilmente, nel 1943). Eduardo a questo proposito affermava che si era trattato di «parto trigemino con una gravidanza durata quattro anni».

In conclusione: a mio vedere, l’umanità si divide in due macro categorie: quelli che “appartengono” alla napoletanità – e quindi conoscono in qualche modo Eduardo e il suo Teatro, come archetipo della napoletanità medesima – e quelli che non lo conoscono, ovvero, innati difetti impediscono loro dal poter comprendere uno dei pilastri stessi su cui la napoletanità si fonda: in un grande misterioso processo alchemico, il teatro di Edoardo fissa e codifica la napoletanità e ne diventa per questo il paradigma assoluto.

Messi, senza recriminazione alcuna, al bando i secondi, è necessario fare un’ulteriore accurata cernita dei primi: separare i napoletani dai non napoletani.
I “napoletani” caratterizzati di norma da una possessione fideistica con tutto un rituale martirologico, che trova il contraltare in San Gennaro, che non è definitivamente assurto all’Empireo, ma rimane nei pressi per partecipare tre volte l’anno alla grande sfida surreale del miracolo della liquefazione del suo sangue – dai “non napoletani”, i quali vivono più laicamente ed amano ciò che e bello perché è bello e non perché è di Napoli.
Io, lo confesso, appartengo – Absit iniuria verbis – agli indegni che vestono questa uniforme: vi appartengo per convinzione, scelta, necessità biologica e psicologica. Io sono, dunque fra questi ultimi e ultimo fra gli ultimi.

Triste conclusione: forte del successo di ascolti del film con Castellitto, il regista De Angelis sta già lavorando su altre due commedie di Eduardo. Non ti pago (data per certa) e Questi Fantasmi o Mia famiglia. Gli indizi portano a una riconferma del cast tv di Natale in casa Cupiello: manca solo l’ufficializzazione. Ma c’è anche di peggio: si parla della cessione allo stesso produttore di altre ventiquattro opere per i loro remake, termine cui sono intollerante tanto nella forma che nella sostanza.

 

Appendice del 31 dicembre 2020 (Cfr. in Commenti)

La “fissità teatrale” nella critica mancusiana.
A proposito della critica di Mariarosa Mancuso a “Il Natale in casa Cupiello” di Edoardo De Angelis

di Tano Pirrone

Abbiamo letto, come di solito la lenzuolata settimanale che Mariarosa Mancuso gestisce con piglio sul quotidiano Il Foglio. Non sempre ci troviamo sufficientemente d’accordo con la titolare di Nuovo Cinema Mancuso. Questo per noi è stimolo di ricerca e di scoperta di altre angolazioni dalle quali guardare ad un film, ai suoi significati, alle sue qualità espressive. Nel foglione una succinta critica al film di Edoardo De Angelis, passato su Rai 1 lo scorso 22 dicembre e su cui abbiamo appena scritto (Chistu “Natale” fète ’e scarrafone), poco soddisfatti del risultato finale complessivo del remake natalizio in era pandemica del capolavoro eduardiano.

Che dice Mancuso? Che De Angelis è bravo a frenare Castellitto propenso alla gigioneria (sua indiscussa inclinazione): siamo d’accordo, ma credo che Castellitto (vedi intervista rilasciata a Silvia Fumarola e pubblicata su Repubblica il 15 dicembre) sia andato avanti con i giuochi facendo implodere il personaggio, che per quanto trascinato in epoca postbellica, venti anni dopo, è decisamente fuori asse, tanto fisicamente che ideologicamente, che umanamente. De Angelis ci ha provato, ma i risultati si son visti poco. E si giudica in base ai risultati e non alle belle intenzioni.

Che dice Mancuso? Che il regista De Angelis «…ha evitato la fissità teatrale». Questo a me pare un luogo comune a cui si spesso si ricorre quando non si hanno altri argomenti. Cos’è la “fissità teatrale”? Cos’è che la fa aborrire? Inviterei Mancuso a rivedere il dvd con la registrazione della commedia fatta nel 1976 per la Rai, che la mandò in onda l’anno successivo: opera di straordinaria fattura in cui conversero il genio di Eduardo, le straordinarie capacità degli attori, le professionalità di altissimo livello dei tecnici Rai. Dov’è la “fissità teatrale”? Nel volto ormai notissimo di Marzio Honorato, per dirne uno, c’è “fissità”? O vi scorrono i veli antichi delle maschere teatrali: imbarazzo, sopportazione, contrarietà, passione, ribrezzo, odio? E la Sastri al suo debutto (a parte la presenza nel Masaniello di De Simone, Porta e Pugliese, tre anni prima) è appesantita, offuscata da “fissità teatrale”? O la regia (di Eduardo) sa cogliere perfettamente tutti i contrastanti impetuosi stati d’animo che la sconvolgono: l’amore per Vittorio, l’ostilità per un matrimonio combinato con un commerciante arricchito, che la tiene (anche) per “figura”, ben intonata alla nuova casa, tutti strumenti promozionali per l’avanzamento sociale?

Che dice Mancuso? Che l’«…attore, bravissimo, è Adriano Pantaleo: riesce a dire “Nun me piace ‘o presepe” come se non fosse già da decenni una citazione. Merito da spartirsi col regista…»: e dice il vero: l’unica vera gradevole apprezzabile interpretazione è proprio quella di Pantaleo, anche se non ci è piaciuta quella smaccata vena sanguigna, cattiva, che il suo personaggio (Nennillo) non ha. Lo dice pure Lucariello ad un certo punto, che il figlio è un po’ babbasone. E se lo dice Lucariello

Che dice Mancuso? Che un’operazione analoga (così ben riuscita) l’aveva fatta nel 2019 Mario Martone con Il sindaco del rione Sanità. Un’operazione lodevole, a mio avviso, che attualizza la piéce, ne amplia la platea e le offre un convincente respiro cinematografico.
Martone sì che è stato bravo, perché per distaccarsi senza tradire, utilizza poche ma sostanziali modifiche nell’impianto della commedia: il sindaco è più giovane e quindi più carico di energia fisica, ambizione e violenza trattenuta, in perfetta relazione con i tempi in cui svolge l’azione.
Il sindaco di Edoardo possiede una pacata saggezza popolare, mentre quello di Martone ha “il carisma di un rapper e il fisico di un bodyguard”. Questo accentua (forse volutamente) il rischio (errato) di una lettura in odore di camorra del personaggio di Antonio Barracano, rischio già affrontato da Eduardo fin dalla prima rappresentazione del Sindaco.
Martone, il cupo, l’inarrivabile regista di opere liriche e teatrali, e di film memorabili, è anche quello che è riuscito a far “dire” ad un attore nel modo più toccante e più vero una poesia: ne Il giovane favoloso Giacomo Leopardi/Elio Germano giunge all’ermo colle e crea il suo capolavoro – L’Infinito – scandendone i versi, parola dopo parola, e ci trascina tutti – TUTTI – dentro l’ampolla dove avviene il miracolo della creazione dell’opera d’arte.

Aspettiamo fiduciosi che De Angelis ci appassioni in modo simile.

 

3 Comments

3 Comments

  1. Gustavo Imbellone

    29 Dicembre 2020 at 10:14

    Caro Tano, non ho visto Castellitto. Ho raccolto sulla sua “fatica” opinioni diverse. Rimango colpito dalla tua recensione su ponzaracconta.it e dall’approccio alla napoletanità di Eduardo. In una parola: hai scritto una bella pagina. Bravo…
    Ricordo anche io la stupenda edizione del ’77 in TV. La vidi in compagnia di mio padre, lui sì vero napoletano colto. Se non ricordo male, in TV la proiezione avvenne il 26 dicembre: uno degli ultimi S. Stefano passati insieme a mio padre. Poco tempo dopo un brutto tumore se lo portò via.
    Solo una volta ho avuto l’onore di parlare e stringere la mano al Grande: trenta secondi nel camerino del Quirino, nell’intervallo di Sik Sik artefice magico. Edoardo molto vecchio, ingobbito, una voce metallica e lentissima. Le sue mani erano quasi trasparenti. Grande Eduardo e bravo Tano.
    Ciao e grazie.

  2. Nazzareno Tomassini

    29 Dicembre 2020 at 19:54

    Caro Tano
    Credo di appartenere alla tua stessa categoria per i tuoi stessi motivi, ma anche perché per tutti i 60 anni della mia vita nel secolo scorso ho sempre avuto napoletani intorno a me (e intendendo per Napoletani tutti quelli provenienti dal golfo, da Capo Miseno a Punta Campanella).
    Il mio più grande amico d’infanzia era figlio di un fantino napoletano che veniva a correre all’ippodromo di Villa Glori (prima che arrivasse il Villaggio Olimpico); dal ginnasio al Liceo ho avuto come compagno di banco il figlio di un maresciallo dell’esercito venuto da Castellammare di Stabia; quando ho fatto il militare, l’amico più caro che ho avuto veniva da Anacapri; quando ho cominciato a lavorare ho trovato una napoletana autentica (magnifica casa sul lungomare) che ha voluto diventare mia amica-sorella perché detestava i suoi fratelli veri rimasti a Napoli. Ho avuto anche un collega che veniva da Torre del Greco e che si faceva tagliare i capelli dal barbiere che veniva appositamente a casa sua… Potrei scriverci sopra una decina di pagine sui miei rapporti con Napoli, la città dove mio padre mi portò per il mio primo viaggio in treno alla fine degli anni ’40…, per non parlare della scalata del Vesuvio, della scoperta di Ercolano, delle terme ad Ischia e dell’unico viaggio fatto in barca a vela da Procida ad Anzio….
    E faccio fatica a credere che si possa ripetere il teatro di Eduardo senza di lui!
    Ti ricordi della sua ultima apparizione cinematografica, come padre di Sordi, in Tutti a casa?!
    Naz

  3. Tano Pirrone

    31 Dicembre 2020 at 07:29

    Una delle rubriche di critica cinematografica che seguo, “Nuovo Cinema Mancuso”, di Mariarosa Mancuso, su Il Foglio dello scorso 28 dicembre, riporta una breve recensione di totale plauso al film di De Angelis “Natale a casa Cupiello”, tanto da concludere: “…non gli si trova un difetto”.
    Poiché io non l’ho altrettanto apprezzato, motivo il mio giudizio, riprendendo quanto lei scrive.
    La mia opinione – riportata a cura della Redazione – nell’articolo di base

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